Spezzatino di vitello con funghi e Bianco IGT Toscana
Con la stagione autunnale e l’arrivo dell’inverno si iniziano a vedere sul mercato i funghi porcini freschi che sono ottimi in ogni modo, ma si prestano anche bene alla preparazione di carni stufate. Ma se non avete più a disposizione quelli freschi, per cucinare si prestano egregiamente anche quelli secchi, se sono però di buona qualità e di provenienza dai migliori terreni del nostro Paese. Il loro sapore comunque si esalta quando è accompagnato da carni che avrete scelto accuratamente facendovi anche consigliare dal vostro macellaio di fiducia. Se poi avete un ”cercatore” che li pulisce bene quando li raccoglie e li fa seccare al sole con tutte le attenzioni potete tenerli per tutto l’inverno, conservandoli in vaso di vetro o in freezer. So che Mario non li fa seccare molto (come avviene invece nei forni delle aziende che li commercializzano in bustine di plastica), ma sempre all’aria, lasciandoli un po’ morbidi, e poi li conserva nei sacchetti di carta un po’ spessa, come quella del pane, in modo che respirino. Per questa ricetta sono utilizzati funghi porcini seccati.
Ingredienti per 6 persone
- 200 g di funghi porcini seccati
- 1 kg e 200 g di spezzatino di vitello un po’ misto
- 1 cucchiaio di farina bianca
- 1 foglia di alloro
- 200 cc di brodo vegetale
- 1/2 bicchiere di acqua di ammollo dei funghi
- Qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva
- Sale q. b.
- 1 spicchio di aglio privato dell’anima
- 3/4 grani di pepe
Preparazione
Mettere a bagno i funghi anche tutta la notte in una scodella in modo che rinvengano bene. Se sono troppo secchi Mario aggiunge anche un cucchiaio di latte (da un suggerimento di qualche decennio fa della sua amica ed ex collega di lavoro Marisa). Se non se ne conosce la provenienza è meglio lavarli accuratamente da eventuali residui di bosco prima dell’ammollo. Scolarli e conservare un mezzo bicchiere dell’acqua di ammollo dei funghi che va comunque filtrata attraverso una garza stesa in un colino.
Mettere al fuoco una padella con uno spicchio di aglio sbucciato e privato dell’anima (il filamento interno che può avere anche una puntina di verde) e con un paio di cucchiai di olio extravergine di oliva. Quando l’olio sarà caldo, ma stando attenti a non bruciarlo, aggiungere i funghi scolati e farli cuocere a fuoco moderato per 10/15 minuti. Togliere l’aglio, spegnere e lasciare riposare da parte.
In un’altra casseruola mettere 4/5 cucchiai di olio extravergine di oliva, farlo scaldare e accomodare i pezzetti di carne che dovranno ben rosolare da tutti i lati. A questo punto spolverare con la farina bianca e continuare la rosolatura. Salare e aggiungere i grani di pepe, i funghi e la foglia di alloro.
Amalgamare bene il tutto, bagnare con il brodo vegetale al quale avrete aggiunto anche l’acqua dei funghi e cuocere a fuoco moderato per almeno un’ora e mezza in modo che la carne si cuocia alla perfezione e il sughetto si rapprenda un po’ per diventare cremoso a piacere. Il piatto può essere servito così semplicemente guarnito con le erbe aromatiche che preferite o, in alternativa, con purè di patate o polenta morbida.
Ornella Bezzegato
Il vino Bianco IGT Toscana 2019 dell’azienda vitivinicola Tiezzi
Che la carne prediliga il vino rosso è vero, esattamente come il pesce predilige il bianco (e non ”vuole” il bianco, mi raccomando, perché ”l’erba voglio cresce solo nel giardino del re”, come s’insegna ai bambini). Con questa ricetta delicata di Ornella preferisco un bianco strutturato e fatto, pensate un po’, in una terra famosa per quelli che sono considerati i migliori rossi del nostro bel Paese. A Montalcino ci vuole un bel coraggio a fare dei bianchi, qui si investe tutto il possibile nei rossi. I bianchi si piantano dove il terreno non è proprio il più adatto per questi gioielli enologici, esattamente come si fa anche a Barolo e a Barbaresco.
Ma, come sapete bene, il vino buono lo fanno i contadini, non i banchieri, cioè quelli che sanno bene dove e come piantare le viti e di quale varietà, per non lasciare la buona terra al bosco incolto. Il dott. Enzo Tiezzi è fatto di questa pasta, non c’è niente da fare, anzi è perfino un pioniere di questa mentalità, tanto che credo sia l’unico a coltivare uno dei suoi Brunello più prestigiosi ad alberello mentre quasi tutti gli altri lo coltivano a cordone speronato (in gran parte semplice, in minima parte bilaterale), qualcuno a Guyot e uno anche… a bonsai. Il dott. Tiezzi si era laureato in scienze agrarie ed enologia e, dopo aver svolto per tanti anni l’attività di direttore e di consulente enologico in aziende agrarie di fama mondiale e anche quella di dirigente, consigliere e infine presidente del Consorzio di tutela del Brunello di Montalcino, negli anni ’80 aveva deciso di mettersi in proprio e con l’acquisto del primo dei tre poderi di cui è composta attualmente l’azienda, il Cerrino, e qualche anno dopo ha acquistato anche il secondo, il Cigaleta, entrambi a circa 3 km dal borgo storico.
All’inizio degli anni ’90 è stato acquisito anche lo storico podere Soccorso e il dott. Tiezzi ne ha ristrutturato l’edificio in pietra che apparteneva nell’Ottocento a un illustre antenato della moglie Maria Vittoria, il professor Riccardo Paccagnini, cioè l’agronomo ed enologo che ha scritto il Trattato teorico-pratico di agricoltura ed enologia pubblicato in 18 pagine nel 1907, un pioniere che per la sua attività ha ricevuto ben 45 onorificenze primarie in tutto il mondo. Qui c’è una delle vigne più belle del nostro pianeta, un cru di prim’ordine a 500 metri di altitudine di quel sangiovese di rara eccellenza che fu proprio il primo in assoluto di Montalcino a essere imbottigliato con il semplice nome di Brunello in etichetta, nel 1870.
I numerosi turisti che si affacciano dal torrione della Fortezza sopra l’antica Porta Renai (al Cassero), oppure dalla lunga terrazza del viale Pietro Strozzi sopra le possenti mura del XIII secolo che si allungano verso il Santuario della Madonna del Soccorso, possono spaziare con lo sguardo su un panorama mozzafiato e su questa bellissima vigna che è appollaiata appena lì sotto sul terreno a gradoni. La bellezza di questo poggio balza immediatamente agli occhi perché appare come un giardino con le rose in cima ai filari delle viti, cespugli di frutti di bosco, olivi, alberi da frutto, piantine ornamentali e aromatiche fra parcelle delimitate da muretti in pietra fatti a mano dai migliori artigiani locali. Viene subito la voglia di scendere a visitarlo! L’accesso si trova dalla stradina che si apre sul viale subito prima del Santuario e gira a sinistra sotto le mura fino al podere Soccorso.
A dire il vero, al dott. Tiezzi in tutto questo sogno che ha realizzato benissimo, non è mai mancato il supporto della moglie Maria Vittoria e della loro figlia Monica, una pediatra che ha saltato pranzi, cene e a volte anche il sonno per seguire con grande passione i bambini e contemporaneamente sostenere il padre e la madre in questa loro avventura con il vino, nella quale si è impegnata di recente anche la nipote Rachele, figlia di Monica.
Una bella famiglia che eccelle nel Brunello di Montalcino (del podere Soccorso e del podere Cerrino più la Riserva) e nel Rosso di Montalcino di cui ho già parlato in un articolo precedente, ma fanno anche un po’ meno di un migliaio di bottiglie di un bianco perfetto per carni bianche con funghi, risotti ai porcini, tagliolini al tartufo nero, baccalà impanato e fritto, salmone in crosta, arrosti di vitello, formaggi semi-stagionati e la pizza alla stracciatella, specie quella di Lucia Megalli del Road Cafe’ LM2 presso la stazione carburanti.
Un bianco da meno di 1.000 bottiglie l’anno. Siamo a Montalcino, dove da mezzo secolo si investe piuttosto nei rossi. I bianchi, tra cui il Moscadello, si piantano dove il terreno non è proprio il massimo per i rossi. La stessa cosa che fanno a Barolo e a Barbaresco e questo accostamento non è casuale. Se non avessi avuto la disponibilità di questa bottiglia avrei optato per un Langhe Chardonnay ”Rossj Bass” 2020 di Angelo Gaja.
Il Bianco IgT Toscana 2019 Tiezzi è un vino ottenuto da uve chardonnay (50%), vermentino (30%) e trebbiano toscano (20%) coltivate al podere Cigaleta (la tipologia e la percentuale di uve possono variare fortemente a seconda dell’annata) a un’altitudine di 340 metri s.l.m. con esposizione Nord Est. I suoli qui sono prevalentemente argillosi e sabbiosi (sabbie gialle) su terreno misto a scheletro costituito da scisti di ”galestro” e da pietre di ”alberese” con residui di agglomerati di calcio e una presenza di fossili del preistorico mare eocenico che ricopriva questa zona di Montalcino.
La fermentazione avviene con macerazione sulle bucce per 10-12 giorni (10-12), poi si completa in barriques usate e vecchie, quindi il vino si affina ancora in barriques usate e vecchie per circa 6 mesi, è stabilizzato naturalmente e non viene né filtrato né chiarificato prima dell’imbottigliamento. Come si è sempre fatto il buon bianco nei posti più vocati alla vitivinicoltura della Toscana. Sono davvero felice di sapere che c’è ancora chi lo fa, senza nessuna concessione alle mode. Tenore alcolico del 14%, acidità totale di 7 g/l.
Il vino è leggermente velato perché non subisce nessuna chiarifica né con chiara d’uovo né con bentonite, ed è di un bel colore giallo paglierino con riflessi verdolini chiari. All’attacco un profumo di fiori di campo e di fieno messo ad asciugare al sole introduce un bouquet di aromi molto puliti, cristallini, di corbezzoli, nespole, mandarini e succosa pera decana. In bocca è di una piacevolezza naturale che svela subito una struttura e un corpo muscolare d’altri tempi, come se fosse un rosso giovanissimo e vestito altrimenti, sostenuto in perfetta armonia da un tenore alcolico che non scherza proprio e da una meravigliosa acidità piuttosto marcata, che non si avvertono subito ma che passano a riscuotere il dovuto qualche attimo dopo, perciò un consiglio: mai a stomaco vuoto. Il finale richiama anche una sensuale sfumatura di confetto da sposa. Se volete considerarlo un vino senza pretese, fate pure. La sua semplicità è francescana, ha un fascino contadino come raramente si vede in giro, ma è un cavaliere senza macchia e senza paura, genuino, potente e rubacuori.
Con le carni bianche ai funghi fa matrimonio d’amore, ma è un vino ”libero” come chi orgogliosamente ce lo propone, fuori dagli schemi con estrema naturalezza, infatti mette la voglia di correre dal fornaio a prendere un pane appena sfornato e dal norcino a farselo imbottire di prosciutto crudo e regge anche alla prova più dura per un vino secco, bianco o rosso, cioè il gorgonzola dolce, in purezza o con il mascarpone. Ottimo con pinci cacio e pepe, senza dubbio, ma anche al ragù d’anatra in bianco, ”tonno” del Chianti (lonza di maiale marinata a lungo nel sale, cotta nel vino bianco con erbette aromatiche e conservata in olio extravergine di oliva), insomma piatti di una certa consistenza di sapore, come li sanno fare le massaie senesi.
Mario Crosta
Azienda Vitivinicola Tiezzi
località Soccorso, 53033 Montalcino (SI)
coordinate GPS: Lat. 43.059488 N, Long. 11.48478 E
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