Entrata del Salone delle Fontane
Questo Eurhop è stato uno dei miei preferiti. Per una volta, pianifico tutto prima: orario migliore senza la calca per scegliermi le mie birre (accuratamente ordinate in elenco), parcheggio tattico per l’auto (lavoro qua accanto, la zona è praticamente cosa mia), un paio di scorciatoie per rientrare evitando ogni posto di blocco possibile. E’ perfetto, andrò via avendo bevuto il mondo, ma con la lucidità di un astronauta durante l’allunaggio. Per gli appunti stavolta via pure il taccuino cartaceo, spazio unicamente alle applicazioni dell’ S8 con il quale mi sento come il Tom Cruise di Minority Report: neanche più una domanda, capirò in anticipo ogni futura intenzione dei birrifici. Mi sento leggera e determinata. Esco di casa. Il Delirio. Faccio tardi, sono costretta a lasciare la macchina e prendere la metro, arrivo al Salone delle Fontane di corsa, non c’è folla dentro, c’è ovunque. Almeno mi resta il mio elenco ragionato, che ovviamente non trovo (scoprirò il giorno dopo che giaceva nella scarpiera, come tutti gli oggetti nell’attimo prima di uscire). Ma lo splendore del sole fuori, e delle birre dentro, mi fanno felice per le prossime 48 ore. La scelta è molto vasta, ci sono gli italiani, il nord Europa, Inghilterra e Belgio, e gli americani.
Interno Salone delle Fontane
Inizio da questi e parto dal birrificio che quasi all’unanimità ha riscosso maggiori successi in questa edizione. Con in mano la Biere de Coupage 6,3% assaggio il texano Jester King per la prima volta e mi rendo conto che stavolta l’unanimità ha ragione da vendere. JK è una farmhouse brewery che dedica la sua produzione alle wild ale, e questo blend di ispirazione belga è un ottimo esempio del lavoro che il birrificio porta avanti dal 2011, miscelando ale invecchiate in botte con esemplari più giovani, per raggiungere un equilibrio tra la complessità delle prime e la morbidezza delle altre.
Hilary e Soren Parker Wagner di Dry&Bitter
A seguire la Cherry Funk Metal 9,5% edizione speciale della Funk Metal, sour imperial stout invecchiata in botti di rovere e con aggiunta di lieviti selvaggi e ciliegie: l’accostamento tra il gusto delle ciliegie e il tostato del malto mi piace molto. Della Detritivore, 5,5% sour ale, mi giunge voce possa esserci il lattosio, ma non mi allarmo mi sembra strano, provo, è buonissima, e soprattutto, non muoio. La Viking Metal 7,4% l’ho già assaggiata al Ma Che, una sour finita fin troppo velocemente nel bicchiere.
Visto che sono in zona continuo con gli USA, The Veil merita, almeno a quanto mi stanno dicendo tutti, ma ci sono troppe insidie, ancora legate al lattosio. Così, ingenuo agnello sacrificale, mi sposto da Other Half, dove saprò solo in seguito, di aver rischiato grosso.
Andrew Burman di Other Half
Qui bevo la Nelson Ipa, 6,9% mentre chiacchiero con Andrew il proprietario del birrificio newyorkese, con cui prendo contatto per futuri approfondimenti: classica american ipa dove il nelson si sente, e chi lo ama lo segue. Non troppo amara lei e molto disponibile lui, ne bevo quasi tre bicchieri e neanche me ne accorgo. Almeno sul momento. Provo poi la DDH Mosaic Dream 8,5% deliziosa (intanto penso che per rientrare non mi serviranno né scorciatoie né metro, solo i gomiti) e anche una “Citra qualcosa” (così mi viene passata da amici), e quando in seguito realizzo che la sua Citra Day Dream 8%, è una double ipa prodotta proprio con lattosio, inizio a boccheggiare, ma più per lo spavento che per altro. Scopro infatti, subito dopo, anche una All Citra Everything 8,5% double ipa, senza lattosio, agrumata (beh), luppolata ma fin troppo leggera per la sua gradazione. Capisco che qui ho concluso, OH mi ha già regalato fin troppe emozioni.
Mi giro e a meno di un metro c’è Hopping Frog, birrificio dell’Ohio che ho molto amato nel passato: ora a tenere banco è la sua Infusion a peanut butter 6,2% chocolate coffee porter al burro di arachidi. Non molto alcolica, ma è una bomba. Mi dicono possa berla anche io, ma mi limito a infilarci il naso: ecco là le colazioni ipercaloriche da bambina a casa di mia nonna, che trovando il burro di arachidi importato dagli USA al super sotto casa, decideva di farmi felice. Tiro fuori il naso, torno nel 2017. Ho paura a berla, mi dicono che il sentore di arachidi sia più al naso che in bocca, credo sia buona.
Hilary con Cantillon Carignan
Mi stacco dagli USA per dedicarmi agli italiani, e invece no, perchè sbaglio il lato da cui raggiungerli. Nel passaggio incontro Cantillon, pericolosamente vicino a LoverBeer. Qui due nomi mi rapiscono i sensi: St. Lamvinus Gran Cru, 5,5% e Carignan 5%. Il primo, figlio del St. Lamvinus, druivenlambik del birrificio, blend di lambic e uva (con una produzione iniziale in terra francese, nella zona di Saint-Emilion vicino Bordeaux, in seguito tornata a Bruxelles), è un blend di due botti di lambic di 3 anni con uve Merlot, e una botte di lambic di un anno…un vero spettacolo. L’altro, un lambic con aggiunta di uve biologiche Carignan, provenienti dal sud della Francia (Languedoc-Roussillon), oltre ai sensi, decide di rapirmi pure l’anima.
Per restare in tema, e in zona, Valter Loverier e la dolcissima Elena di LoverBeer nel frattempo hanno attaccato la Binde 9,2% e la Lale 9,2%, due edizioni credo limitate: la prima ha riposato per trenta mesi in botte con aggiunta di Brettanomyces, mentre l’altra, partendo dalla base della Dama Bruna, è stata fatta riposare per sedici mesi in botte, e successivamente per altri 4 mesi, ma con l’aggiunta di ciliegie. Difficile scegliere, ma forse propenderei più per la Lale, in questo Eurhop le ciliegie mi sono piaciute nella quasi totalità delle declinazioni provate.
Scambio due parole con Elena, mentre cerco di non farmi travolgere dall’andirivieni delle masse: ogni tanto vengo spostata di qualche metro, ma si tratta di ondate e come in tutti i mari, la risacca garantisce sempre un ritorno al posto di partenza. Dopo un po’ mi abituo.
Luigi Schigi D’Amelio di Extraomnes
Sul versante italiano, cerco invece fondamenti e conferme.
Grandioso su tutta la linea Elvo: dalla Pils Rottenburger, 5%, qui in anteprima a caduta direttamente dalle botti, alla classicissima Marzen, 5.5% passando per la Elvo’s Presley, 5% altra novità, bassa fermentazione tedesca con luppoli americani, estremamente beverina.
Al Mastino, Mauro, il birraio, con molta disponibilità mi illustra la tecnica della decozione a 3 tempre con cui ha brassato la pils Milledue91 4,9% per donare maggiore intensità al classico aroma di crosta di pane, enfatizzando la presenza del malto.
Stessa tecnica anche per la Crazy Shot#3 7% doppelbock maltata e lievemente erbacea. È interessante l’utilizzo di una tecnica che richiama il passato, con lo scopo di garantire maggiore persistenza soprattutto per alcuni stili. L’intensità senza dubbio si sente, e naturalmente mi chiedo quale e quanta differenza ci sarebbe bevendo quelle loro stesse birre senza decozione. Passo poi alla Monaco 5,5% e alla Cangrande 4,8%: per loro nessuna decozione, ma si inseriscono benissimo nell’ottima impressione generale di tutta la linea del birrificio veronese.
Torno al Birrificio del Doge, buono, buonissimo tutto, e di tutte, la Zwickel 4,6% in botte, ha rappresentato la birra giusta al momento giusto. Faccio un salto da Extraomnes (voglio una foto di Schigi sorridente) dove bevo una 42dB 3,5% saison leggera e piacevole, per un attimo temo che possa essere schiacciata da tutto quello che ho bevuto fino a quel momento, e invece mi sorprende, leggera sì, ma è buona, agrumata e speziata, e si sente.
Hilary, Alessio Selvaggio e Federico Casari di Croce di Malto
Di EO provo anche la Resident Evil 10% belgian strong ale dal nome per me evocativo (come le nottate passate a giocare tra liceo e università, con buona pace dei day after di entrambi): eccome se mi piace, mi stupiscono i suoi 10 gradi che non restano, a differenza del sapore. E mentre faccio la foto a uno Schigi in effetti sorridente e scherzoso, penso alla Straff, 9,5% winter saison che sarà uno spettacolo come sempre (soprattutto se sottratta ad un amico compassionevole).
Grandissime conferme da Hammer, ottima la Workpiece 7% e sempre al top la Killer Queen, 8% e Vento Forte tra i miei preferiti di sempre.
Del secondo bevo a secchiate la Sheepes, 7%, New England Ipa che per un momento – scomodando gli dei – mi ricorda le birre dell’Oregon, con qualcosa provato da Great Notion Brewing a Portland, dove lo stile regna.
Il paragone con la Velvet Suit, 6,5% corrispettiva di MC77 è quasi d’obbligo: entrambe buone, ma preferisco di netto la prima, più amara, meno morbida, tendenzialmente…meno neipa.
La sera seguente chiederò ad Andrea il perché di quel nome, non posso scriverlo, se lo incontrate, chiedeteglielo. Provo anche la Losing Pigs 4,4% berliner weisse, che non mi dispiace pur non amando molto lo stile, ma soprattutto la Cerase Tua 8% una farmhouse maturata in botti di vino rosso, fermentata con batteri lattici e Saccharomyces, con aggiunta di ciliegie: deliziosa
E poi provo altro, qualcosa non mi piace, come la Non Conventional Yeast 5,6% passion fruit sour ale di Birra dell’Eremo, ammissione, la mia, senza dubbio impopolare, considerate le ampie lodi ovunque, soprattutto per il lavoro fatto sui lieviti. Non ho avuto modo di approfondire il discorso con i birrai, ma non ne ho amato il sapore, senza nulla togliere a impegno e sperimentazione profusi.
Hilary e Valentina allo stand del Birrificio Lariano
Infine, tra quello che avrei voluto bere, lascio qualcosa di Cà Del Brado, di Foglie D’Erba, di Bierol, del danese Dry & Bitter (presenza fissa a casa per tutto il resto dell’anno, tanto da informarne anche il birraio, Soren, che molto carinamente si fa due risate con me). Però riesco a chiudere un conto aperto dalla scorsa edizione, in cui avevo mancato la 19”72 5,8% di Croce di Malto. Corro, non proprio come il record di Mennea celebrato dalla birra, da Alessio e Federico del birrificio: la saison alla segale con aggiunta di albicocche, non mi delude, anzi, l’attesa è decisamente valsa l’assaggio. Ho finito. Dopo tutto questo non ricordo più nulla, se non altro sono certa che i gomiti al rientro non mi sono serviti…almeno fino al giorno dopo, per la serata post chiusura!
Appassionata di birra artigianale, con un debole da anni per Franconia e West Coast USA coltiva quotidianamente la sua passione tra pub, amici publican, birrai e non, e viaggi fino all'altro capo del mondo. Lasciando poco spazio alle mode, il suo posto preferito era e resta il bancone del pub. Tra una birra e l'altra si occupa di promozione e tutela del Made in Italy agroalimentare nel mondo.
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Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Bolognese dentro, grafico di giorno e rapito dal mondo enologico la sera. Per un periodo la sera l'ha condivisa con un'altra passione viscerale (...)
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