È una delicatezza gastronomica particolarmente ricercata, raffinata e gustosissima che si prepara velocemente, in mezz’ora o, al massimo, in tre quarti d’ora per prepararla e offrirla fresca agli ospiti, che poi è l’unico modo per servirla in quanto non sarebbe consigliabile lasciarla in frigo o all’aria per più di mezzora. La prima volta che l’ho gustata è stata il 1° ottobre 1980 al Castello della Sala in Ficulle, dov’ero ospite (con altri vincitori di un concorso di abbinamenti di ricette con l’Orvieto Classico) del marchese Piero Antinori, che l’ha fatta realizzare dalla cuoca di allora, una signora di cui ci ha nascosto il nome, forse perché abitava in tenuta come a quel tempo anche il giovane enologo Renzo Cotarella, ma che merita un monumento per la mano benedetta che aveva. Da quel momento non me ne sono mai fatta scappare una in tutti i ristoranti e in tutte le trattorie della Toscana dov’era inserita nel menu e devo dire che, a parte gli ingredienti principali, ogni cuoco ha la sua ricetta.
A Siena si preparano con la milza di vitello e pochissimi fegatini di pollo per mitigare il sapore forte della milza, in Maremma con i fegatini di pollo e il macinato di maiale con un soffritto di carota, sedano, salvia e rosmarino, in altre parti della Toscana si fa… senza la milza e solo con i fegatini di pollo, ma è tutt’altra cosa perché il principale ingrediente di questa ricetta è la milza di vitello che non era certo un cibo per i braccianti niente ”cucina povera”, ma un piatto per le mense dei ”signori” proveniente più dalla cucina francese che dalla tradizione locale, mentre il crostino, quello sì, di fatto era un modo proprio per le persone povere di ottimizzare al massimo il consumo del pane senza che sprecare nulla delle parti più povere degli animali.
Ingredienti
L’ingrediente principale di questa ricetta è appunto la milza di vitello che per prima cosa va pulita, tagliandola in senso orizzontale e raschiandone la pelle con un cucchiaio facendo uscire poco per volta la polpa che avrà la consistenza di una pappetta da raccogliere tutta in una ciotolina. C’è anche chi macina finemente tutto per evitare questo noioso passaggio, ma il risultato non sarà mai come quello ottenuto eliminando il più duro tessuto connettivo. Mettete a soffriggere delicatamente in un tegame, meglio se antiaderente, un tritato battuto molto fine di cipolla, aglio e prezzemolo (anche due o tre rondelline di carota non ci starebbero male) e quando sarà appena dorato, aggiungeteci la crema di milza che avete preparato, mescolando in continuazione con un cucchiaio di legno e lasciando cuocere per qualche minuto, facendo attenzione a non fare attaccare l’impasto sul fondo.
Dopo averne pulito ed eliminato le sacche del fiele, tritate molto finemente i fegatini di pollo e aggiungeteli alla milza per un paio di minuti, amalgamandoli bene con il cucchiaio di legno, quindi versate un mestolo di brodo di carne o di pollo in cui avrete sciolto un cucchiaino di conserva di pomodoro. Lasciate concentrare la milza a fuoco moderato nel brodo e intanto preparate un battuto con filetti di acciughe aperte e diliscate, dissalate fra le dita e ripulite con panno bianco inumidito. Versate questo battuto nel tegame, amalgamando bene il tutto, aggiustate di sale quanto basta e spolverate una macinata fine di pepe fresco eventualmente anche battuta e lasciate cuocere per circa cinque minuti. A questo punto unite mezzo bicchiere di Vin Santo e lasciate concentrare a fiamma bassa fino a quando il composto di milza non avrà raggiunto la consistenza desiderata. Nel frattempo tostate le fettine di pane leggermente in un’altra padella finché non saranno dorate e appena saranno ”crogiate” spennellatene una delle due superfici di ciascuna con un po’ di brodo che ne esalterà ancora di più l’ineguagliabile sapore, poi con l’olio extravergine di oliva e infine spalmatela con una parte del composto di milza, Servitele ancora tiepide o a temperatura ambiente.
Il vino Colli Orientali del Friuli Picolit ”MCM sixty nine forever” 2007 dell’azienda Cantarutti Alfieri Conoscendo i Toscani alla Gino Bartali («l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare»), me li immagino già polemizzare sulla scelta del vino perché ci berrebbero un Vin Santo o quel Moscadello di Montalcino che nel medioevo, molto prima del Brunello, non mancava sulla tavola di re, imperatori e papi oppure al massimo potrebbero concedersi anche un vino muffato di Orvieto che ”l’è l’ultima città della Tos’ana prima del Lazio”. La prima volta che l’ho gustata come un Saulo folgorato sulla via di Damasco, però, il marchese Piero ce l’aveva abbinata a un indimenticabile Orvieto Classico ”Castello della Sala” abboccato che non fa più, ma che andava proprio a pennello, aprendomi la strada a vini bianchi di dolcezze diverse che poi avrei apprezzato e abbinato ad alcune pietanze e il vino che più mi sembra adatto è il Picolit del Friuli, da un vitigno a bacca bianca autoctono del Friuli che è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, ma che è estremamente impegnativo per il produttore e quindi piuttosto raro e costoso per il consumatore. I grappoli del vitigno da cui proviene sono spogli, con sparuti acini perché il polline che feconda i fiori femminili è quasi totalmente sterile e si verificano degli ”aborti floreali”, quindi solo una minoranza dei fiori genera gli acini prima di cadere. Questa quasi sterilità, però, caratterizza il vino per una particolare dolcezza, perché il nettare della pianta non si distribuisce tra migliaia di acini, ma si concentra solo su poche centinaia (se non decine) che maturano con un tenore zuccherino elevato e un’ampiezza aromatica straordinaria.
Il Picolit è un vino che presenta sfumature di sapore che comprendono varie gamme di dolcezza e vanno dall’abboccato con un tenore zuccherino naturale appena accennato all’amabile con una dolcezza già percettibile fino al dolce con una concentrazione zuccherina più marcata, ma squisitamente equilibrata dall’acidità. Fabrizio Ceccotti della cantina Cantarutti Alfieri in alcune annate ne ha ricavato una versione leggermente dolce mitigata da una piacevole acidità. Quest’azienda con i vitigni autoctoni friulani che sono l’immagine del territorio si trova nello splendido versante che discende dall’Abbazia di Rosazzo verso San Giovanni al Natisone, è sorta nel 1969 e da quando Alfieri si è ritirato con la moglie nell’agriturismo Shangri-la presso il fiume è diretta da sua figlia Antonella, dal marito Fabrizio e dal figlio Rodolfo laureato in viticultura ed enologia all’Università di Udine ed esperto della sicurezza agricola. Sono circa 75 ettari complessivi di cui 54 vitati, di cui 0,60 riservati alla coltivazione del Picolit che viene vendemmiato manualmente agli inizi del mese di ottobre dopo un’accurata e attenta cernita dei grappoli, avviati al raffreddamento in un tunnel con azoto liquido che regola la temperatura intorno allo zero. Questo processo evita il congelamento della materia, ma agevola la diraspatura che conduce gli acini alla pressa pneumatica dove, sempre sotto azoto, si effettua con delicatezza la pigiatura. Il mosto viene mantenuto a temperatura controllata per la criomacerazione e viene posto a fermentare e a completare la malolattica in barriques di rovere francese per poi essere destinato alla maturazione in legno per qualche anno. Tenore alcolico del 15,7% , acidità totale di 5,8 g/l, residuo zuccherino naturale di 46 g/l. Consiglierei di servirlo fresco di cantina, tra 14 e 16°C.
Il Picolit ”MCM sixty nine forever” più giovane è giallo dorato con riflessi ambrati e farebbe l’amore con crostacei crudi o appena scottati, ma guai a usare il limone e tenetegli lontano l’aceto, anche quello balsamico. L’amica sommelier Maria Teresa Gasparet per sperimentare lo proverebbe con un primo piatto con protagonista il gorgonzola più noci più datteri oppure con la pitina di muflone affumicata delle valli sopra Pordenone su cui grattugerebbe del cioccolato fondente o fave di cacao oppure con il prosciutto d’anatra o d’oca su pane caldo… così, per divertirsi! Il Picolit ”MCM sixty nine forever” 2007, dopo ben 14 anni ha invece un colore giallo ambrato luminoso con riflessi ramati che ricordano le diverse tonalità dei topazi. All’attacco i profumi intensi di fiori d’acacia, cedronella e zagare che aprono un bouquet ricco di fragranze di uva sultanina, scorze candite di agrumi, spezie dolci, tabacco dolce e fichi secchi. In bocca è ricco, al miele di zagare e di castagno con una sfumatura di papaia e zenzero e un alito all’eucalipto nel finale, che è lungo, persistente, molto pulito e asciuga benissimo la lingua. Un vino che stempera la dolcezza con una splendida acidità e la rinforza con una solida struttura. diventando così un compagno ideale per cibi piccanti, olive all’aglio e peperoncino, oppure abbastanza grassi e strutturati come salse di fegatini e paté con una vena alcolica, code di gamberi in salsa rosa, mostarda cremonese, formaggi formaggi punti dalla mosca casearia come il saltarello friulano, il casu marzu sardo, il casu de quagghiu calabrese, il pecorino marcetto o cace fraceche ligure e anche formaggi piccanti aromatizzati dall’aggiunta di qualche goccia di miele.
Mario Crosta
Azienda Cantarutti Alfieri Via Ronchi 9, 33048 San Giovanni al Natisone (UD) tel. 0432.756317, fax 0432.936471 Lat. 45.993634 N, Long. 13.412467 E sito www.cantaruttialfieri.it, e-mail info@cantaruttialfieri.it
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.
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Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
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Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
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