A volte capita di avere molte ricorrenze da festeggiare. E di recente a Rocca delle Macie – la fattoria chiantigiana fondata dal produttore cinematografico Italo Zingarelli nel 1973 – ne avevano una caterva. Hanno cominciato nel 2021 per il mezzo secolo di “Trinità”, il caposaldo del genere “western & sganassoni”, hanno continuato per i dieci lustri del suo sequel, quel “Continuavano a chiamarlo Trinità” del 1972 tuttora detentore del record assoluto di incassi, e hanno appena finito col cinquantenario dell’azienda, ora guidata dal figlio di Italo, Sergio, e dalla sua famiglia. Un’autentica maratona celebrativa che ha dato origine a pregevoli tomi illustrati, a un museo rurale dedicato all’epopea trinitaria, a bottiglie commemorative e a una pioggia di aneddoti che a raccontarli tutti ci vorrebbe un altro volume.
All’ultimo appuntamento non poteva però mancare una degustazione tecnica di uno dei vini aziendali di punta, il Chianti Classico Gran Selezione Sergio Zingarelli. O meglio una verticale di dieci annate, dalla 2010 alla 2019, condotta dal patron e dall’enologo Lorenzo Landi. Si tratta di un cru: le uve provengono dal vigneto Le Terrazze, presso il centro aziendale, su terreni di alberese che tendono a far ritardare la maturazione dei grappoli e a favorire la freschezza e la concentrazione, dando così un prodotto austero e longevo. Prodotto fino al 2013 con un taglio di Sangiovese al 90% e Colorino, dal 2014 è fatto invece con solo Sangiovese. Anni fa ci aveva impressionato l’annata 2012, ma non avevamo mai avuto l’opportunità di assaggiare la 2011, un millesimo climaticamente non troppo ondivago, con una primavera mite, piogge tra maggio e giugno, un’estate nella media e un’esplosione di caldo siccitoso dalla metà di agosto, con una vendemmia leggermente anticipata.
Il risultato è un vino dal rubino caldo e intenso, con un’unghia appena aranciata. Al naso è pieno, composto ed elegante, profondo, con un frutto ben presente e una lontana nota resinosa che rimane impressa nella mente e torna anche al palato, dove il vino assume austerità, verticalità e un’ampiezza che, però, non vira in ridondanza. Una Gran Selezione importante, quindi, che tuttavia si mantiene nei canoni di una piacevolezza severa e coerente alla vocazione delle uve e del territorio. Dovendo dargli un punteggio, che per abitudine non do mai se non a mio uso e consumo interno, direi che questo 2011 si piazza tra i primi tre della decina. E che sarebbe interessante riassaggiarlo tra un ulteriore lustro.
Stefano Tesi
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gli altri per Cucina Italiana, Meridiani del gusto, Viaggi & Sapori, Bell’Italia. Collabora per Civiltà del Bere, Dove, Corriere Vinicolo, Guida Ristoranti dell’Espresso, oltre a curare la sua blog-zine Alta fedeltà. È assaggiatore professionista di olio extravergine. Fa parte del gruppo Garantito Igp.
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