Statistiche web
Abbinamenti cibo vinoAntipastiLa ricetta e il vinoMangio Ergo Sum

Pane frattau con il pane carasau abbinato con Isola dei Nuraghi IGT Cagnulari

Pane frattau con il pane carasau

Quasi tutte le regioni d’Italia hanno un pane o un prodotto da forno tipico e la Sardegna ha il pane carasau, un pane in fogli proveniente dalle zone più selvagge della Sardegna, le Barbagie, fin dai tempi più antichi. Sembra che la sua origine risalga all’età del bronzo (all’incirca dal 2300 al 700 a.C.) e alcuni reperti archeologi fanno pensare che la nascita del pane carasau sia avvenuta in epoca nuragica. Alcuni storici lo associano però a un’epoca un po’ più moderna e legata alla pastorizia, in quanto la sua composizione lo ha reso il cibo ideale per i pastori che partivano per la transumanza verso gli alti pascoli piuttosto lontani dai rifornimenti alimentari poiché si poteva conservare a lungo, anche sei mesi quand’è secco e asciutto, per fare da base a molte semplici e pietanze veloci da realizzare con ciò che si poteva trovare o produrre lungo i sentieri e negli ovili. Erano le moglie dei pastori a prepararlo per tempo in casa e a cuocerlo nel forno a legna, che è molto più potente degli attuali forni casalinghi, infatti raggiunge temperature sopra i 300 °C, quelle che sono utilizzate per ottenere il pane migliore.

Pane frattau con il pane carasau

Oggi come una volta il pane carasau viene chiamato in molti modi, anche pane carasatu, pane carasadu, pane fine, pane ‘e fresa e soprattutto ”carta da musica”, poiché quando lo si sbriciola la sua croccantezza ne rende piuttosto rumorosa la masticazione, come se nascesse una musica in bocca. Il termine ”carasau” è tipico del vocabolario sardo e deriva dal verbo ”carasare”, che vuol dire tostare. Durante la fase finale della sua preparazione, che è chiamata ”carasadura”, questo pane viene infatti messo in forno apposta per l’ultima cottura che lo rende appunto croccante.
Di solito si trova ormai in commercio anche nei supermercati del settentrione e, in genere, i suoi fogli sono di forma circolare e di spessore sottile e fragile, ma in alcune Barbagie si presenta in forma rettangolare, di dimensioni minori e di spessore maggiore come il pane pistoccu dell’Ogliastra. Sono molte, infatti, le sue varianti locali. Le diversità dipendono dalla preparazione dell’impasto, dalla lavorazione e dalla cottura del pane che applicano antiche tradizioni famigliari o paesane e si chiama anche pane guttiau quando è condito con un filo di buon olio extravergine d’oliva.

Pane frattau con il pane carasau

Attualmente sono parecchi i panificatori che lo sfornano, anche in altre zone della Sardegna, perfino in riva al mare, perché ha un grande successo, sempre crescente, poiché nella cucina quotidiana sostituisce spesso la pastasciutta, che ha bisogno invece di essere bollita per parecchi minuti in acqua, ma questa regione soffre di siccità e di scarsità d’acqua, quindi è meglio prima destinarla alle bestie, perché l’uomo può bere anche altro. Si può usarlo anche a fazzoletti come le lasagne oppure a liste e listerelle come le tagliatelle e le fettuccine. Vi suggerisco l’antica ricetta del pane frattau (si dovrebbe scrivere con una sola “t” che la pronuncia indurisce e prolunga, ma in assenza di una grammatica sarda prediligo sottolineare la lingua parlata), che significa sminuzzato ed è preparato utilizzando tutto quello che durante il trasporto si rompeva dentro sa taschedda, cioè lo zainetto del pastore.
Il pane frattau è uno fra i piatti sardi più classici, semplici e tradizionali a base di pane carasau, sugo di pomodoro e pecorino. È composto da diversi strati e, in cima, viene completato con un uovo in camicia che arricchisce il gusto genuino e intenso di questa ricetta. Anche se al ristorante si trova tra gli antipasti o i primi piatti, si può considerare un ottimo piatto unico, grazie alla varietà degli ingredienti.

Ingredienti per quattro persone

  • 6 fogli di pane carasau (anche già guttiau)
  • 1,5 l di brodo di pecora (o, in alternativa, di manzo)
  • 120 g di pecorino o ricotta mustìa
  • 600 g di salsa di pomodoro
  • sale fino, se occorre per la salsa, quanto basta
  • 1 uovo da cuocere in camicia
  • 1/2 cucchiaio di aceto bianco (oppure di mele)
  • pepe nero a piacere macinato al momento
  • olio extravergine di oliva quanto basta

Procedimento
Per la base del pane frattau, si utilizza il pane carasau (anche già guttiau) più sottile e molto croccante.
La preparazione della ricetta è molto semplice e veloce. Servono due pentole, un pentolino, una ciotola e un largo piatto di portata. Nel pentolino scaldate la salsa di pomodoro (regolandone il sale, se occorre).
Nella prima pentola, scaldate il brodo e spalmateci il pane unicamente sulla parte interna e ruvida dei pezzi di pane per poi sgocciolarli subito tenendoli (senza romperli) per qualche istante in posizione verticale, perché il pane non si deve né rompere né risultare troppo inzuppato, altrimenti verrebbe considerato da un barbaricino alla stessa stregua della pasta scotta per un napoletano.
Ponete due o tre pezzi di pane su un piatto grande da portata caldo e copriteli con abbondante salsa di pomodoro calda, quindi con uno strato di formaggio grattugiato (a vostro piacere può essere pecorino stagionato oppure ricotta mustìa, cioè leggermente salata e affumicata) e poi sovrapponete altri due o tre pezzi di pane carasau. Ripetete l’operazione per altri due strati se volete limitarvi ai tradizionali tre strati, ma potete continuare, non esiste una regola a riguardo e dipende dal numero e dalla fame dei commensali, ma anche dalla larghezza del piatto di portata.
A parte versate l’uovo in una ciotola con l’accortezza di non romperne il tuorlo.

Pane frattau con il pane carasau

In una seconda pentola, che dev’essere dai bordi alti e va riempita di acqua fino a un’altezza di almeno 10 centimetri, intanto, fate bollire l’acqua. Una volta che l’acqua comincerà a bollire, abbassate subito la fiamma fino a quando non otterrete un leggerissimo sobbollire, appena percettibile, quasi a zero. In caso contrario l’albume si disperderebbe per tutta la pentola e l’uovo non avrebbe il suo aspetto tipico a sacca.
Aggiungete l’aceto bianco e con un cucchiaio di legno create nella pentola una corrente circolare, in modo che al centro si formi un piccolo vortice, quindi con estrema delicatezza fate scivolare l’uovo dalla ciotola all’acqua calda esattamente al centro del vortice, così che l’uovo non tocchi mai i bordi. Quando l’albume dell’uovo sarà bianco e appena rappreso, con il tuorlo all’interno che non si vede o che s‘intravvede appena, ma ancora non è cotto abbastanza, si lascia ancora in acqua in totale per 3 o 4 minuti, muovendo delicatamente l’acqua con un cucchiaio di legno, ma senza toccarlo.
Quindi prelevate l’uovo dall’acqua con una schiumarola facendo attenzione a non romperlo, adagiatelo sull’ultimo strato del pane frattau e portate in tavola il tutto quand’è ancora tiepido, ma non caldo.



vigneti Cantine Chessa

Il vino consigliato: Isola dei Nuraghi IGT Cagnulari 2020 delle Cantine Chessa
Giovanna Chessa è una giovane produttrice di Usini che appartiene orgogliosamente a una famiglia di vitivinicoltori che ha cominciato la sua attività dai tempi duri del secondo dopoguerra. Quando abitavo a Tanca Farrà di Alghero, cioè vicinissimo, andavo spesso su quelle colline a procurami vini rossi che erano un po’ diversi da quelli dei Piani verso la necropoli di Anghelu Ruju e l’aeroporto. Mostravano infatti tutte le caratteristiche tipiche delle alture dove allora non c’era mai stato bisogno di usare l’irrigazione di soccorso d’estate, dato che le notevoli escursioni termiche salvaguardavano molto meglio le viti per donare alle uve dei profumi senz’altro più fini, cosa che oggi, purtroppo, deve essere consentita in certi momenti di vera difficoltà a causa del surriscaldamento del clima.
I terreni, qui, si estendono a circa 250 metri sul livello del mare su suoli calcarei, dove i vigneti si alternano agli oliveti e alla macchia mediterranea che dominano dall’alto la strada dei due mari e le numerose forre che corrugano il territorio del Coros, la regione degli antichi padroni delle tanche che nel periodo giudicale si erano aggiudicati estesi possedimenti fra i resti della fiorente civiltà nuragica tra il Rio Mannu e il Rio Mascari.
Usini deriva il suo nome dal greco ”euxenos” (che significa ”paese ospitale”) grazie a una atipica ricchezza di sorgenti che danno una non comune fertilità ai suoi terreni. La sua economia è infatti radicata prevalentemente al settore agricolo e oggi, soprattutto, alle vigne. Qui ci sono almeno 350 ettari vitati, con il cagnulari che fa la parte del leone. Questo vitigno a bacca rossa fino a pochi anni fa era poco conosciuto anche nell’isola ed è stato riscoperto solo poche decine di anni fa proprio nel territorio di Usini.

vigneti Cantine Chessa

Si tratta di un vitigno giunto dalla Spagna nel Sassarese durante la dominazione aragonese del Seicento, ma che in questi territori si era dimostrato troppo sensibile agli eccessi d’insolazione che causano l’imbrunimento e il disseccamento del rachide, una fisiopatia che spesso viene confusa con la peronospora larvata o con l’antracnosi, ma anche all’eccessiva piovosità a ridosso della vendemmia che provoca il rigonfiamento eccessivo dei chicchi con la conseguente rottura e marcescenza.
E così per secoli i produttori locali lo avevano usato soltanto in taglio con altre varietà ed è stato il decano dei viticoltori usinesi, Giovanni Cherchi, a decidere per primo di intensificarne la coltivazione e di vinificarlo in purezza, seguito ben presto dalle altre cantine locali fino a meritare a Usini la fama di patria dell’inu onu (vino buono) inserita fra le Città del Vino e che si fregia dei servigi della Confraternita del Cagnulari. Questo importante centro di animazione sociale e culturale organizza diverse manifestazioni durante tutto l’arco dell’anno in collaborazione con la Proloco e altri enti, dal Concorso Enologico alla sagra degli Andarinos de Usini, dal Festival internazionale del Folklore fino alle degustazioni itineranti tra le cantine Ajò a Ippuntare (andiamo a spillare) che durano per alcuni giorni a dicembre.
In queste immancabili occasioni conviene davvero andare a Usini per immergersi nelle realtà dei vini Cagnulari al 100%, di cui mi è piaciuto l’Isola dei Nuraghi IGT 2020 delle Cantine Chessa con un tenore alcolico del 14%. Questo vino proviene da vigne coltivate a spalliera bassa di viti di età tra i 15 e i 25 anni per una resa di circa 80 quintali d’uva per ettaro. Le uve, raccolte manualmente a fine settembre, vengono vinificate in serbatoi d’acciaio con macerazione sulle bucce per circa 15 giorni alla temperatura di 23-24°C. In fase fermentativa ed estrattiva si effettuano délestage e rimontaggi frequenti e di breve durata dei mosti per ottenere i migliori risultati dal punto di vista del colore e del tannino. Dopo la svinatura e un primo travaso, il vino svolge la malolattica. Segue un periodo di maturazione in botti d’ acciaio per circa 12/15 mesi e poi l’affinamento in bottiglia.

Isola dei Nuraghi IGT Cagnulari 2020 delle Cantine Chessa

Di colore rosso rubino acceso e intenso, con riflessi viola e bagliori purpurei, all’attacco emana un profumo di rose selvatiche e geranio che introduce un bouquet di aromi di piccoli frutti selvatici rossi e neri, bacche di corbezzolo, ribes e lentisco con sfumature speziate di pepe verde e liquirizia. In bocca la freschezza guadagna il primo piano ed è corredata da tannini molto ben levigati e da una morbidezza glicerica che ne accompagna alla perfezione la complessità, in grande equilibrio tra leggere note di tabacco biondo e una sapidità che lo conferma come un vino da uve caratterizzate dalla forte estrazione minerale nei terreni più poveri e ventilati. Il finale è tutto fiori e frutti rossi.
Gustatelo con il pane frattau, ma accompagna gradevolmente tante pietanze tipiche della Nurra e del Coros: anguille alla griglia, zuppa di pesce con l’immancabile grongo, risotto alla pescatora della tradizione algherese, pastasciutta alla ricotta mustìa con una spolverata di pepe, zuppa di olive e finocchio selvatico, capretto in teglia, carni bianche e rosse allo spiedo e alla griglia, cacciagione in umido o in salse nobili, formaggi stagionati almeno mediamente e tutti i salumi.
Consiglierei di servirlo in calici ampi a 18-20°C stappando la bottiglia un paio d’ore prima della mescita. Quello dell’annata 2020 si è guadagnato la medaglia d’oro al Decanter World Wine Awards 2022 che l’ha inserito tra i 50 vini migliori del mondo, ottenendo perfino la corona ”best in show”, mai ottenuta prima da un vino sardo, ma un nuovo riconoscimento per l’annata 2021 è arrivato anche dalla medaglia d’oro guadagnata al Concorso Internazionale 2023 delle Città del Vino.

Mario Crosta

Cantine Chessa
via San Giorgio, 07049 Usini (SS)
coord. GPS: lat. 40.666138 N, long. 8.530062 E
cell. 328.3747069, tel/fax 079.380151
sito www.cantinechessa.it
e-mail info@cantinechessa.it

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio