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Burrata al pesto con le acciughe abbinata al Greco di Tufo

Burrata al pesto con le acciughe

La burrata è un latticino di bufala che sembra una palla di mozzarella fior di latte, ma della sua consistenza ha soltanto la buccia esterna, mentre dentro è tutta molto cremosa. Era nata, infatti, e neanche troppo tempo fa, nel 1956, dall’esigenza del caseificio Bianchino di Andria di smaltire un’eccedenza produttiva di panna rimasta a causa di un eccezionale periodo di gelo e neve che aveva bloccato molto latte rimasto invenduto e da trasformare subito per non buttarlo via. La base della burrata è infatti la pasta filata della mozzarella fior di latte modellata come un sacchetto di pochi millimetri di spessore in cui viene inserita la stracciatella (piccoli frammenti stracciati a mano di pasta di mozzarella, panna, siero innesto) e che poi viene chiuso con un legaccio come una provola da appendere, quindi immerso nel liquido di servizio. Ha raggiunto il successo proprio perché, quando viene scolata, tagliata e aperta permette al ripieno cremoso di fuoriuscire.

Burrata al pesto con le acciughe

La burrata fresca può essere abbinata a molte altre squisitezze, come una pizza napoletana, una pasta al pesto di basilico, un’insalata di pomodori, un piattino di filetti di alici salate sott’olio ed è diventata oggi molto di moda per la sua morbidezza. A differenza della mozzarella, che è già un formaggio, questo latticino va consumato molto più fresco, al massimo entro due giorni dall’acquisto. Si possono stupire gli ospiti servendola con pesto di prezzemolo e filetti di acciughe salate su fettine di pomodoro sopra fette di pane casereccio affettato e tostato. Il pesto, le acciughe e il pane possono essere preparati in anticipo e si aspetta di assemblarli alla burrata e ai pomodori a fette al momento di servire in tavola.

Ingredienti per 4 porzioni:

500 g di acciughe grosse di Spagna sotto sale
1 bicchiere di aceto bianco o rosso a piacere
8 tazze di foglie di prezzemolo fresco
1 tazza di pinoli
1 tazza di pecorino romano grattugiato
1 tazza di parmigiano reggiano grattugiato
2 spicchi d’aglio tritati finemente
6 cucchiai di acqua
sale fino quanto basta
1 peperoncino (facoltativo)
1 tazza di olio extra vergine di oliva
olio extravergine d’oliva q.b. per coprire le acciughe
2 pomodori a rondelle sottili
4 fette larghe di pane casereccio
4 burrate da 100/125 g ciascuna

Preparazione delle acciughe (il giorno prima)
Togliete l’eccesso di sale dalle acciughe a dorso di coltello e adagiatele una accanto all’altra in una terrina. Versateci sopra 1 bicchiere di aceto per coprirle e lasciarle riposare per un’oretta in modo da farle ammorbidire e permettere al sale rimasto di sciogliersi.
Mentre le acciughe riposano si prepara il pesto. Lavate il prezzemolo e asciugatelo bene foglia per foglia. Sbucciate gli spicchi d’aglio e fatene un trito fine a coltello con il prezzemolo, i pinoli e, se piace, il peperoncino. Versate il trito ottenuto in una scodellona. Aggiungete i formaggi grattugiati, diluitelo con l’olio addizionato con 6 cucchiai di acqua in modo da ottenere una salsa fluida ma densa e, mescolando bene, regolate il sale. Mettete il pesto in un frullatore o robot da cucina e mixate fino a una consistenza liscia.

Burrata al pesto con le acciughe

A questo punto sarà trascorso il tempo di riposo delle acciughe, quindi toglietele dal liquido d’ammollo e diliscatele, riducendole a filetti che metterete a mano a mano in uno scolapasta per eliminare l’eccesso di acqua. Asciugateli con un panno bianco pulito e adagiateli in una terrina l’uno accanto all’altro, quindi copriteli con uno strato di pesto. Se la terrina non è larga, fate a strati alternati, uno di filetti di acciughe l’altro di pesto fino a esaurimento degli ingredienti. Se necessario utilizzate altro olio per coprire completamente sia il pesto che le acciughe. Coprite la terrina con foglia di polietilene o di alluminio e infilatela in frigorifero per un giorno almeno, ma se avete pazienza di aspettare sappiate che il sapore migliora di giorno in giorno.

Composizione della pietanza al momento di servirla
Togliete le acciughe dal frigorifero in tempo per non servirle fredde. Ammorbidite un po’ le fette di pane abbrustolite immergendole (ma solo per un attimo!) in un po’ d’acqua. Adagiatele nei piatti di portata e irroratele con un filo di olio extravergine di oliva e un paio di cucchiaiate di vino bianco secco. Spalmatele in modo uniforme con un leggero strato di pesto preso dalla terrina con le acciughe. Adagiateci dei pezzetti di filetti di acciughe, poi le rondelle sottili di pomodoro e una burrata per ciascuna che va aperta a coltello. Sopra la burrata spalmate un po’ di pesto e stendete (anche a croce) un paio di filetti di acciughe. Guarnite i piatti con gocce di pesto e i filetti di acciughe rimasti, a pezzetti.


Di Prisco

Il vino consigliato: Greco di Tufo Pietra Rosa 2019 dell’azienda Di Prisco
La burrata ha una buccia di mozzarella fuori e un cuore di panna dentro ed è proprio come la terra d’Irpinia con una crosta robusta fuori ma con un terreno soffice che si sfalda facilmente dentro. Poiché ci vuole un bel vino bianco, che sia perciò irpino. Fontanarosa è un paese antico dell’Irpinia più profonda, quella segnata dal terremoto di domenica 23 novembre 1980 che causò 280.000 sfollati, 8,848 feriti e 2.914 morti, una zona dal paesaggio sempre martoriato con le strade attorcigliate in una serie infinita di curve e dal fondo stradale sconnesso dall’ira di Dio. Il mare è a poche decine di chilometri, ma qui, tra Mirabella Eclano, Taurasi, Paternopoli e Gesualdo in provincia di Avellino si è in montagna verso la Puglia, una terra di bufali e perciò di mozzarelle, stracciatelle, provole e scamorze. L’unicità dell’Irpinia vitivinicola è determinata dalla presenza di tantissime cantine piccole e piccolissime su questo territorio tormentato e questa specificità garantisce vini di qualità assoluta, figli di una conoscenza che viene da lontano, che ha le sue radici nella tradizione e nella laboriosità di chi vinifica avendo come scopo l’eccellenza.
Le rare grandi aziende locali, pur non affermandosi per prodotti di qualità assoluta, hanno fatto tanto nel corso di questi decenni dopo il terremoto, hanno aperto la strada con un marketing intelligente che ha posizionato i vini irpini sui mercati internazionali ed è grazie a questo che le piccole aziende che fanno la migliore qualità sono riuscite a trovare mercato e a crescere in un mercato che comincia a comprendere questa ricchezza.
Pasqualino, come lo chiamano in paese, aveva ereditato l’azienda agricola dal padre e dal nonno che erano imprenditori agricoli e, pur avendo la possibilità di insegnare nelle scuole, aveva deciso invece di proseguire il suo percorso in agricoltura e nel 1994 aveva ristrutturato in cantina uno stabile usato in passato come stalla e bottaia. Con la sua mentalità impetuosamente innovativa l’aveva subito rifornito di tutte le più moderne attrezzature per la vinificazione di uve inizialmente comprate da altri viticoltori e che però selezionava accuratamente egli stesso mentre ricercava terreni per impiantare nuove vigne lassù al fresco in Contrada Rotole e dintorni.

Di Prisco

Attualmente sono circa dieci ettari di proprietà e almeno altri 2 in affitto, tutti ben sistemati sui 600 metri di altitudine, coltivati con i vitigni autoctoni dell’Irpinia, come aglianico, coda di volpe, falanghina, fiano di Avellino e greco di Tufo per un totale da circa 60.000 a circa 70.000 bottiglie a seconda dell’andamento delle annate. I vini sono ottenuti nel rispetto delle tradizioni, ma al tempo stesso con l’uso delle più moderne tecnologie enologiche fin dalla prima annata di Taurasi del 1997 e vengono confezionati secondo le più attente norme igieniche per poi essere immessi sul mercato, pronti ad accompagnare le pietanze più prelibate.
La cantina Di Prisco è diventata un esempio di tradizione e di passione per il vino con una professionalità che fa da punto di riferimento per l’intera zona, infatti ha meritato il grande successo che ha ottenuto e che è testimoniato dai numerosi premi e riconoscimenti che è riuscito a ottenere grazie alla sua costanza, al suo entusiasmo e grazie all’eccellente qualità e alla genuinità dei suoi vini prodotti da un vero gioiellino tecnologico anche se in piena campagna sotto le attente cure dell’enologo Carmine Valentino e anche la consulenza di Fortunato Sebastiano.
Il Greco di Tufo ”Pietra Rosa” è il fratello maggiore del Greco di Tufo base dell’azienda, già molto buono e molto apprezzato e che consiglierei volentieri con tutti i piatti di pesce, dagli antipasti ai risotti, dalla pasta al sugo di pesce con il pomodoro fino alla frittura di pesce (con il pesce alla griglia però preferirei un Aglianico giovanissimo). Il ”Pietra Rosa” è un Greco di Tufo più morbido, rotondo, complesso, di buona struttura, di una freschezza che esalta la Campania Felix con la sua espressione tipicamente territoriale. Ha una marcia in più, uno scatto irraggiungibile che lo abbina in modo perfetto ai latticini locali, molto delicati e gustosi negli aromi, poiché nel calice si sviluppa con il carattere rigoglioso, la sinuosità e l’eleganza di una danzatrice Awalim nella danza del ventre, la danza classica delle danzatrici velate e raffinate nelle corti principesche del Medio Oriente.
Il nome ”pietra rosa” si collega al luogo di vinificazione, Fontanarosa, che è un antico centro di lavorazione della pietra.
Nato da Greco in purezza, è ottenuto fin dal 2005 da uve selezionate di una vigna di Montefusco che si trova a un’altitudine di 650 metri s.l.m. su suoli argillosi e calcarei ricchi di potassio e magnesio con esposizione a sud-ovest. Le viti sono allevate a Guyot e sottoposte a vendemmia nella seconda decade di ottobre con una resa massima di 80 quintali per ettaro. La produzione è di circa 5.000 a volte anche 6.000 bottiglie a seconda dell’annata.
Il mosto non fa macerazione sulle bucce e svolge la fermentazione alcolica in acciaio inox a temperatura controllata. Dopo la svinatura il vino viene messo a maturare in vasche di acciaio inox per 6 mesi e, dopo essere filtrato e imbottigliato, questo cru si affina per altri 12 mesi in vetro. Tenore alcolico del 13,5%, acidità totale 6,2 g/l, estratto secco 23-24 g/l, nessun residuo zuccherino naturale.

Greco di Tufo Pietra Rosa 2019 Di Prisco

Consiglierei di servirlo e mantenerlo a una temperatura tra 8 e 10 °C in calici di apertura per vini bianchi leggeri e di media struttura che non necessitano di grande ossigenazione per aprirsi e favoriscono la concentrazione dei profumi verso il naso, esaltando la percezione degli aromi e limitandone la dispersione.
Di colore giallo intenso e luminoso, attacca con un profumo dolce di bergamotto tra sfumature di anice stellato che introducono un bouquet di ricca complessità con aromi di pesca gialla, ananas, avocado in una piacevole atmosfera di zafferano, pepe bianco e macchia mediterranea. In bocca conferma gli aromi e mostra buona struttura ed equilibrio. Di gran corpo, infonde una sensazione di calore molto avvolgente, presenta un’acidità sostenuta, direi graffiante, con una vena di salsedine marina che affascina con la sua decisa verve sapida iodata ed esalta la succosità e la freschezza della pesca gialla, dell’albicocca, della mela verde e di quella bianca di Grottolella (renetta champagne) matura e appena colta. In bocca è ricco e piacevolissimo per la freschezza degli aromi fruttati e la pulizia cristallina, alterna i toni rustici a sensualissime sfumature. Non è un vino semplice, anzi è complesso, prorompente sia al naso che al palato. Non gli fa difetto la persistenza di una leggera vena di pietra di talco bagnata tra i richiami di gardenia e salvia verso il gustoso mandorlato finale, molto lungo e con la bocca che rimane asciutta e saporita. È un vino perfetto da bere subito, ma può evolvere bene e riposare in cantina tranquillamente per 2 o 3 anni e conservarsi ancora qualche anno in più.
Abbinatelo ai latticini come la burrata oppure ai formaggi freschi, ma godetevelo piacevolmente con le crudité di frutti di mare, i crostacei appena scottati sulla piastra e i tranci di grandi pesci (cernia bruna, ricciola, leccia…) arrostiti,  anche le fritture di pesce, ma accompagna bene le pietanze di carni bianche in salse nobili.

Mario Crosta

Cantina Di Prisco
Contrada Rotole, 27 – 83040 Fontanarosa (AV)
coord. GPS: lat. 41.000294 N, long. 15.024561 E
Tel. 0825-475738
profilo in Facebook Cantinadiprisco
e-mail info@cantinadiprisco.it

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

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