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Anguilla alla borghigiana in umido con San Colombano tranquillo

Anguilla alla Borghigiana

L’anguilla in umido è un piatto saporito e sostanzioso che si consuma comunemente durante le festività natalizie, ma i ghiottoni se lo vanno a cercare nei ristorantini lungo i fiumi e i canali in qualsiasi stagione quando non fa troppo caldo. L’anguilla è un pesce che fa parte della famiglia degli anguillidi, nasce nei mari dei Sargassi, nell’Oceano Atlantico, che i piccoli attraversano sospinti dalle correnti fino alle foci dei fiumi europei che poi risalgono finché non trovano cascate o cateratte. Nel periodo della riproduzione però fanno ritorno nell’Oceano Atlantico, dove concludono il loro ciclo vitale dopo aver deposto le uova. Le anguille giunte nelle acque europee vengono chiamate cieche (perché sono facilmente pescabili) mentre quelle più grosse sono chiamate capitoni. Con il termine anguilla, infatti, ci riferiamo più agli esemplari maschi, che sono di minori dimensioni, mentre, con il termine capitone ci riferiamo di più agli esemplari femmina che arrivano a pesare anche 6 chili per un metro e mezzo di lunghezza.

Anguilla alla Borghigiana

Anguille e capitoni sono pesci dell’ordine Anguilliformes con le pinne raggiate, caratterizzati da una forma allungata che ricorda quella dei serpenti e da cui derivano il nome, perché anguis in latino significa appunto serpente. Per la precisione, questi grandi pesci d’acqua sia dolce che salata comprendono un totale di 800 specie che variano nell’aspetto per lunghezza, colore, pinne e bocca. Questo pesce è piuttosto calorico e ricco di grassi e viene spesso cotto alla griglia, un metodo di cottura che gli permette di perdere una notevole quantità di grasso che colerà grazie al calore ricevuto e che non si deve consumare, ma gettare. Oltre alla rinomata preparazione in carpione, propria delle Valli di Comacchio, le sue cotture più comuni sono quelle allo spiedo, in umido o in frittura e si conserva a pezzi anche in vasetto di vetro. Poiché si tratta di un pesce piuttosto viscido e che necessita di una certa manualità per essere porzionato, se avete qualche problema fatevi aiutare dal pescivendolo di fiducia per averne de tranci già pronti, anche per evitare di sobbalzare dalla sorpresa se vedete che questi si incurvano nei primi istanti della cottura.
L’anguilla alla borghigiana non è altro che quella in umido allestita alla maniera degli abitanti di Borgo Ticino, un piccolo paese situato al di là del Ponte Coperto rispetto al centro di Pavia che è caratterizzato dall’aspetto tipico dei villaggi dei pescatori, con le piccole case di colori differenti posizionate una accanto all’altra. C’è chi la cucina senza pomodori, secondo un’altra ricetta tratta dal libro ”La cucina di Lodi – Le ricette della tradizione” a cura dell’ APT del Lodigiano, ma sinceramente preferisco questa. Una volta terminata la cottura, l’anguilla va servita ben calda, eventualmente accompagnata con un po’ di polenta solidificata, già pronta e tagliata a pezzi.

Ingredienti per 4 persone

  • 600 g di anguilla
  • 2 cucchiai di farina 00
  • 40 g di burro
  • 1 paio di cipolle (gialle, anche viola)
  • 1 paio di piccole carote raschiate
  • 1 costa di sedano
  • 1 paio di spicchi d’aglio sbucciato
  • la scorza grattugiata di 1/2 limone (solo la parte gialla)
  • 3 o 4 foglie di salvia
  • 2 bicchieri di vino rosso (San Colombano)
  • 1 foglia d’alloro
  • pepe macinato al momento a piacere
  • sale fino quanto basta
  • 1 manciata abbondante di prezzemolo tritato

Procedimento
Pulite l’anguilla tagliandole la testa, spellatela e apritela sulla pancia per eliminare le interiora e tagliatela a tronchetti lunghi circa 4 o 5 centimetri, quindi pulitela mettetela sotto l’acqua corrente per sciacquare l’interno e rimuovere il sangue, poi asciugateli bene con un panno pulito.

Anguilla alla Borghigiana

Appena sono asciugati bene, infarinateli e fateli rosolare a fuoco dolce in una padella antiaderente in modo che perdano il loro grasso. Rivoltateli con cura e, quando sono completamente dorati, toglieteli dal fuoco e deponeteli su carta da cucina assorbente per lasciarli scolare dall’unto in eccesso.
Nel frattempo, mondate, lavate e tritate le cipolle, la carota e la costa di sedano. Mettete a soffriggere per un paio di minuti il burro in un tegame largo dai bordi alti con l’aglio sbucciato, aggiungeteci le verdure lavate e a pezzi piccoli e fatele appassire a fuoco dolce per una decina di minuti, quindi passate tutto al passaverdura.
Deponeteci quindi i pezzi di anguilla, cospargetela con la scorza grattugiata del limone, uniteci la polpa tritata a coltello dei pomodori pelati dopo una scottatura in acqua bollente, la salvia e le verdure passate.

Anguilla alla Borghigiana

Alzate il fuoco, bagnate con il vino e fatelo sfumare per qualche minuto. Abbassate il fuoco, regolate sale e pepe e aggiungete la foglia di alloro. Se il fuoco è giustamente regolato e la padella è veramente antiaderente, per la buona riuscita del piatto consiglierei di non rimescolare mai, per non rompere la polpa dell’anguilla.
Per evitare che il tutto si attacchi sul fondo, è sufficiente scuotere di tanto in tanto la casseruola, ma se la prima volta non avete la pratica sufficiente, staccate pure i pezzi incollati sul fondo, però molto delicatamente, con un cucchiaio di legno. Sfasciare i tronchetti di anguilla non è proprio consigliabile.
Coprite e portate a fine cottura su fuoco dolce per circa 40 minuti, aggiungendo, se il fondo di cottura si asciuga troppo, un pochino di acqua bollente e, terminata anche la cottura, insaporite tutto con una manciata di prezzemolo fresco tritato.
Intanto che l’anguilla cuoce nel vino, prima di versare l’ultimo bicchiere, scaldate la polenta fatta qualche ora prima, solidificata e a pezzi scottati o fritti, quindi servite la pietanza direttamente nei piatti dei convitati.



Vigneti cantina Bonino

Il vino consigliato: San Colombano ”Banino” tranquillo 2018 Antonio Panigada
Qui ci vuole un vino che possa risciacquare la bocca dalle spezie e sgrassare il palato: niente di meglio che un vino… milanese fin dal Cinquecento. No, non parlo di un vino dell’Oltrepò pavese, una terra che allora ancora oggi chiamiamo Antico Piemonte, sebbene anche qui si consumava principalmente un rosso con le anguille. Propongo un vino della terra a est del fiume Ticino che va a sfociare nel Po. Si fa a San Colombano al Lambro, che dista una trentina di chilometri da Milano e anche da Pavia, ma che si trova a nord del Po e consente così alla provincia di Milano di potersi fregiare di un vino DOC all’interno del suo territorio, dove è rimasto in seguito al referendum locale del 1992. Me l’aveva fatto conoscere un amico indimenticabile che è stato campione italiano di ciclismo su pista: Primo Bergomi, quello che, grazie alla grande simpatia e al suo nome, un altro indimenticabile commentatore televisivo nonché un vero cicloamatore come Adriano De Zan, al traguardo poteva arrivare in qualsiasi posizione, tanto veniva presentato comunque così: ”è arrivato Primo”… Bergomi!

Vigneti cantina Banino

Là dove finisce la pianura, dove anche la salita di un ponte preoccupava quel grande pistard, si trova questa piccola zona collinare che si estende a un’altitudine media di 144 metri d’altitudine in un’area vitata di circa 250 ettari e produce circa un milione e mezzo di bottiglie di vino. Lo strato di questa terra è profondo ed è emerso dall’antico mare pliocenico per un movimento tellurico, tanto che vi si ritrovano ancora i fossili di coralli e conchiglie. Non è, però, assolutamente roccioso, quindi è ben drenato e permette perciò l’allungarsi delle radici delle viti alla ricerca di acqua, così qui possono prosperare quelle uve che il monaco irlandese San Colombano aveva cominciato a introdurre già nel VI secolo. Ci sono le varietà a bacca bianca verdea e malvasia aromatica di Candia con quelle a bacca rossa come croatina, barbera e uva rara, e si nota una presenza molto limitata di vitigni internazionali come merlot e pinot nero. San Colombano ha una lunga tradizione di vini rossi frizzanti, come le zone limitrofe come l’Oltrepò pavese, il Piacentino e il Parmense.
La famiglia Panigada, proprietaria di uno storico negozio di salumi in centro a San Colombano, produce da tre generazioni questo vino che si chiama come i suoi abitanti, i banini. Anche la cantina si trova nel centro di San Colombano, in una delle vie più belle e caratteristiche che portano al locale Castello del Barbarossa: via della Vittoria. Ed è qui che vengono vinificate esclusivamente le uve provenienti da cinque ettari di vigne di proprietà che si trovano nelle località La Merla, Baracca e Ca’ del Mazza, tutte ben esposte a sud. Scheletro e composizione dei suoli variano bruscamente nel volgere di pochi metri e vanno dalle terre bianche, ricche di calcare e argilla con tracce di gesso, alle zone sabbiose o limose che, diversificate anche dalle diverse esposizioni solari e dalle diverse curve di livello danno origine a microzone e microclimi che creano uve di primissima qualità.
Nelle loro vigne non si usano diserbanti né concimi chimici. A  nutrire le viti è lo sfalcio di erba e fiori di campo con la successiva decomposizione naturale e anche la protezione fungina viene qui applicata usando principalmente zolfo e rame, senza trattamenti antibotritici. Le vendemmie sono totalmente manuali e le raccolte sono effettuate in cassette per salvaguardare l’integrità e la fragranza delle uve.
Antonio Panigada si è laureato  in Economia e Commercio all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ma ha scelto di riporre la sua laurea nel cassetto e di fare il contadino come suo padre Stefano e suo nonno Antonio, cioè con tante idee sui vini sinceri, quelli che sanno di vino e non seguono le mode. Coerentemente con questa filosofia che non accetta alcun compromesso né rincorre il mercato, la vinificazione avviene secondo i tempi lunghi che la natura richiede, senza fretta, perciò questi vini vivono ancora a lungo in bottiglia, anche se sono già pronti da giovani. Il fuoriclasse rosso è il San Colombano ”Banino” Riserva Vigna la Merla che matura per 24 mesi in rovere e affina altri 20 mesi in bottiglia, senza chiarifica né filtrazione.

San Colombano ”Banino” tranquillo 2018 Antonio Panigada

Con questa ricetta, però, preferisco il San Colombano ”Banino” tranquillo 2018 che è un vino paesano, senza fronzoli, direi nudo oppure con i calzoni corti, con la tipica rusticità suggestiva del ragazzotto di campagna, senza sentori di legno e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Proviene da uve barbera 40%, croatina 40%, uva rara 10% e merlot 10% coltivate a densità tra 5.000 e 8.600 ceppi per ettaro. Macerazione sulle bucce senza rimontaggi, lenta fermentazione a 19°C, maturazione sulle fecce fini di fermentazione per 12 mesi in botti di rovere francese, affinamento in vetro per almeno altri 6 mesi.
Nel calice si presenta di colore rosso rubino vivo, acceso, ma scuro e profondo. Attacca con un profumo di marasca dalle sfumature speziate che introduce un bouquet ampio in continua evoluzione di aromi di piccoli frutti rossi maturi tra note di sottobosco e mentuccia. In bocca è succoso e conferma il fruttato anche in confettura, si sentono pure le olive al confetto e alcune sfumature balsamiche e di bastoncino di liquirizia con ricordi di tabacco. È di corpo pieno, ricco, di grande struttura, dalla beva dinamica grazie a una freschezza e a una sapidità bilanciate con un tannino non ancora addomesticato, ma che lega la bocca senza eccessi, accompagnato da una gradevole acidità verso un finale leggermente mandorlato. Assicura un buon potenziale di evoluzione nel tempo.
Grande versatilità anche negli abbinamenti della cucina milanese: oltre all’anguilla in umido, anche polenta e brüscitt, risotto allo zafferano con il midollo, gnocchi al taleggio e noci, costine di maiale alla brace, ossibuchi in gremolada, cassöla, sanguinacci, tagliata di tonno alla griglia e robiole cremose di media stagionatura.

Mario Crosta

Cantina Banino – Antonio Panigada
Via della Vittoria 13, 20078 San Colombano al Lambro (MI)
coord. GPS: lat. 45.183066 N, long. 9.488784 E
Tel. 0371/898795
Sito: www.banino.it
e-mail vinobanino@hotmail.com

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

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