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Spaghetti con la colatura di alici di Cetara e Friulano del Collio

Spaghetti con la colatura di alici di Cetara

La colatura di alici è una salsa liquida trasparente dal colore ambrato che viene prodotta con un procedimento di maturazione delle alici in una soluzione di acqua e sale.
Tipica di Cetara, piccolo borgo marinaro della Costiera Amalfitana è un prodotto gastronomico che si può paragonare al garum degli antichi Romani (una salsa di interiora e parti di pesce sotto sale, che veniva utilizzata come condimento): una ricetta recuperata nel medioevo da molte comunità di monaci presenti nella Costiera Amalfitana che usavano conservare le alici sotto sale mettendole in botti di legno con le doghe allentate.
Tra le fessure delle doghe, sotto l’azione del sale, filtrava un liquido che veniva raccolto in appositi recipienti e utilizzato per insaporire le pietanze.
Lo stesso procedimento viene impiegato ancora oggi dai pescatori di Cetara che l’hanno perfezionato utilizzando dei filtri di lana per depurare la salamoia.

Ingredienti
400 gr di spaghetti, 10 pomodorini San Marzano,  4 spicchi d’aglio, 4 cucchiai di colatura di alici di Cetara, 150 cl. circa di olio evo 100% italiano, capperi dissalati e pepe da macinare.

Presentazione: foglie di prezzemolo tritate e 1 peperoncino intero.

Preparazione
Qui ci vuole una T-shirt giallopinta e la bandana da pescatore.
Stappo una botta di Costa d’Amalfi Bianco 2006 di Marisa Cuomo.
Le pergole e le spalliere di Falanghina e Biancolella che si raccolgono a raggiera sopra Cetara, Raito e Furore, su terrazzamenti costieri a 400 metri sul mare, producono questo fiore d’uva dal delicato profumo di frutta che riporta agli inconfondibili odori mediterranei della zona di origine.
Siamo in un tratto di costa che prende il nome dalla città di Amalfi, nucleo centrale della Costiera (non solo dal punto di vista geografico ma anche per il suo storico passato), considerato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Mentre mi scende giù per la gola la sinfonia di uno spartito di note alcoliche acide e fresche, scritto dalle sapienti mani di Marisa, faccio partire le immortali e altrettanto fresche note dell’Inno alla Gioia, di Ludwig Van Beethoven e gioiosamente mi accingo alla…

Esecuzione
Metto sul fuoco l’acqua per far bollire gli spaghetti (senza salarla perchè la colatura, che andrà aggiunta alla fine è già salata di suo).
Taglio in quattro parti, per il lungo, i pomodorini San Marzano e li verso in una padella antiaderente con l’olio evo,  i 4 spicchi d’aglio e i capperi dissalati.
Amalgamo bene gli ingredienti, girandoli con una marisa, finchè l’olio avrà impregnato di sè il rosso vivo del pomodoro.
Faccio cuocere a fuoco lento e appena l’aglio incomincia a indorarsi lo tolgo e continuo la cottura ancora per qualche minuto.
Una volta cotti, scolo gli spaghetti, poi li rimetto nella pentola con un pò della loro acqua di cottura sul fondo per tenerli caldi mentre mi accingo a metterli nei piatti.
Al centro di ogni piatto faccio un mucchietto di sugo e lo avvolgo con gli spaghetti
formando un cumulo di pasta, come fosse un cratere, alto una decina di centimetri circa.
Condisco con il sugo (che tengo sempre sul fuoco in modo che rimanga caldo).
Vi grattugio sopra un po’ di pepe, irroro con la colatura, spolvero con il prezzemolo tritato e decoro con il peperoncino intero.

Collio Friulano Livon

Vino abbinato
Lasciandosi alle spalle San Giovanni al Natisone, situato sul fiume omonimo, ai limiti orientali della pianura friulana, ai piedi delle prime alture del Collio e seguendo ad est la SR56, verso Capriva del Friuli, appena superato un altro fiume, il Judrio, a Villanova del Judrio, si arriva a Cormons, provincia di Gorizia ma a meno di tre chilometri dal confine con la Slovenia.
La strada che porta verso la linea di frontiera italo-slovena, attraversa le terre e le vigne che nel giro di poco più di cento anni sono passate due volte sotto la dominazione austriaca e due volte sono state riconquistate dall’Italia e i cartelli che contrassegnano i vigneti hanno nomi che manifestano l’avvicendarsi delle due giurisdizioni: Polencic (Isidoro), Toros (Franco), Keber (Renato, Edi), Sturm (Denis, Oscar…),  Branco (Igor), Kurtin (Eugenio)… L’ultimo fazzoletto di terra italiana prima del confine è località Zegla, (Zegla in friulano, Ceglo in sloveno), frazione di Cormons, con circa una ventina di abitanti, steso come un tappeto verde, pianeggiante, parzialmente ondulato da uno spettacolo di vigne che prendono luce ed aria dal mare Adriatico, distante meno di 20 chilometri in linea d’aria.
Una terra fortunata dove crescono antichi vitigni autoctoni, unici al mondo e dove il vino oltre ad essere un piacere è anche cultura e tradizione millenaria.
Qui, nel 1964, Dorino Livon getta le basi per la sua azienda: l’Azienda Agricola Livon.
Dorino finirà per diventare uno dei più affermati viticoltori friulani, tanto da dividere con un altro grande vignaiolo di queste terre, Gaspare Buscemi, una storia vitivinicola fatta di passione e amore per le proprie viti e il proprio territorio: il Collio e i Colli Orientali del Friuli.
Oggi l’azienda è condotta dai figli di Dorino, Valneo e Tonino che, a partire dal 1985, hanno reso riconoscibili le proprie bottiglie contraddistinguendole con il logo della Donna Alata di Ertè, un segno inconfondibile per chi, dentro a un vino di qualità, vuole trovare anche la terra da cui nasce.
A partire dal 1992, Valneo e Tonino, hanno  acquistato altre aziende agricole, site in territori diversi; Villa Chiopris e Tenuta Roncalto in Friuli, Borgo Salcetino in Toscana e Azienda agricola Colsanto in Umbria, che gestiscono con i figli.
Il vino scelto, per il perfetto abbinamento al piatto di  Spaghetti con la colatura di alici  è il Livon Friulano DOC Collio che nasce nelle vigne Livon di Dolegna del Collio, con sistemi di allevamento a Cappuccina e Guyot, situati a 220-240 metri s.l.m..
In queste vigne l’erba viene tagliata 2 volte l’anno e lasciata lì insieme alle foglie, quando la vite si spoglia.
I grappoli (100% Friulano) si raccolgono manualmente quando sono vellutati, gravidi.
Vengono scartati quelli che presentano delle imperfezioni: una selezione assolutamente necessaria per preservare il frutto sano e sfruttarne al meglio la purezza.
L’uso del metabisolfito è ridotto al minimo (di molto inferiore ai limiti imposti dal disciplinare biologico), perché se l’uva è sana e sai quello che finisce nelle vasche o nelle botti, non c’è bisogno di aggiungere tanti additivi.
Niente pesticidi e concimi chimici e un uso chirurgico dei trattamenti in vigna.
Questa scarna descrizione da già un’idea precisa della filosofia produttiva cui ci troviamo di fronte, che ha un punto fermo e intransigente: la genuinità del vino.
Questa è la chiave di tutto.
E siccome, prima di tutto, per fare un vino genuino, ci vuole una terra genuina, ecco che la terra diventa il luogo da cui partire per fare una viticoltura culturale.
Un luogo nel quale il legame inscindibile con la vigna è espresso con un concetto che i francesi chiamano terroir.
Il terroir definisce l’interazione tra più fattori, quali esposizione, clima, viti e terreno.
E qui il terreno è il caratteristico “flysch” o “ponca” (nel gergo dialettale) tipica del Friuli orientale, risalente al periodo eocenico e di origine marina, frutto di una lenta sedimentazione e costituito da marna friabile (argilla calcarea) che tende facilmente a sgretolarsi sotto l’azione degli agenti atmosferici (pioggia e calore) e arenaria (roccia sedimentaria composta di granuli sabbiosi).
Un suolo e un sottosuolo con una composizione geologica originata in seguito alle varie erosioni intervenute, ricco di magnesio, fosforo e potassio, adatto per produrre uve e, di conseguenza, vini con caratteristiche ideali per struttura e aromi.
Questo Friulano non subisce filtrazioni: il mosto viene depurato dai depositi per decantazione.
La fermentazione avviene in vasche in acciaio, le stesse in cui  rimane, dopo la fermentazione,  a maturare per circa cinque mesi ad una temperatura controllata.
Poi viene imbottigliato e in bottiglia rimane per alcuni mesi ad affinare prima di essere messo sul mercato.
L’annata 2022, che abbiamo abbinato al nostro piatto, ha il classico colore giallo paglierino   con caratteristici riflessi verdognoli.
Un vino fresco, avvolgente, complice, di una soavità vivace.
È completo dal naso alla bocca, senza eccessi ma lineare nella sua grande struttura e fragranza.
Sopra tutti, gli aromi di pera, mela e pesca che nel finale lasciano il posto alla mandorla, tipica del vitigno.
L’anima del Friulano, la sua essenza, le note minerali caratteristiche, vengono fuori prepotentemente e aiutano a prolungare la freschezza, la lunghezza e la persistenza delle sensazioni.
Dentro questo vino c’è una tensione gustativa che esprime la provenienza, l’origine, le radici.
Un vino con le caratteristiche giuste per potersi abbinare ad un piatto possente, con una struttura efficace ad esaltare, senza sovrastare, l’amalgama dei sapori che vi confluiscono.
È un peccato doverlo chiamare Friulano.
Se si fosse ancora chiamato col suo antico nome (cancellato da un vergognoso diktat europeo), alzando il calice avremmo potuto dire: “Un buon Tocai (come questo) non si scorda mai!”.

Valerio Bergamini

Aziende Agricole Livon
via Montarezza, 33 – Dolegnano (UD)

Valerio Bergamini

Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è stato titolare della concessionaria Piaggio a Pavia. Ha svolto stage all'estero per la conoscenza diretta dei mercati nelle aree emergenti (Tunisia dal 1988 al 1995 e Uzbekistan nel 1995) e ha messo a disposizione la sua esperienza come consulente per un pool di concessionari moto. Parallelamente alla passione per le due ruote è cresciuta quella per la poesia dialettale, per la buona cucina e il buon vino. Ha vinto numerosi premi letterari e concorsi di poesia. Dopo aver conseguito il titolo di Wine master (1990), presso l'Istituto di Cultura del Vino di Milano, ha sempre più approfondito la sua conoscenza enologica seguendo i corsi e le degustazioni organizzate dall'AIS di Milano. È membro del direttivo dell'Associazione Enocuriosi di Pavia che conta più di 300 soci appassionati di vino. Ha al suo attivo numerosi racconti pubblicati in edizioni private. Nel 2013 ha pubblicato il libro Origine del desiderio (di cucinare), nel 2015 il libro "Lino Maga, anzi Maga Lino, il Signor Barbacarlo" e nel 2016 "7 Soste sulla strada della passione".

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