Il sole nel calice con il Fiano di Avellino 2016 delle Vigne Guadagno
C’è una parte dell’Irpinia che si fa amare anche da chi non la conosce. Ricordo il terremoto e le battaglie che abbiamo fatto in fabbrica a Milano per decidere come fare a dare il massimo sostegno a quelle popolazioni e alle loro attività economiche appena dopo il disastro, mentre partivano di corsa tutte le missioni di soccorso del volontariato. Chi voleva dare contributi, chi voleva versarli a un Ente che li distribuisse e chi voleva invece portarli laggiù di persona e darli direttamente in mano a chi ne aveva bisogno.
Abbiamo raccolto quello che potevamo e abbiamo spedito Antonio e Pasquale, due compagni del consiglio di fabbrica di origine meridionale che, anche senza occhiali, avevano la vista buona e non si sarebbero mai fatti ingannare dalle apparenze. So che qualcuno ha versato perfino metà della sua tredicesima per una vedova con bambini piccoli che avevano tragicamente perso con il capofamiglia anche l’unico stipendio per sopravvivere.
Il parroco di quel paese, che non nomino perché è soltanto uno dei tanti borghi distrutti più dal menefreghismo della politica che li aveva abbandonati alla furia degli elementi, era uno di quei preti con gli attributi al posto giusto ed era prima riuscito a lanciare un appello mirato su Famiglia Cristiana e poi a fare assumere la giovane vedova nella Forestale, assicurando a quella famiglia almeno un onesto, decente, futuro.
Si era mosso anche il mondo del vino. Le più grandi aziende vitivinicole avevano deciso di destinare 1.000 £ per ogni bottiglia di vino venduta subito dopo il terremoto alla cantina Mastroberardino che ne era rimasta in parte distrutta e avevano così permesso di evitarle la cancellazione definitiva da quel panorama internazionale in cui svettava per la qualità già da parecchi anni. Mastroberardino si è riscattata in un modo straordinariamente veloce, ritornando a essere uno dei punti di riferimento principale della vitivinicoltura del nostro Meridione.
Scusate se vi ho coinvolto anche in questi ricordi, ma è perché li ritengo necessari a far capire ai più cos’è il vero mondo del vino (il miglior ambasciatore del territorio e il miglior aggregatore sociale), in cui la solidarietà del calice è stata ben descritta dall’indimenticabile Giorgio Gaber con la sua canzone Barbera e Champagne.
L’Irpinia vitivinicola si trova fra le colline che si specchiano nell’acqua di due fiumi, il Sabato e il Calore. Il territorio è molto impervio e isolato perfino più di quanto sia immaginabile per chi viene da fuori. A queste altitudini tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare l’uomo si è radicato soltanto per le necessarie attività agricole. Le piogge e le nevicate addormentano i cicli vegetativi durante tutto l’inverno, ma il sole diventa padrone assoluto in primavera e in estate, quando riesce perfino a farsi odiare, a volte, per la fatica e il sudore che fa spendere agli agricoltori e ai vignaioli, anche se le notevoli escursioni termiche rendono le temperature notturne piuttosto fresche d’estate, consentendo qui più che altrove quella perfetta maturazione delle uve che era già evidente fin dall’epoca dell’Impero Romano.
I terreni sono prevalentemente di origine vulcanica e vanno da quelli più sciolti che sono derivati dalle ceneri delle emissioni eruttive combinati con l’argilla fino a quelli ricchi di tufo oppure di limo. Sono differenze notevoli, tanto che nel bacino del Sabato si trovano in gran parte le vigne di uve bianche come il fiano e il greco, mentre nel bacino del Calore si trovano in gran parte le vigne di uve rosse come l’aglianico.
Avrei voluto suggerirvi un ottimo Fiano di Avellino di Mastroberardino, che conosco bene fin da prima di quel terremoto e sulla qualità del quale non posso che mostrare un entusiastico chapeau bas, perché si tratta di un vino sempre a livello dell’eccellenza che gli è riconosciuta ormai in tutto il mondo. Ma il successo di quella grande cantina è già assicurato da decenni e alla mia età ho anche il dovere di incoraggiare la scoperta di piccole realtà meritevoli di attenzione, come quella dei fratelli Giuseppe e Pasquale Guadagno, un’azienda sorta da pochi anni, nel 2010, su quasi 6 ettari di proprietà e 3 in gestione.
A Santa Paolina ci sono 3 ettari coltivati con il greco, a Montefredane 3 ettari e mezzo con il fiano, a Bonito 1 ettaro con la falanghina e a Montemarano 2 ettari con l’aglianico. In prevalenza ci sono dunque i bianchi che, infatti, qui sono decisamente promettenti non solo per le ideali condizioni pedoclimatiche naturali, ma anche perché sono ben fatti con l’uso di tecniche agronomiche a basso impatto ambientale, nel massimo rispetto dei terreni, delle viti, dell’ambiente naturale e delle condizioni di lavoro in campo.
Negli ultimi anni ho avuto modo d’incontrare produttori di grandi aziende con estensioni notevoli che, stimolati anche da piccoli produttori con cui hanno un rapporto di amicizia e di scambio culturale, hanno cominciato a capire che non si può più andare avanti a impoverire e cementare i terreni con l’uso più facile dei prodotti chimici di sintesi, come un cane che gira in tondo per mordersi la coda. Il ritorno al sovescio, l’uso di concimazioni organiche che rendono la terra soffice, gli stimoli all’autodifesa della vite stessa con l’uso di estratti vegetali e prodotti di copertura dalle malattie fungine sono diventati per me molto importanti anche nella valutazione dei vini che, quando derivano da uve sane di terreni sani, ormai per me hanno la precedenza.
Giuseppe Guadagno e suo fratello Pasquale, che continuano da decenni a fare gli imprenditori nel settore finanziario, non credevano proprio di diventare anche vitivinicoltori. Acquistando i loro primi tre ettari di vigna nell’agro di Montefredane a 450 metri di altitudine sul livello del mare, avevano in mente piuttosto un agriturismo con vigna, però si erano appassionati subito a questa nuova, salutare, attività bucolica e avevano deciso di impegnarsi anima e corpo su questa strada.
Avvalendosi della consulenza agroenologica di Gennaro Reale di Vignaviva.com, una vera zampata della natura anche nei vini, hanno provato quindi a vinificare il proprio vino presso una cantina di amici.
Il Fiano di Avellino di Vigne Guadagno proviene appunto da questa vigna di Montefredane che nella parte alta è un gradonamento a quattro terrazze esposto a sud con suoli sciolti attraversati da tufi e pozzolane di antiche eruzioni vesuviane. Le viti qui sono allevate a controspalliera – Guyot bilaterale con densità di 4.000 ceppi per ettaro e danno una media di 70 quintali di uve per ettaro. Poche migliaia di bottiglie, ma subito interessanti, perché il buon respiro della terra e la vigoria delle piante ha prodotto subito ottimi risultati.
Apprezzo particolarmente la straordinaria longevità di questi gioiellini dal fruttato in continua evoluzione dalla fragranza della gioventù fino alla complessità della maturità e alla finezza che riesce a raggiungere con il tempo. Il Fiano di Avellino, se viene conservato in condizioni ideali di umidità, temperatura, buio e tranquillità, è uno dei vini bianchi più longevi del nostro bel Paese ed evolve i suoi aromi e i suoi sapori in modo graduale e coerente. Fruttato delicato in gioventù, confetture di frutta in maturità e infine frutta sotto spirito.
Le uve dell’annata 2016, un’annata felice, sono state vendemmiate nell’ultima settimana di settembre e vinificate con decantazione statica del mosto dopo la pressatura soffice dei grappoli interi.
Il mosto è fermentato senza l’aggiunta di enzimi a temperatura controllata di 16 °C in vasche di acciaio inossidabile dove ha completato anche la malolattica, seguita dall’affinamento per 7 mesi sui propri lieviti sempre in acciaio inossidabile. Tenore alcolico del 13%.
Il vino è stato imbottigliato alla fine di maggio dell’anno successivo alla vendemmia. Si è mostrato molto fresco, arioso e, come i migliori Fiano di Avellino, ha trovato un equilibrio perfetto alla beva e sono certo che varrebbe la pena anche lasciargli passare un paio d’anni ancora per domare l’esuberanza del fruttato e stirare la bella veste salmastra, iodata, che profuma di mare, come già suggeriva la prima annata prodotta, il 2010.
Il colore è paglierino con riflessi ancora verdolini. È un Fiano di Avellino dai toni leggeri, con un tenore alcolico più contadino che atletico, eppure con una potenza sapida, capace di esaltare pietanze strutturate. Gli aromi sono piacevolmente agrumati di lime e di bergamotto con leggere sfumature di ortica e di mentuccia. Al palato è fresco, vispo e nella permanenza in bocca si fa morbido e avvolgente, con un finale dalle sfumature di mandorle e nocciole.
Mario Crosta
Società Agricola Vigne Guadagno
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vigna in località S. Aniello sulla S.P. 185, 83100 Montefredane (AV)
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