Dalle vigne ai boschi: il paradosso di Boca
Nell’Italia vitivinicola odierna ci sono molte zone dove la vigna ha preso il posto dei boschi, modificando paesaggi, ma, soprattutto, delicati equilibri, microclimi unici in alcuni casi, occupando magari luoghi non adatti per la vite, ma al massimo per il portafoglio di chi si è gettato nel grande (?) business del vino. C’è invece una piccola area del Nord Piemonte dove è successo esattamente l’opposto: dalla vigna si è passati ai boschi.
Il motivo non risiede in un improvviso impeto ecologista né, tanto meno, nella scoperta che una zona vocata all’improvviso non lo fosse più. Semplicemente, come è successo in buona parte del Nord Piemonte, soprattutto nell’immediato dopo guerra, il bisogno di lavorare attraverso occupazioni più redditizie rispetto alla produzione e commercializzazione di vino, ha spinto molti, in passato, ad abbandonare i propri vigneti per dedicarsi ad altro. Insomma, ci riferiamo al cosiddetto richiamo della fabbrica.
Per rendersi conto dell’incredibile panorama che disegnava le colline intorno a Boca, basta dare un’occhiata alle belle foto presenti all’interno della pro-loco di Boca, in particolare a quelle panoramiche che ritraggono il santuario dell’Antonelli e confrontarle con la visione, completamente diversa che si ha oggi. Se un tempo le vigne arrivavano praticamente ovunque e la vendemmia, così come tutte le altre fasi della vinificazione e dell’allevamento della vite, scandivano ritmi ed umori delle popolazioni locali, oggi, un bellissimo e sterminato panorama di alberi di ogni tipo, connota una visione altrettanto affascinante, ma alquanto atipica, considerando che Boca rimane tutt’oggi una delle capitali, magari con meno blasone e con una superficie vitata infinitamente più piccola rispetto ad altre, del nebbiolo ed in particolare di quello del Nord Piemonte, qui chiamato spanna.
Boca, Maggiora, Cavallirio, Grignasco e Prato Sesia: questi i comuni del Boca Doc, che vede ricevere la denominazione nel 1969 e che nell’unione del nebbiolo (spanna), da un minimo del 45% ad un massimo del 70%, con altri vitigni tipici di questo comprensorio, come tradizione vuole, evidenzia un suo tratto distintivo: stiamo parlando della vespolina (20-40%) e della bonarda novarese o uva rara (max 20%). Il periodo di invecchiamento obbligatorio è di 3 anni, due dei quali devono essere in botti di legno di rovere o di castagno. Ma sono altri i dati che però spiccano scorrendo il disciplinare e che, a detta di molti produttori locali, andrebbero cambiati o quanto meno ripensati: la resa per ettaro, che si attesta ancora come limite massimo sui 90 q.li, oggettivamente troppo alta, e l’acidità totale minima: 6 per mille. Ed in effetti la freschezza gustativa, che se ben equilibrata rende i vini di bella bevibilità, di certo non manca da queste parti. L’acidità, grande spina dorsale di tutti i grandi vini piemontesi che ambiscono a tenere nel tempo, sembra decisamente troppo alta secondo alcuni, che non intendono affatto tradire o stravolgere le peculiarità di un vino che anche, ma non solo, nella marcata freschezza ha uno dei suoi tratti distintivi, ma che potrebbe quanto meno vedere una modifica verso il basso nel disciplinare, come in quello del vicino Gattinara, di almeno mezzo punto (5,5 per mille), esigenza sempre più necessaria sia per i mutamenti climatici verso temperature sempre più elevate, sia per le diverse tecniche di allevamento e vinificazione.
Il porfido rosa, classiche rocce di origine vulcanica, che in molti punti si sfalda facilmente, pietra, ghiaia, poca o quasi nulla presenza di argilla e grande capacità di drenaggio: questi i tratti distintivi del terreno dei vigneti del Boca, praticamente strappati ai boschi ed in alcuni casi faticosamente riconquistati, nel tentativo di ridare a questa storica denominazione un paesaggio simile al passato ed una superficie vitata in grado di produrre un numero di bottiglie più alto e commercialmente più appetibile rispetto ad oggi.
Non semplice però questa operazione: basta chiedere ad alcuni produttori locali, per esempio a Christoph Künzli o a Massimo Zonca, per scoprire le loro peripezie passate ed attuali, per riuscire a comprare piccole parcelle di vigna adiacenti, ma appartenenti a tantissimi e diversi proprietari, che nel corso degli anni si sono moltiplicati a dismisura a causa di successioni ed eredità tra più gradi di parentela. Non bastasse questo aspetto, togliere degli alberi, anche se posizionati in ex vigne (in molti casi sono ancora visibili barbatelle abbandonate tra rovi e cespugli) per reimpiantare nebbiolo, vespolina o uva rara è impresa difficile, burocraticamente scoraggiante.
“Nel vino ci deve essere alchimia, non chimica” ci ha detto Elena Conti, dell’omonima azienda, e certamente i suoi vini sono degli illuminati esempi di quello sbandierato ed abusato concetto che risponde al nome di “legame al terroir”, oggi tanto in voga, ma che spesso viene poi tradito da assaggi, che vanno in ben altra direzione. Un’alchimia, un’empatia, una piacevole sinergia, l’abbiamo incontrata non solo tra molti dei vini che abbiamo assaggiato ed il terroir di provenienza, ma anche tra i produttori stessi, e questo aspetto ci ha piacevolmente stupito. “Sette produttori accomunati dalla passione per il Boca” diceva il volantino che pubblicizzava la serata del 29 novembre 2007 presso il Ristorante Pinocchio di Borgomanero e che ha visto la cucina di questo stellato ristorante locale unirsi a svariati campioni di vino locale, cogliendo, per altro, di sorpresa gli stessi organizzatori, che hanno visto presentarsi più di 200 persone tra appassionati, giornalisti ed operatori del settore. Sette produttori che cominciano ad incontrarsi, conoscersi, dialogare, scambiarsi consigli, mettersi in discussione, magari davanti a qualche annata vecchia dei loro nebbioli e qualche prelibatezza della cucina locale: stupisce l’assenza di invidia, la voglia di sperimentare e farsi conoscere, in alcuni casi galvanizzata dall’esuberanza giovanile di molte delle nuove leve che hanno ereditato cultura e passione per la terra dai genitori. Malignamente, si potrebbe pensare che l’essere, quanto meno per ora, al di fuori dei riflettori mediatici del grande circo che gira intorno al vino, aiuti a mantenere un clima gioviale, di grande confidenza e partecipazione comune: eppure tutti, da queste parti, hanno ammirazione per un personaggio, Christoph Künzli, non indigeno, ma svizzero, che nel giro di 10 anni si è innamorato di queste colline, ha comprato delle splendide vigne che altrimenti sarebbero state abbandonate come molte altre, ha cominciato a produrre vini decisamente interessanti, e per concludere, ha recentemente conquistato i 3 bicchieri della guida Vini d’Italia edita dal Slow Food/Gambero Rosso con il suo Boca 2003. Al di là dei premi guidaioli, che, sarebbe stupido non ammetterlo, indubbiamente aiutano a uscire dall’anonimato, il riconoscimento del ruolo trainante che quest’azienda, Le Piane, sta dando all’intera denominazione, ci è sembrato sincero da parte di tutti i suoi colleghi e questo lascia ben sperare per la crescita comune.
Difficile ed in fondo sempre sbagliato generalizzare, ma nel tentativo di trovare dei tratti distintivi nel Boca, sicuramente ci viene utile procedere per differenza rispetto alle altre denominazioni del Nord Piemonte: sui terreni, abbiamo già detto, ed occorre sottolineare come si distinguano nettamente, per esempio, da quelli di Fara, Sizzano e Ghemme, accomunati dalla presenza di colline moreniche, di origine più recente, ricche di strati alluvionali molto eterogenei. Siamo quindi in questo caso in presenza di terreni sciolti e più leggeri che in altre denominazioni del Nord Piemonte. Se invece guardiamo a Gattinara, facilmente visibile, per esempio, dalle colline di Grignasco, troviamo porfidi marroni e vini austeri, potenti, con un timbro minerale e rugginoso sia in bocca che al naso, che non compare nei vini di Boca, dove la mineralità, presente ma non preponderante, si unisce in modo molto elegante a sentori di frutti di bosco e di bacche scure, con piacevoli sfumature di erbe di campo.
Il microclima è un altro dei fattori distintivi dei circa 10 ettari di vigna attualmente piantati tra i comuni di produzione del Boca: il monte Fenera, che dona il nome anche al Parco Naturale, difende le vigne dai venti freddi provenienti dal Monte Rosa e fa sì che la vite possa arrampicarsi sino oltre i 500 mt. Infine i boschi: è evidente che la massiccia presenza di questi ultimi, abbia connotato la zona, paesaggisticamente, ma che abbia influenzato organoletticamente i vini: difficile stabilire come ed in che misura. Concludiamo questo nostro breve excursus in quel di Boca con un nome: maggiorina. Si tratta del tradizionale sistema di allevamento formato da quattro viti che si sviluppano secondo i quattro punti cardinali. Pare che addirittura il locale e noto progettista ed architetto Antonelli, nato a Maggiora, sia stato tra i cultori e perfezionatori. Oggi è ancora presente in molte vigne e facilmente riconoscibile, anche se buona parte di esse è stata convertita a sistemi più moderni e maggiormente diffusi (cordone speronato e guyot).
Alessandro Franceschini