Crostini di tonno alla bottarga di muggine e Vermentino di Gallura
Ingredienti per 6 persone:
• 80 g di Tonno in olio extravergine d’oliva
• 4 cucchiaini da caffè di bottarga grattugiata
• 140 g di formaggio cremoso spalmabile
Tagliate un filone di pane fresco a fette spesse circa 1 cm. Mettete il tonno in un piatto fondo e schiacciatelo per bene e finemente con una forchetta, fino a renderlo morbido. Aggiungete il formaggio cremoso spalmabile e amalgamate il tutto sino a ottenere una crema vellutata.
Aggiungete un cucchiaino d’olio e unite la bottarga già grattugiata, un po’ alla volta, mescolando per amalgamare bene il tutto e dosando la bottarga. Intiepidite per qualche minuto il pane in una larga pentola antiaderente, unitevi un po’ di crema e servite il crostino come antipasto.
In alternativa al pane si può utilizzare come base una rondella sbucciata di sedano rapa (sedano di Verona), bianca, pulita, lavata e asciugata in precedenza.
Questa è una preparazione velocissima per uno stuzzichino molto gustoso che ogni tanto ci vuole. Vanno poste però un’attenzione e una cura particolare alla scelta della qualità preferita degli ingredienti.
Il tonno in scatola è la conserva ittica preferita dagli italiani e i suoi principi nutrienti sono paragonabili a quelli del pesce fresco, anche se non tutte le scatolette sono uguali. Quelle che sono considerate migliori specificano sempre il tipo di tonno utilizzato, oltre a riportare stampate le informazioni obbligatorie per legge. Il pesce più utilizzato è il Pinna Gialla o Tonnetto, dalle carni chiare e rosate e dal gusto più delicato, ma si trova pure il Tonnetto Striato con le carni più scure e dal sapore più intenso. In quantità molto limitata si può trovare perfino il Tonno Rosso del Mediterraneo, protetto perché a rischio di estinzione, in genere inscatolato da piccole aziende artigianali. Potendo scegliere, è consigliabile privilegiare quelle che inscatolano il tonno di corsa, specificano il metodo di pesca (meglio a canna oppure con reti a circuizione), conservano in olio extravergine di oliva, non aggiungono additivi ed esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico cod. E621 e ne certificano la provenienza da un’area FAO che può trovarsi anche in un oceano lontano, ma che costituisce un’ulteriore garanzia.
La bottarga è un alimento costituito dalla sacca ovarica del pesce dalla quale viene estratto il liquido interno con la pressatura, poi viene salata ed essiccata in un luogo asciutto e areato per un periodo che va dai 45 ai 90 giorni. Per essere di alta qualità dev’essere compatta al taglio e di colore uniforme, senza macchie e provenire dal ventre del muggine (cefalo) o da quello del tonno rosso. Quella di muggine proviene in prevalenza dalla Sardegna o da Orbetello. Quella di tonno rosso proviene in genere dalla Sicilia, dall’isola di San Pietro e dai mari intorno alla punta della Calabria. Prediligo quella di muggine, classica e più delicata, che si trova in commercio già grattugiata in vasetti e in bustine oppure nelle sacche ovariche (le baffe) da grattugiare al momento come si fa con il parmigiano reggiano. C’è chi preferisce invece quella di tonno che invece ha un gusto di pesce più deciso, è più economica e si trova in genere soltanto in baffe, anche tre volte più grandi.
Il formaggio cremoso spalmabile è da decidere in base ai gusti. Una crema più delicata la si ottiene con il tipo philadelphia mentre con il tipo robiola otteniamo una crema più saporita. Vorrei ricordarvi però che l’aggiunta della bottarga renderà il sapore ancora più deciso.
Claudia Vincastri
Il vino Vermentino di Gallura “Vign’angena” Capichera
È un vino bianco di rara eccellenza per potenza e complessità, il terreno dove nasce, sulla strada per Sant’Antonio di Gallura, a circa 5 km da un’Arzachena arrampicata invece sui graniti che dominano i villaggi turistici della costiera di Cannigione, può apparire anche fin troppo selvaggio, addirittura lunare. Qui c’è la Tomba del Gigante, dove cominciano le terre dei grandi silenzi, baciate dal sole e tormentate dal vento, che sono l’obiettivo preferito dai piromani e si vedono ancora le profonde ferite inferte al paesaggio dalla loro vigliaccheria.
Fu verso gli anni ’70 che Sebastiano Ragnedda cominciò a piantare nuove barbatelle di Vermentino in una decina di ettari sul pendio dello stazzo usato fino ad allora come residenza estiva di campagna, dove c’era una vigna che produceva solo per il consumo famigliare, e a realizzare la cantina. L’imprenditore arzachenese, che aveva scritto pagine importanti, anche intricate, della storia del mito turistico in Costa Smeralda, cominciò così con Caterina Demuro l’avventura di Capichera, diventata presto un vero e proprio punto di riferimento per la produzione di Vermentino, soprattutto con i figli che già dai primi anni ‘80 si erano ingaggiati alla gestione della cantina azienda e dell’azienda con la Ragnedda s.n.c. di Giovannella e Alberto e la Ragnedda s.s. di Mario e Fabrizio.
Le vigne comprendono circa 50 ettari lungo il territorio della Gallura in Sardegna, caratterizzato da colline granitiche accarezzate dalle brezze marine, su terreni originati dal disfacimento sabbioso e roccioso dei graniti con suoli di limitata profondità, magri e acidi, ricchi di potassio ma poveri di fosforo e azoto. Qui si sono ambientate benissimo le viti allevate a spalliera con esposizione est-ovest o ad alberello, tanto che gli interventi dell’uomo sono limitati e avvengono nel pieno rispetto delle piante e dell’ambiente, senza usare concimi chimici né diserbanti. In tutto producono circa 250.000 bottiglie l’anno.
Il primo vino con l’etichetta Capichera è stato prodotto nel 1980 ed era un Vermentino di Gallura radicalmente differente da tutti quelli presenti allora sul mercato: più ricco, più fragrante, più amabile e più longevo di altri vini più noti. In quegli anni avevano incominciato a lavorare in azienda anche i fratelli Fabrizio e Mario che si erano subito ingaggiati, come tutta la nuova generazione degli imprenditori sardi (ricordo con piacere la rivista Intraprendere) nelle sfide più ardue per diventare pionieri della qualità e della ricerca che si vede ancora oggi. Quel vino sapeva ammaliare il palato con la sua polpa, la sua maturità e gli aromi di fiori di gelsomino selvatico, asfodelo, biancospino, glicine, lentisco, timo e rosmarino che portavano in giro per il mondo un soffio d’aria pura dritta dritta dal Monte Limbara, dimostrandosi di razza pregiata anche nel finale con belle note pulite di granito e pietra focaia. Un bouquet eccezionale perché raccoglieva i profumi e i sapori della macchia mediterranea che cresce appunto intorno ai vigneti da cui nasce e che gli sono conferiti dal vento, l’assiduo, incontrastato e caratteristico dominatore di queste terre.
L’impronta del territorio c’era tutta, vera, sincera e forte. Ma quel vino mostrava una muscolatura proveniente dalla tradizione dei potenti (anche fin troppo), sovrumani bianchi galluresi di quarant’anni fa, con l’aggiunta di un tocco di tecnologia del rovere francese per poterne stabilizzarne la complessità, perciò ha un gran successo anche oggi come il classico Capichera Isola dei Nuraghi, soprattutto fra gli stranieri. Non era e non è però il mio vino del cuore, perché preferisco il gusto fresco che esalta la profumatissima cucina sarda di pesce con quei sapori autentici di un mare cristallino, scevra perciò di quegli intingoli usati in abbondanza altrove, nei Paesi scandinavi e anglosassoni, anche oltreoceano, per altri pesci di altri mari, altre cucine, altri sapori, belli e grassi e soprattutto dolcissimi, spesso di grandi dimensioni, che richiedono, quelli sì, dei vini potenti, muscolari e dalla vena che profuma di buon liquore. Oggi in Gallura si beve veramente meglio e si mangia con più soddisfazione con questi vini, che sono diventati più adamantini, leggeri, godibili, a volte con un’impalpabile effervescenza. Sono passati venti o trent’anni di benvenuto rinnovamento dell’enologia tradizionale e si è finalmente invertito il destino dei vini di questi pascoli da capre.
Vi consiglio, dunque, il Vermentino di Gallura “Vign’angena” (fino a qualche anno fa in etichetta “Vigna’ngena”), più fragrante, rinfrescante, leggero, che viene prodotto a partire dall’annata 1994. È davvero un’arte difficile quella di contenere l’esuberanza di un’uva che ama tanto il sole come quella del Vermentino e questa non è un problema da poco, tanto che la soluzione compete solo ai campioni, anzi ai veri giganti. La parola “vign’ngena” in dialetto gallurese significa “vigna degli altri”, un nome che era stato scelto per il vino di questa etichetta perché le sue uve provenivano da vigneti allora non di proprietà, ma in gestione, in varie parcelle che poi, però, sono state acquisite grazie al grande lavoro di Sebastiano e dei suoi figli. Il sistema di allevamento delle viti è a spalliera con una densità di 5.000 piante per ettaro e una resa media di 60/80 quintali d’uva per ettaro in grappoli raccolti e selezionati a mano fin dai primi di settembre. Le uve sono trattate delicatamente e, dopo la pressatura soffice e immediata a freddo, il mosto fermenta a temperatura controllata (20° C) in vasche di acciaio, dove il vino si affina fino a primavera per poi essere imbottigliato in circa 70.000 bottiglie e immesso al consumo non prima di 9 mesi dopo la vendemmia.
Il Vermentino di Gallura ”Vign’angena” è un vino bianco fermo dal colore giallo paglierino tenue con riflessi verdolini e di grande limpidezza. Bouquet ricco e complesso di aromi intensi floreali (ginestra, biancospino, fiori d’arancio, gelsomino) e fruttati (pera camusina, mela Noi Unci, pesca) con gradevoli note minerali. Al palato è fresco, pieno, avvolgente, fragrante, di corpo pieno, succoso, dotato di una buona vena acida e con un finale fruttato e persistente. Tenore alcolico 14%. Suggerisco di servirlo giovane a 8-10 °C.
Mario Crosta
Capichera
s.s. 427 da Arzachena a Sant’Antonio di Gallura km 4, 07021 Arzachena (OT)
coordinate GPS lat. 41.039808 N, long. 9.38374 E
Tel: 0789.80800, 0789.80619, fax 0789.80612
sito www.capichera.it, e-mail info@capichera.it