Statistiche web
Abbinamenti cibo vinoAntipastiLa ricetta e il vinoMangio Ergo Sum

Bagna càuda abbinata con Barbera d’Asti

Bagna Càuda

La bagna càuda è un’antica ricetta autunnale del Basso Piemonte a base di filetti d’acciughe dissalate e deliscate messi a cuocere con spicchi d’aglio a fuoco lento in olio di semi di noci nel tipico tegamino di coccio chiamato dianèt fino a diventare una salsa abbastanza cremosa per inzupparci le verdure mentre viene mantenuta calda sovrapponendo il tegamino alla scionfetta (scaldino di terracotta riempito di brace fino a due terzi da ricoprire poi con una coltre di cenere) oppure su un recipiente di terracotta chiamato fujòt (pignattino in terracotta smaltata contenente un fornellino a fiammella di spirito o un moccolo di cera). Una vera goduria per gli amanti del pinzimonio.
Si possono intingere vari tipi di verdure di stagione crude come gambi di cardi gobbi, gambi di sedano, cipollotti e porri inquartati e immersi nel vino rosso, topinambur tagliato fine, finocchi, cavolfiore tagliato fine, foglie di cuore di cavolo bianco, foglie di indivia, mezzi rapanelli, liste di peperoni, ma anche cotte come barbabietole rosse, bastoncini di zucca fritti, filetti di peperoni arrostiti ecc., soltanto per citarne alcune, tanto poi ognuno ci mette quello che preferisce.

Bagna Càuda

L’olio di semi di noci con il quale ha avuto origine non si trova ormai quasi più. Perciò la Delegazione di Asti dell’Accademia Italiana della Cucina, dopo diversi assaggi e confronti fra esperti di una commissione di studio che si è riunita più volte, ha registrato in data 7 febbraio 2005 una ricetta ”da ritenersi la più affidabile e tramandabile”, depositandola a Costigliole d’Asti con autenticazione sottoscritta dal notaio Marzia Krieg. La  bagna càuda tradizionale è composta da aglio in stragrande maggioranza e non può che essere così, anche se al giorno d’oggi qualcuno si azzarda in versioni moderne con poco aglio o addirittura senza. Eccola.

Ingredienti per 12 persone:

  • 12 teste d’aglio
  • 6 bicchieri da vino di olio extravergine d’oliva
  • 1 bicchierino di olio di noci, se possibile
  • 6 etti di acciughe rosse di Spagna sotto sale
  • verdure varie crude, cotte e fritte
  • a piacere, 1 pezzetto di burro freschissimo nel proprio tegamino

Procedimento
Il tegamino dianèt va messo a bagno nell’acqua fredda e lasciato immerso per almeno un paio d’ore, quindi asciugato bene al momento dell’uso: ciò gli eviterà di creparsi durante la cottura dell’intingolo. Le acciughe, quelle grosse, cioè del Cantabrico, vanno dissalate a dorso di coltello, messe a bagno nel vino rosso per una decina di minuti, diliscate con cura e ridotte a filetti che vanno asciugati con un panno e tenuti pronti su un piattino.
Sbucciate gli spicchi d’aglio, tagliateli a metà nel verso della lunghezza ed eliminatene l’eventuale germoglio interno, quindi metteteli in un pentolino e copriteli con latte fresco. Portateli a bollore, poi abbassate il fuoco e lasciateli sobbollire pianissimo per 15/20 minuti, schiacciandoli con il cucchiaio di legno fino a conferire al tutto una consistenza cremosa. Sgocciolateli e versateli in un coccio, aggiungete metà dell’olio e iniziate la cottura a fuoco bassissimo per qualche minuto, rimescolando con il cucchiaio di legno e avendo cura che non prenda colore e che non frigga.

Bagna Càuda

Quando l’olio comincia a scaldarsi bene aggiungete i filetti d’acciuga, copriteli con l’olio restante e, rimestandoli delicatamente a fuoco lento per una mezz’oretta, badate che si sciolgano ma che la bagna non frigga. A fine cottura versatela bagna nei singoli tegamini di portata da sovrapporre ai fornellini accesi. A questo punto, chi vuole potrà aggiungere nel proprio tegamino, se gli piace un sapore più morbido, un pezzetto di burro freschissimo.
La bagna càuda è pronta per intingerci “à palòt” (a paletta) le verdure preferite approntate in tavola che gli ospiti possono intingere in un’allegra e vociante confusione, senza formalismi da rispettare.
Esiste però un ”galateo” comportamentale che vieta, per esempio, di ”caricare” eccessivamente il proprio boccone usando foglie di cavolo o altri pezzi di verdura, raccogliendo cioè troppa salsa. È sconveniente anche intingere pezzi di verdura già morsicati (usate il coltello per portare le verdure alla dimensione di un solo boccone) oppure il pane che, imbevendosi, ne asporterebbe quantità eccessive.
I neofiti facciano attenzione ai primi bocconi, la scottatura è un’eventualità molto frequente. Il galateo della bagna càuda vieta di fare “à palòt” a fine pasto, ma per tradizione consente di concluderlo raccogliendo alla fine il fondo rimasto nel tegamino e strapazzandoci dentro un uovo che poi va servito in un piatto con scaglie di tartufo bianco.



Braida

Il vino consigliato: Barbera d’Asti ”Curej” 2021 dell’azienda agricola Braida di Bologna Giacomo
Questo piatto tipico regionale si usa come pasto conviviale dal periodo delle vendemmie fino alla Befana e dal 2015 è candidato a divenire Patrimonio immateriale dell’Unesco come la pizza napoletana STG (Specialità Territoriale Garantita) e la dieta mediterranea.
Dall’ultimo fine settimana di novembre al primo weekend di dicembre si tiene il Bagna Cauda Day. Non si tratta però di un giorno solo, ma di un calendario di eventi organizzato fin dal 2013 dalla rivista Astigiani e che si è esteso sempre più in tutta la regione, fino a comprendere più di 100 locali fra ristoranti, cantine e osterie sparsi per la provincia, il Monferrato, le Langhe, quindi dalla Val d’Aosta all’alta Liguria fino a Bologna ed è già diventato Bagna Mundial quando si svolge perfino all’estero, come a New York, Berlino e Shanghai. E, visto che nel 2020 la manifestazione si è svolta solo in formato da asporto a causa del Covid-19, torna anche il Delivery ”sporta a cà”, ovvero la bagna càuda take away con tutti i suoi ingredienti. In omaggio per tutti un bavagliolone d’autore, diventato ormai un oggetto da collezione. Il pranzo è a prezzo fisso e lo è anche il vino a bottiglia, rigorosamente Barbera d’Asti. Tutte le informazioni si trovano sul sito www.bagnacaudaday.it.
Quando mi sono sposato, al circolo che avevamo scelto sulla collina torinese eravamo in dodici a festeggiare con la bagna càuda e non potrò mai dimenticare quel vino rosso di Rocchetta Tanaro di Giacomo Bologna, un Barbera giovane e vivace con un bouquet fragrante, intrigante e dal profumo piacevole anche per mio padre che era astemio.
Rocchetta Tanaro è il cuore stesso del Barbera d’Asti. Questo piccolo territorio collinare tra la riva destra del Tanaro e gli Appennini ha un clima particolare che alterna gli influssi dell’aria frizzante delle Alpi proveniente da Torino con quelli dell’aria di mare proveniente dalle Langhe. Gli inverni sono freddi, ma in primavera e in autunno le temperature sono moderatamente calde e le estati sono davvero brucianti. Normalmente durante l’anno si va dai -10°C ai +35°C, ma si raggiungono anche picchi più elevati, specialmente sui bricchi, cioè quelle colline che per la loro pendenza e la loro esposizione molto soleggiata si sono particolarmente rivelate tra le più adatte per la vitivinicoltura.

Braida
L’indimenticabile Giacomo Bologna

La varietà principale coltivata in questa zona è la barbera, che su questi terreni sabbiosi e magri delle zone collinari intorno ad Asti forniscono vini di qualità eccellente, particolarmente morbidi e armonici ma impressionanti per la struttura forte e gli aromi spiccati, al punto da essere riusciti a conquistare una fama tutta meritata. Tra le vigne più belle del paese c’erano quelle di Giuseppe Bologna, un carrettiere che giocava a pallone elastico così bene che lo avevano soprannominato Braida, appioppandogli il cognome di un commerciante di cavalli che ne era un campionissimo.
Nel 1953 aveva appena fatto in tempo ad aprire il Bar degli Amici che poche settimane dopo era morto cadendo da un carro e sua moglie Caterina era rimasta vedova con i figlio Giacomo di 15 anni e Carlo di 11 a cucinare al bar, occuparsi di quattro cavalli da tiro, due campi di fieno e le vigne di barbera. Cinque anni dopo, nell’aprile del 1958, il Bar degli Amici si trasforma nella Trattoria ”I Braida” con Caterina sempre in cucina, ma adesso con Luigina Schialva che, avendo lavorato in molte case aristocratiche aveva accumulato una grande esperienza nelle preparazioni culinarie per molte persone.
Diventato maggiorenne, Giacomo aveva preso in mano il commercio di vino e aveva subito litigato con chi gli ritirava lo sfuso perché non voleva pagargli quello del 1961 (un’annata stupenda, epocale) 150 lire al litro invece delle 80 lire massimo che il commerciante gli aveva offerto e perciò aveva deciso sui due piedi di smettere di vendere il vino sfuso, anche in osteria, e di imbottigliarlo in proprio già dal 1962 con l’etichetta Barbera di Rocchetta Tanaro del vigneto ”La Monella” 1961 dell’azienda Braida, il suo primo vino, il suo primo successo.
Tutto venduto al prezzo che Giacomo voleva per poter investire i guadagni in altre vigne e altri vini, come il Brachetto d’Acqui, il Grignolino e il Moscato d’Asti oltre che e in una nuova cantina ”ampia, spaziosa, ben aerata e rallegrata di tante belle bottiglie…” fino al 1969, quando ha vinto quella medaglia d’oro al Concorso nazionale dei vini Douja d’Or di Asti che gli ha permesso di partecipare gratuitamente alle fiere di Genova, Torino e Milano.

Norbert Reinisch con Raffaella, Giuseppe e Giacomo junior
Norbert Reinisch con Raffaella, Giuseppe e Giacomo junior

La svolta è arrivata quando Giacomo ha iniziato a sperimentare la vinificazione in barrique, dopo un corso a Beaune con Maurizio Zanella e Angelo Gaja. Nel 1984 presenta la prima, eccezionale, annata 1982 del Barbera d’Asti ”Bricco dell’Uccellone” (il soprannome di una donna che viveva su quel bricco, aveva il naso a becco di uccello e vestiva sempre di nero), un vino subito raccomandato a tutto il mondo dall’enologo californiano André Tchelistcheff che era venuto apposta a degustarlo. A seguire presenterà poi anche il Barbera d’Asti ”Bricco della Bigotta” e il Barbera d’Asti ”Ai Suma” (”ci siamo”), ottenuto da una vendemmia tardiva delle uve (fine di ottobre) e dedicato alla Georgia, la patria del vino, attraverso un gemellaggio con i vignaioli georgiani che erano venuti a vendemmiare a Rocchetta nel 1989), ma che è stato commercializzato nel marzo del 1991, quando Giacomo non c’era già più.
È morto la notte di Natale del 1990, come sua madre cinque anni prima. Queste tre riserve Braida, tesori indiscussi dell’enologia italiana, vengono prodotte soltanto nelle annate migliori dalla moglie Anna rimasta vedova con i figli Raffaella e Giuseppe che, entrambi enologi giovanissimi, hanno raccolto l’eredità di Giacomo e ampliato l’azienda acquistando vigneti tra il Monferrato e la Langa, costruendo una seconda sede, aprendo un Wine Resort in frazione Asinara e lanciando nuove etichette, tra cui il Barbera d’Asti Montebruna, il Barbera d’Asti Curej e i bianchi della Serra dei Fiori. Uno sviluppo ancora in corso grazie anche al lavoro di Norbert Reinisch, medico e marito di Raffaella diventato nel 2001 export manager dell’azienda Braida e della quarta generazione con Giacomo Bologna junior.
Se volete visitare la cantina e i 60 ettari delle vigne vi suggerirei di fare base però al Braida Wine Resort sempre aperto nella vicina frazione Asinara, un tipico cascinale piemontese del Settecento che si trova su un bel crinale vitato con una vista che spazia da un’ansa del fiume Tanaro fino ai tetti del paese, tra boschi di robinie, olmi e roveri, con spazi di degustazione e sette camere immerse nella natura e nel silenzio. E potete sempre godere di buona cucina nella Trattoria I Bologna all’ingresso del paese che, mentre Giacomo si occupava di vini, ha continuato la tradizione della cucina di territorio di nonna Caterina con suo fratello Carlo e sua moglie Mariuccia e che oggi è proposta in sala con rinnovata eleganza dalla moglie del loro unico figlio Giuseppe, Cristina.

Barbera d'Asti Curej Braida

Con la bagna càuda mi piace sempre un vino brioso e pimpante come il Barbera d’Asti ”Curej 2021”, un nome che deriva da cureja che, in dialetto, è la cintura dei pantaloni, ma anche la lunga cinghia delle macchine per battere il grano, oppure dai gurej, i gorreti, ovvero gli arbusti spontanei che nascono lungo il Tanaro e che vengono usati per fabbricare le ceste. Curej è il soprannome della famiglia che custodisce quel terreno in cui è sempre nato il vino dei monaci di San Bernardo da Mentone sulla collina dove si trova il Braida Wine Resort e che dalla vendemmia 2020, con le prime 8.000 bottiglie, viene vinificato separatamente per via della qualità eccellente dell’uva. Le viti sono coltivate a una densità di 5.000 ceppi per ettaro e i grappoli di barbera sono vinificati in purezza. Macerazione sulle bucce di 15 giorni e maturazione di 3 mesi in botti grandi di rovere. Di un bel colore rosso rubino intenso e scintillante dai riflessi violacei, attacca con un profumo ampio di more selvatiche e ciliegie fresche tra sfumature di glicine e gelsomino. In bocca si avverte la menta, il tabacco dolce e la liquirizia. È un vino generoso da giovane e fresco, di gran corpo e notevole struttura, dal gusto pieno, asciutto, sapido ed equilibrato, anche nel finale leggermente speziato.
Tenore alcolico molto sostenuto, ma non invadente. Consiglierei di servirlo in calici ampi a una temperatura tra 16 e 18 °C. Si abbina bene con gnocchi al ragù, risotto con la salsiccia, tagliatelle alla carbonara di toma con asparagi e pancetta oppure al sugo di lepre, battuta di carne cruda di Fassona, guanciale di cavallo stracotto, pollo alla cacciatora, quaglie avvolte in pancetta, fegatini trifolati, torta di cardi bianchi spadoni, formaggi caprini.

Mario Crosta

Azienda Vitivinicola Braida di Bologna Giacomo
sede storica: via Roma 94, 14030 Rocchetta Tanaro (AT)
coord. GPS: lat. 44.854549 N, long. 8.347118 E
Tel. 0141.644113, fax 0141.644584, cell. 335.1559195
sito www.braida.it, e-mail info@braida.it

Braida Wine Resort: strada San Bernardo 33/36, 14030 Rocchetta Tanaro (AT)
coord. GPS: lat. 44.856410 N, long. 8.332547 E
Cell. 328.2334387
sito www.braidawineresort.it, e-mail info@braidawineresort.it

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio