The Wine Revolution e la filosofia del vino naturale
Sestri Levante è uno dei borghi storici più belli d’Italia.
Una striscia di terra che divide il mare in due baie incantevoli, quella del Silenzio e quella delle Favole. A chiamare così quest’ultima è stato il poeta Ligure Giovanni Descalzo, colpito dalla tranquillità del luogo, mentre il nome Baia delle Favole si deve a Hans Christian Andersen, il celebre scrittore e poeta danese, che soggiornò a Sestri Levante nell’800, rimanendo affascinato dall’incanto di questo luogo.
Una leggenda narra che l’istmo di terra, su cui sorge il centro storico di Levante, sia stato generato in seguito all’amore proibito fra la sirena Segesta, figlia di Nettuno e il tritone Tigullio.
Nettuno aveva messo Segesta e le sirenette a presidiare il luogo. Dovevano stare distese sugli scogli mostrando le loro grazie e la loro bellezza così da distrarre pirati o naviganti malintenzionati.
Questi venivano attratti e poi lasciati in balìa del dio del mare che li sopprimeva per evitare che potessero corrompere la bellezza del luogo.
Tigullio che, come gli altri tritoni, aveva il compito di presidiare i fondali, senza poter mai emergere, un giorno udì il canto di Segesta e ne fu ammaliato, tanto da disubbidire a Nettuno ed uscire in superficie. Subito s’innamorò della creatura che videro i suoi occhi e lo stesso capitò a Segesta.
Ma, appena Tigullio sfiorò con la mano la coda della figlia prediletta di Nettuno, il dio pietrificò il tritone ribelle, la cui mano stava ancora accarezzando Segesta, che pure rimase pietrificata.
Così il corpo di Tigullio aggrappato alla coda pietrificata di Segesta è diventato il luogo su cui è sorto il borgo di Sestri.
Proprio in questo incantevole borgo, Andersen ebbe l’ispirazione per scrivere un capolavoro come La Sirenetta.
Oggi il borgo di Sestri Levante è diventato fonte d’ispirazione per un gruppo cospicuo di vignaioli italiani che hanno voluto portare qui i loro capolavori di bellezza e di bontà.
L’ex Convento dell’Annunziata, affacciato sulla Baia del Silenzio, si è trasformato per due giorni (13 e 14 novembre) in The Wine Revolution, ovvero lo spazio del Vino di filosofia naturale.
Sono venuti a Sestri un’ottantina di vignaioli provenienti dalle zone più prestigiose del vino italiano, dal Veneto al Friuli, dall’Emilia Romagna all’Abruzzo, dal Piemonte alla Toscana, dalla Sardegna alla Sicilia, dalla Campania al Lazio, dalla Liguria alla Lombardia, all’Umbria, al Trentino, alle Vigne Sparse (Universo).
Tutti agricoltori genuini, artigiani che, per rispetto della terra che lavorano non usano la chimica e fanno un uso moderato dei solfiti o addirittura azzerato.
La loro è un’agricoltura biodinamica per la quale, rispetto a quella convenzionale, è necessario aumentare esponenzialmente le ore di lavoro e alzare la propria sensibilità e spirito di sacrificio.
Nelle loro cantine arrivano grappoli vitali, senza condizionamenti non dopati e perfettamente conservati.
Uno di questi artigiani del vino naturale, presente a The W.R., è Guido Zampaglione, titolare di due aziende che producono vini naturali: Cascina Grillo, in Monferrato e il Tufiello, in Alta Irpinia.
Inoltre, alcuni anni fa, ha preso un terreno in Liguria, sulle alture del Golfo del Tigullio, dove ha piantato delle viti di Scimiscià.
Il Cimixià o Cimixà o Scimiscià o ancora Cimiciato, come lo chiama G.B. Arata, nel bollettino agrario del 1888, è un vitigno prettamente ligure come il Vermentino, l’Albarola o la Bianchetta.
Iscritto al Registro nazionale dei vitigni, presso il Ministero Politiche Agricole e Forestali, è stato dominante in Val Fontanabuona, per un certo periodo, per poi estinguersi quasi del tutto.
È stato riscoperto grazie a Daniele Parma, dell’azienda La Ricolla, che ha un forte legame di amicizia con Guido.
Attualmente sono circa 6 gli ettari vitati con quest’uva in Liguria, compresi gli 0,7 ettari dell’impianto di Guido Zampaglione, realizzato nel 2019, recuperando una vigna a terrazze, abbandonata da più di quindici anni, in località San Lorenzo della Costa, a 250 metri sul mare di Santa Margherita Ligure.
Lo Scimiscià è un’uva controversa. Si può considerare una varietà selvatica che predilige terreni selvatici, pietrosi: ha bisogno della pietra, di povertà assoluta.
Il nome deriva da cimiciaio, assembramento di cimici ed è dovuto ad una punteggiatura superfiale della buccia che viene ricondotta alla puntura della cimice. In realtà l’acino accumula molta materia zuccherina e l’esposizione ai raggi del sole caramellizza a puntini lo zucchero.
Guido ha presentato, in anteprima assoluta, la prima bottiglia di questo vino di nicchia, riscuotendo ottimi consensi da coloro che hanno avuto la fortuna di assaggiarlo.
Un altro di questi artisti della zolla, è Daniele Parma, de La Ricolla di Né (Chiavari).
A venticinque anni, tredici dei quali passati sotto la custodia delle suore Gianelline di Chiavari e con un diploma di perito aziendale e corrispondente in lingue estere, da solo pianta un vigneto, di circa 2 ettari, che gli vale la medaglia di Cangrande della Scala, al Vinitaly 2000. Il comitato che assegna questo Premio, raccoglie le segnalazioni degli assessorati all’agricoltura delle venti regioni amministrative italiane ed ogni anno la medaglia viene data ai tre nomi più meritevoli.
Quella che Daniele riceve è la prima medaglia di Cangrande nella provincia di Genova.
Daniele, con quella vigna, dimostra come sia possibile fare nel Levante ligure un’agricoltura “moderna”: un’architettura curata dall’impalcatura, alla paleria, alle strade d’accesso. Una vera e propria opera che non passa inosservata.
Il pezzo di mondo che c’è intorno a Chiavari e Lavagna è baciato dal Creatore.
Qui il mare della Liguria s’incontra con le colline dell’entroterra rigogliose di viti, frutteti ed orti.
Ci sono paesi che sono scrigni di storia: Cogorno, Né, San Salvatore, Carasco, San Bartolomeo…
È un posto che ti fa stare in sintonia con la natura.
E la natura quando è rispettata ti ripaga con frutti straordinari e facendoti stare in sintonia con te stesso.
Daniele, a The Wine Revolution, ha portato una selezione dei suoi vini, tra cui Berette 2.0.
IGT Colline del Genovesato. Vermentino del vigneto di Cogorno alla Basilica dei Fieschi, con il 55% di piante di cinquant’anni e il 45% di piante di dieci anni. Fermentazione spontanea con bucce per circa 10/14 giorni (fino a fermentazione conclusa). Affinamento in anfora per sei mesi. Produzione di circa 5000 bottiglie.
“Berette, in dialetto ligure, sono le bucce dell’uva. Tutte le altre bucce hanno il nome generico di scorza. Fino al 2019, l’evoluzione di Berette era Oua, un’espressione dialettale che significa ‘ci siamo’, un po’ come il piemontese ‘ai suma’. Berette 2.0 è la nuova versione di questo vino. Due terzi sono affinati in acciaio(Berette) e un terzo in anfora (Berette 2.0).
Due vini che nascono dalla stessa botte, si separano e fanno due strade diverse: uno rimane in botte chiusa d’acciaio e riceve i solfiti, l’altro almeno sei mesi in terracotta e poi in bottiglia, senza solfiti perché ha fatto pace con l’ossigeno. Qui si capisce quanto l’ossigeno può essere amico del vino se hai fatto una vinificazione adeguata ma, ancora prima, se hai un’agricoltura sincera senza trucchi e senza inganni. L’ossigeno è un nemico quando le uve non sono adatte, quando la tua agricoltura non è performante, quando porti in casa materia che sai già che dovrai correggere con il filtro feccia, la chiarificante ecc..
Berette 2.0: un terzo ritorna a casa sua dopo aver fatto un giro di sei mesi nelle anfore a fare conoscenza con l’ossigeno. Che non è un nemico e può far evolvere il vino”.
Daniele ha tante idee per la testa che condivide con sua moglie Milva e suo fratello Simone. Insieme formano un gruppo perfetto. Sono sempre in movimento, sempre pronti a rimettersi in gioco e ogni risultato che ottengono non è un punto di arrivo ma di partenza per altri progetti.
Uno di questi si sviluppa a Monleale, in collaborazione con Fulvio Fassone dei Vigneti Fassone.
Le uve Barbera dei Colli Tortonesi sono affinate in anfora nella cantina de La Ricolla.
È l’unica Barbera al mondo in terracotta.
E, a proposito di Colli Tortonesi, è necessario citare un altro grande vignaiolo di questo territorio, presente a The W.R.: Daniele Ricci, di Costa Vescovato (AL).
Daniele è tra i riferimenti assoluti del Timorasso, (Derthona) una varietà considerata minore, che Walter Massa ha salvato dalla scomparsa e che lui coltiva, assieme a suo figlio Mattia, nella Cascina San Leto, acquistata dal nonno nel 1929.
Il San Leto, appunto, è uno dei suoi vini di punta e prende il nome dalla vecchia vigna di solo un ettaro.
Macerazione di tre giorni, affinamento in acciaio. Successiva sosta di 12 mesi in botte di acacia ed élevage di circa 24 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
Il mondo del vino è in continua trasformazione.
The Wine Revolution mette in vetrina l’evoluzione, sempre più consapevole e convincente delle pratiche naturali nell’ottenere il vino, risaltando il coraggio di vignaioli che hanno fatto la rivoluzione, riscoprendo e valorizzando vitigni e zone dimenticate.
Valerio Bergamini