REWine 2021, Giovani Vignaioli Canavesani – Prima Parte: La longevità dell’Erbaluce e il Canavese
Fotografie di Danila Atzeni e Maura Ottino
Lo ammetto, non è un caso che il primo dei due articoli previsti dedicati al REWine 2021 – organizzato dai Giovani Vignaioli Canavesani lo scorso 26-27 giugno – esca a quasi due mesi dall’evento; tutto ciò non significa che abbia fatto due mesi di ferie, magari! Semplicemente, avendo dedicato tanti articoli a questo territorio attraverso Lavinium ed essendo stato tra i primi – ormai più di due anni e mezzo fa – a parlare della rinascita vitivinicola di quest’area da me ribattezzata: “Nouvelle Vague dei viticultori eroici di Carema”, ho sentito la necessità di agire come spettatore, almeno durante il primo periodo. La speranza nei due mesi trascorsi è quella di non esser stato l’unico – o uno tra i pochi – ad aver compreso il potenziale di questi ripidi terrazzamenti strappati alla roccia, di queste colline figlie della Serra Morenica di Ivrea, dell’entusiasmo impiegato dai Giovani Vignaioli Canavesani, merce rara oggigiorno.
Nessuna fatica ad ammetterlo dunque: per Carema e il Canavese ho sempre avuto un debole. Diversi i motivi: la vicinanza con l’Alto Piemonte – territorio dove sono nato e dove tuttora vivo -, la bellezza sconvolgente del paesaggio, il fatto che lo stesso si trovi a metà strada tra Novara e Aosta – città dove mi reco spesso per svariati motivi. Torno sempre volentieri da queste parti e il REWine 2021 è stata un’ottima occasione per approfondire sempre più questo prezioso areale vitivinicolo.
Un’area geografica molto particolare del Piemonte che si estende tra la Serra di Ivrea, il fiume Po, la Stura di Lanzo e le Alpi Graie, insomma un antichissimo fazzoletto di terra che comprende Torino e la Valle d’Aosta e – verso est – il Biellese e il Vercellese. Tutti coloro che desiderano approfondire i contenuti dell’evento possono leggere qui, il mio articolo di presentazione della rassegna è stato pubblicato qualche settimana prima.
La carne al fuoco è tanta, già dal titolo si evince, ma procediamo con ordine, mi sforzerò – per quanto possibile – di riassumere in due articoli distinti i tratti salienti delle due giornate del REWine 2021 dedicate alla stampa di settore. La kermesse è iniziata la mattina del 26 giugno presso la Cantina CellaGrande di Viverone (Bi) – proprietà della famiglia Bagnod – trattasi di un ex convento benedettino del XII secolo immerso in una tra le più suggestive sponde del lago omonimo, il terzo più grande del Piemonte. I Giovani Vignaioli Canavesani, per rilanciare un territorio ahimè dormiente da troppi anni, puntano su due cavalli di razza: erbaluce e nebbiolo. La prima parte della giornata è stata dedicata al vitigno a bacca bianca per eccellenza di queste colline. “La longevità del Caluso Docg”, questo il titolo della verticale: 19 campioni proposti, 16 Cantine diverse – alcune hanno presentato più annate – per un totale di 11 millesimi analizzati. Di seguito un po’ di dati forniti dall’Associazione GVC (Giovani Vignaioli Canavesani).
La superficie vitata del Canavese totale ammonta a 478 Ha: Caluso Docg 263 Ha, Canavese 165 Ha, Carema 22 Ha; i produttori iscritti al Consorzio Tutela Vini D.O.C. Caluso Carema Canavese sono 38 di cui 7 GVC (Giovani Vignaioli Canavesani), 13 sono le aziende non iscritte. È la geologia stessa del territorio canavesano a rendere queste colline molto particolari, l’icona indiscussa è senza dubbio l’anfiteatro morenico di Ivrea d’origine glaciale, la sua pedologia caratterizza enormemente tutti i versanti allevati a vigneti. La viticoltura da queste parti è una delle attività più importanti per il territorio, le uve crescono sane grazie ad un microclima mite regolato dalla presenza di svariati laghi e soprattutto del fiume Orco e dalla Dora Baltea. È nel versante sud dell’anfiteatro morenico che sono disposti i vigneti del Canavese, lo stesso risale al periodo quaternario. Le glaciazioni del ghiacciaio generarono continui sedimenti, gli stessi “scivolarono” verso la Pianura Padana ed il suddetto territorio.
Un caso più unico che raro che oggigiorno è l’elemento distintivo che forgia vini dal carattere spiccatamente minerale con punte di sapidità ragguardevoli. È un semicerchio costituito da crestoni collinari con altitudini che variano da 600 metri a 300: si va dal punto più alto rappresentato dalla Serra morenica di Ivrea a Nord-est – pensate che la stessa è lunga circa 20 km ed è la più grande formazione del genere esistente in Europa, alla collina di Caluso/Aglié – a sud-ovest. Il potenziale del Canavese a mio avviso – simile per certi versi a quello di gran parte dell’attiguo Alto Piemonte – è incredibile; dunque cos’è mancato? Quali aspetti non sono stati considerati? Qual è il motivo per cui – oggigiorno – questa terra non è tra le più importanti al mondo per la produzione di nobili bianchi pseudo alpini e rossi ammalianti dai profumi surreali in termini di finezza ed eleganza.
Queste domande se le sono fatte – penso un miliardo di volte – giovani volenterosi quali Vittorio Garda e Gian Marco Viano, due tra i protagonisti indiscussi dell’Associazione Giovani Vignaioli Canavesani che nel giugno 2020 è nata ufficialmente. Queste le loro parole: “Cosa ci ha spinto a unirci? Il Canavese, terra magnifica per il suo anfiteatro morenico ed un tempo dimora di migliaia di ettari vitati, è oggi un luogo incredibile per i giovani viticoltori. Qua è possibile sognare una propria Azienda e, in tempi ragionevoli, metterla in piedi. 20 Aziende nate nel giro di pochi anni sono un segno tangibile! Il rovescio della medaglia, però, è la mancanza di un confronto. Negli areali vitivinicoli come in nostro è difficile confrontarsi con altri produttori. Aiutarci l’un l’altro, stimolarci, prestarci le attrezzature, presentarci clienti, appassionati – e perché no – anche i tanto famigerati (a tratti mitologici) importatori. Tutto questo ha generato un volano potentissimo per la nostra crescita. Ed ora eccoci qua. In totale abbiamo 52 Ha, quali sono i nostri obbiettivi? Le nostre aziende devono crescere, stimolandone di nuove, devono diventare ecologicamente ed economicamente sostenibili, un trampolino per i giovani – nel futuro – che vorranno intraprendere il nostro percorso.”
Fondamentalmente sono 3 le macroaree del Canavese. Iniziamo da Caluso, l’area più nota, quella che da’ il nome alla storica denominazione divenuta Doc nel 1967 e Docg nel 2010; si distingue per la produzione dell’erbaluce – vitigno autoctono piemontese aspramente conteso con i cugini dell’Alto Piemonte (dove prende anche il nome di greco novarese). La seconda macroarea è rappresentata dal cosiddetto Alto Canavese, due i comuni più importanti: Rivara e Levone, da queste parti le uve a bacca rossa quali freisa, barbera, nebbiolo, chatus e neretto sono protagoniste a discapito di quelle a bacca bianca. Perla rara, punta di diamante – completamente rinata soprattutto in questi ultimi 3 anni – è Carema (To); borgo fiabesco ai piedi del Monte Maletto, terra di confine tra Piemonte e Valle d’Aosta. Da queste parti il nebbiolo – chiamato anche picotèner o picotendro – eleva il re dei vitigni piemontesi a rango aristocratico per vette di eleganza e finezza difficilmente replicabili in altre parti della regione. La vicinanza delle montagne caratterizza enormemente gli aromi, gli stessi risultano fini, sussurrati, alpini; ma li vedremo più avanti.
Torniamo dunque a parlare della degustazione dei 19 campioni proposti dai GVC (Giovani Vignaioli Canavesani) – all’interno della stupenda cappella sconsacrata fiore all’occhiello della Cantina CellaGrande – dov’è stato possibile constatare le potenzialità del Caluso Docg a 360° e soprattutto nei confronti dell’affinamento. Si è partiti dall’annata 2017 per arrivare alla 2000. Considerando il fatto che la maggior parte delle Cantine coinvolte – a suo tempo – non avevano minimamente concepito queste etichette inseguendo la filosofia dell’affinamento prolungato, l’integrità del frutto e la conseguente bevibilità del vino – salvo un’etichetta non proprio apposto – è risultata soddisfacente più o meno in tutti i campioni. Punte surreali a livello qualitativo riguardano proprio il vino più datato: Caluso Docg Misobolo 2000 della storica azienda Cieck di San Giorgio Canavese (TO); l’unica etichetta della batteria che ha messo d’accordo l’intero panel di degustatori, me compreso. Siamo rimasti attoniti dall’eleganza floreale/fruttata – ancor più che croccante – puntellata da effluvi minerali di rara complessità e una beva sconvolgente in termini d’equilibrio d’insieme, dove sapidità e freschezza vanno a braccetto lungo una scia finale interminabile; un vino immortale a mio avviso giunto forse a metà del proprio cammino. Ho citato questo esempio tra tutti proprio perché paradigmatico delle potenzialità dell’erbaluce in terra canavesana.
Considerando i grossi passi avanti fatti dalla tecnica – e dalle mille accortezze riguardo il lavoro in vigna e in cantina – le Aziende del territorio non dovranno fare altro che spalleggiarsi l’un l’altra – come anticipato dai GVC (Giovani Vignaioli Canavesani) – perché effettivamente di potenziale c’è, ma oggigiorno – purtroppo- è parzialmente inespresso.
La riprova sta nel fatto che – spesso e volentieri – si trovano ancora etichette al di sotto dei classici 5 euro – presso grandi supermercati – e il Canavese, salvo rari casi, è restio alla grande comunicazione.
Istituzioni, stampa, buyers, professionisti di settore dovranno essere maggiormente coinvolti, interpellati; eventi come il REWine 2021 dovranno essere la normalità – non l’eccezione – perché a mio avviso il territorio diviene grande grazie all’impegno di tutti e grazie alla tenacia con cui viene organizzato il lavoro a 360°, gioie e sacrifici compresi. Dunque: “Forza Canavese”!
Andrea Li Calzi