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Il “poker” cusiano della Madonna dell’Uva

Madonna dell'Uva

Come avevo accennato in un precedente articolo sulla Vespolina 2016 della Madonna dell’Uva, i suoli dell’Alto Piemonte emersi dopo il ritiro dei ghiacciai sono molto diversi e in particolare proprio quelli del Cusio, un’area geografica di non facile definizione dei limiti a causa della particolare morfologia del territorio, comunque compreso tra la Valsesia e il Lago Maggiore. Questa terra è il risultato naturale dell’esplosione (circa 280 milioni di anni fa) di quello che viene chiamato supervulcano e che è stata di una potenza tale da modificare per molti anni il clima dell’intero pianeta, dato che aveva sviluppato un’energia pari a quella di 250 bombe atomiche nello stesso punto dell’allora Pangea, l’unico continente circondato da un’unica massa d’acqua, la Panthalassa.
Quella violentissima esplosione è stata in grado di scoperchiare il suolo fino a 25 km di profondità e di provocare l’affioramento di strati magmatici differenti e la formazione di almeno una decina di terreni diversi: sabbiosi, silicei con porfidi vulcanici, ghiaie, arenarie, quarzi, tufi, scisti, graniti e ciottoli. E, come se non bastasse, circa 50 milioni di anni fa, 150 milioni di anni dopo la frammentazione della Pangea, un ulteriore avvenimento fondamentale per definire le dinamiche geologiche e orografiche di questo territorio è stato quello relativo allo scontro fra la placca africana e quella europea (linea insubrica) che ha dato origine alle Alpi e portato in superficie l’intera struttura sommersa dell’antico supervulcano, facendogli assumere un profilo orizzontale, anche questo fino a circa 25 km di profondità.

Madonna dell'Uva

Una storia geologica così complessa ha originato qui una configurazione straordinariamente differenziata dei terreni, caratterizzata fondamentalmente da suoli acidi (pH vicino a 4) e dalla minima presenza di calcare che, non legando fra loro i minerali presenti nella terra, li rende maggiormente disponibili per essere assorbiti dalle radici delle vigne. In pochissimi altri luoghi al mondo in un così ristretto spazio si concentrano condizioni geologiche, pedologiche e climatiche così diverse: dalla pianura alle vette granitiche più alte, dal porfido vulcanico alle morene glaciali, dal clima mite del lago a quello gelido di montagna. In un arco di km che va da 30 a 35 tra il fiume Sesia e il Lago Maggiore si trovano terroir diversi e ne nascono perciò vini diversi anche dagli stessi vitigni coltivati in altre parti del Piemonte e dell’Oltrepò Pavese, dall’altra parte della pianura padana.
Parlo, in particolare, di nebbiolo (spanna), croatina, vespolina (ughetta) e bonarda novarese (uva rara), in quanto di barbera se ne accenna già bene in quest’altro articolo di Lavinium. Descrivo perciò il ”poker” cusiano della Madonna dell’Uva di Elena Zanetta (con la ristorazione affidata ad Andrea Baglivi), cioè quattro vini caratteristici di questo territorio della DOC delle Colline Novaresi. Buoni da domenica 5 per tutto il Carnevale.
Provengono tutti in purezza al 100% dai rispettivi vitigni coltivati a 350 metri di altitudine s.l.m. su terreno morenico dai suoli sabbiosi e argillosi e allevati a doppio Guyot in vigne inerbite che si trovano riunite in un corpo unico su un’altura che emerge da Cureggio a dominare i boschi verso l’Agogna. Le vendemmie, così come tutte le operazioni di potatura, legatura, sfogliatura e diradamento dei grappoli, vengono sempre effettuate manualmente in piccole cassette da 15 kg.

Croatina  2017 Madonna dell'Uva

Croatina  2017
Quello che ho degustato è dell’annata 2017, quindi 5 anni dopo la vendemmia, tanto che mi ha indubbiamente stupito, non avrei mai creduto a tanta freschezza. L’uva croatina proviene da viti che producono una gran quantità di femminelle (germogli che nascono dalle gemme pronte dai cacchi, cioè i tralci dell’anno, cioè dai cacchi), ha gli acini con la buccia spessa e decisamente molto dolci e piacevoli anche da mangiare, è ricca di tannini e perciò ha bisogno di tempo per affinarsi e iniziare a rivelare le proprie caratteristiche migliori: fruttato, profumi, complessità. Chiamata in dialetto  anche ”spannibioéu” (a Ghemme o a Gattinara), fornisce da sempre il vino dell’accoglienza, il vino delle merende con gli amici e quello da offrire agli ospiti di passaggio, secco e diverso perciò da quello dell’Oltrepò Pavese che laggiù chiamano anche bonarda, ingenerando parecchi equivoci, per esempio con la bonarda novarese (uva rara), che è tutt’altro vitigno.
Le uve di croatina sono state raccolte nella quarta settimana di settembre con una resa di 80 quintali per ettaro e sono state macerate e vinificate in vasche di cemento vetrificate, il vino poi è maturato per 12 mesi in fusti di rovere francese di Allier, quindi è stato affinato per almeno 8 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Tenore alcolico nominale e reale 12,50%, residuo zuccherino naturale <1,00 g/l, acidità totale 6,0 g/l, estratto secco 26,19 g/l.
Di colore rosso rubino trasparente dai riflessi porpora, all’attacco un profumo di buccia d’uva apre un bouquet di aromi di more selvatiche, lamponi, fragolone mature e una leggera sfumatura erbacea di foglia di pomodoro. In bocca è secco con un’acidità gradevole di arancia rossa sanguinella, una struttura solida, un tannino acceso, un buon tenore alcolico e nel finale rilascia una gradevole sensazione di calore e un piacevole retrogusto “verde”. Consiglierei di servirlo a temperatura di anticantina sui 14/16°C e di non lasciargli superare i 18/20°C, in modo da goderlo meglio. È un vino vispo che si accompagna bene con taglieri di salumi e affettati freschi, tartare di carne, casoeûla d’oca, carni rosse cotte al sangue, bollito misto, funghi fritti, morbide pizze alte farcite in teglia, formaggi di mezza stagionatura, crostate di prugne e torte di mandorle, anche piccola pasticceria salata.

Vespolina 2016 Madonna dell'Uva

Vespolina 2016
Quello che ho degustato è dell’annata 2016, quindi 6 anni dopo la vendemmia, tanto che si può dire anche in questo caso che… “gli abbiamo tirato il collo”, perché normalmente è un vino che si dovrebbe bere più giovane. Le uve di vespolina sono state raccolte nella terza settimana di settembre con una resa di 80 quintali per ettaro e sono state macerate e vinificate purezza al 100% in vasche di cemento vetrificato, il vino poi è maturato per 12 mesi in fusti di rovere francese di Allier, quindi è stato affinato per almeno 6 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Tenore alcolico nominale 12,50% e reale 12,58%, residuo zuccherino naturale <1,00 g/l, acidità totale 6,0 g/l, estratto secco 25,09 g/l.
Di un bel colore rubino intenso e limpido dai riflessi granati, all’attacco si avverte il macis che introduce un bouquet di aromi maturi di mora di rovo, ribes nero, sambuco nero, polpa di prugna secca tipo California blu tra sfumature di manto equino. In bocca è secco, asciutto, fine e alla morbidezza dei tannini unisce in modo armonioso una bella sensazione di calore che risulta abbastanza persistente. Nel finale compare l’amarena sotto spirito con una nota di goudron, mentre la tipica sensazione finale leggermente vegetale che la vespolina mostra in gioventù si è evoluta con l’affinamento in bottiglia in un aroma che ricorda il cardamomo, anche il tartufo e il tabacco tipo scozzese da pipa.
Suggerirei di servirlo in calici ampi a una temperatura di 18°C in abbinamento con salam d’la duja sotto grasso, antipasti misti, ortaggi in conserva sott’olio, primi piatti semplici come i numerosi risotti della tradizione novarese, secondi piatti di carni bianche, verdure alla griglia, pollo allo spiedo, coniglio in fricassea, anche pesce in carpione e taglieri di formaggi di media stagionatura.

Nebbiolo 2016 Madonna dell'Uva

Nebbiolo 2016
Questo è un signor Spanna! Non so perché, ma a chiamarlo Nebbiolo mi sembra di mancargli di rispetto. Non assomiglia a quelli d’Alba, di Valtellina, di Carema, della Valsesia, di Gattinara o di Luras. Un monello! Mi ricorda uno Spanna servito sul tavolaccio al circolo con le castagne arrostite fra i pensionati impegnati a giocare a briscola mentre si raccontavano il funerale di Vincenzo ”Cino” Moscatelli, l’indimenticabile commissario politico delle divisioni garibaldine del Verbano, Cusio, Ossola e Valsesia. Un vino asprigno e grintoso proprio come lui e limpido come il cielo sul Monte Rosa, ma un complice che non può mancare a bordo campo quando si gioca a bocce. Un bicchiere tira l’altro e si smette solo quando non si riesce più a beccare una boccia al volo. Mi domando cosa potrebbe diventare con vespolina (ughetta), croatina e bonarda novarese (uva rara), ma in uvaggio, non in assemblaggio, un’arte antica che non riesco a dimenticare.
Le uve di questo nebbiolo (spanna) sono state raccolte nella seconda settimana di ottobre con una resa di 90 quintali per ettaro e sono state macerate e vinificate in purezza al 100% direttamente in tini di rovere di Allier, il vino poi è maturato per 18 mesi in fusti di rovere nazionale, quindi è stato affinato per almeno 9 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Tenore alcolico nominale 12,50% e reale 12,45%, residuo zuccherino naturale <1,00 g/l, acidità totale 5,85 g/l, estratto secco 26,98 g/l. Migliora molto con una lunga aerazione in caraffa.
Di colore rosso rubino limpido, attacca con un deciso profumo di marasca che apre un bouquet di aromi di ciliegie, amarene e susine viola della varietà Angeleno. Beverino sicuramente, va giù liscio senza asperità né complessità e in bocca mostra tannini marcati, ma non invadenti. Suggerirei di servirlo in calici ampi a una temperatura sui 18/20°C in abbinamento con primi piatti al ragù, salumi cotti, mortadelle di fegato, chiocciole in umido, rustida di maiale, cotolette impanate, arrosti di carni bianche e rosse, ossibuchi in gremolada, castagne arrostite e, anche se Veronelli non me lo perdonerebbe (lo so), con il gorgonzola cremoso tipo Pannerone. Il Gino nazionale mi aveva giustamente suggerito il Cannonau dolce riserva Anghelu Ruju dei piani di Alghero tra Mamuntanas e Bonassai, un bell’abbinamento, un consiglio da amico, ma come pulisce la bocca dal zola questo Spanna non ce n’è più per nessuno. Qui lo dico e qui lo nego. E non sparate sul pianista.

Nebbiolo ”Elena” 2016 Madonna dell'Uva

Nebbiolo “Elena” 2016
Le uve di questo nebbiolo (un vero re, in questo caso) sono state raccolte anch’esse nella seconda settimana di ottobre con una resa di 80 quintali per ettaro, ma i grappoli provengono da un quartiere molto scosceso che chiamano ”costa” con i filari a rittochino ed esposizione a est e vengono selezionati e vinificati subito, con diritto di precedenza su tutti gli altri del nebbiolo di base perché si tratta di un vero cru aziendale da consegnare alla cantina in pompa magna come su un cocchio regale trainato da cavalli bianchi. Le uve sono state macerate e vinificate in purezza al 100% direttamente in tini di rovere di Allier. Il vino è poi maturato per 18 mesi in botte di rovere di Allier e altri 6 mesi in barrique, quindi è stato affinato per più di 9 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Tenore alcolico nominale 13% e reale 13,43%, residuo zuccherino naturale <1,00 g/l, acidità totale 5,90 g/l, estratto secco 28,52 g/l. Va stappato prima, almeno 1 ora per ogni anno dalla vendemmia e quello che rimane in bottiglia aperta è ancora più buono il giorno dopo.
Di colore rosso rubino trasparente con riflessi granati, attacca con delicati profumi di viole e ciclamini tra sfumature di pepe appena macinato  che aprono un bouquet di aromi ben maturi di ciliegia Bella di Garbagna, anche sotto spirito, mora di rovo e chinotto con ricordi di tabacco scozzese da pipa. In bocca è pieno, signorile, ematico, di grande finezza e freschezza con il fruttato che si fa discreto con aromi maturi di amarena e prugne viola (anche in confettura) su un bel fondo di terra pulita. Ha una struttura notevole e tannini potenti, ma meravigliosamente domati con grande equilibrio, in armonia con un’acidità gradevole e un buon tenore alcolico. Nel finale lungo e piacevole emerge un ricordo di tamarindo e comincia a intravvedersi un effluvio empireumatico.
Suggerirei di servirlo in calici ampi a una temperatura di 18°C in abbinamento con affettati e salumi, fidighin, primi piatti di terra e di orto, paniscia novarese e panissa vercellese, carni rosse stufate o in umido, tapulon di carne d’asina, cacciagione, formaggi stagionati. Ottimo vino da conversazione e da meditazione, da centellinare anche con cioccolato fondente o un buon sigaro Avana. Medaglia d’oro al New York Wine Competition 2015. Diploma di merito al concorso enologico Calice d’oro dell’Alto Piemonte 2020.

Mario Crosta

Azienda Agricola Madonna dell’Uva di Zanetta Elena
via Vergano 25, 28021 Borgomanero (NO)
cantina: coord. GPS lat. 45.701177 N e long. 8.443106 E
vigneto: coord. GPS lat. 45.681151 N e long. 8.451103 E
tel. 0322.834369, cell. 338.1575330
sito madonnadelluva.cantina.business.site
e-mail: elena.zanetta@madonnadelluva.it e info@madonnadelluva.it

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

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