Come ben sappiamo a “fare il vino” sono soprattutto quei piccoli e numerosi microrganismi, più precisamente funghi, denominati lieviti e nello specifico quelli appartenenti alla divisione degli ascomiceti. Il mosto d’uva è un eccellente mezzo nutritivo per questi microrganismi che trovano in esso tutti gli elementi necessari per il loro sviluppo (composti azotati, zuccheri, vitamine, altre sostanze nutritive). Allo stesso tempo però esso si dimostra anche degradabile da microrganismi indesiderati come muffe e batteri. Ovviamente non tutti i lieviti sono positivi per la fermentazione alcolica in quanto hanno svariate caratteristiche che possono rivelarsi negative per il decorso della fermentazione. E’ da sottolineare che essi sono organismi dotati di attività respiratoria, che si moltiplicano in presenza di ossigeno utilizzando un gran numero di composti del carbonio come nutrimento e, quelli d’interesse enologico, sono dotati anche di attività fermentativa che si manifesta in ambiente riducente nei confronti dei monosaccaridi a 6 atomi di carbonio (glucosio). Queste loro capacità sono state accertate da Pasteur, il quale, ha stabilito che in presenza di abbondante ossigeno avviene una reazione in cui si ha come prodotti solo acqua e CO2 e energia (respirazione) mentre in condizioni di asfissia il lievito si moltiplica pochissimo e l’energia potenziale dello zucchero è sfruttata solo parzialmente per la formazione di un composto ancora ricco di energia quale l’alcool etilico (fermentazione). Oltre a tutto ciò interviene anche il cosiddetto “effetto Pasteur” per il quale si ha comunque prevalenza dell’attività fermentativa se la concentrazione zuccherina supera il 5%. Ora, non approfondendo ulteriormente questa parte introduttiva (tralasciamo le varie casistiche della fermentazione alcolica e il suo biochimismo) possiamo dire che la FA segue sostanzialmente la famosa equazione di Gay-Lussac:
C6H12O6→2C2H5OH + 2 CO2
Passando alla parte pratica vi sono 2 tipi di fermentazione: fermentazione spontanea e fermentazione guidata (quest’ultima con varie eccezioni come si vede dallo schema).
FERMENTAZIONE SPONTANEA Questo tipo di fermentazione è a carico dei cosiddetti lieviti indigeni naturalmente presenti nell’uva, nel mosto e nel vino e si ha un loro susseguirsi durante il processo fermentativo; in primis i principali lieviti presenti nei mosti sono di forma apiculata mentre in un secondo momento prendono il sopravvento cellule di forma ovale, ellittica o allungata portando a termine la fermentazione. I lieviti apiculati (definiti anche non-Saccharomyces) contribuiscono alla fermentazione soprattutto per quanto concerne le proprietà aromatiche e impartendo profili organolettici complessi e nuovi al futuro vino. Essi sono scarsamente alcool tolleranti quindi si trovano nel mosto nelle prime fasi del processo fermentativo mentre, raggiunti i 4% di alcool prendono il sopravvento i Saccharomyces Cerevisiae, dotati di un buon potere alcoligeno. Vi sono varie deviazioni rispetto a questo processo standard: un abbassamento della temperatura porta a una maggiore tolleranza da parte dei lieviti apiculati all’alcool tanto da permettergli, in casi eccezionali, di condurre tutta o buona parte della fermentazione. Inoltre vi sono alcune specie che possono talvolta sostituire i lieviti Saccharomyces come ad esempio Torulaspora, Zygosaccharomyces e Schizosaccharomyces. Data la numerosità delle specie presenti in naturale, il rischio di fermentazioni guidate da “cattivi fermentatori” è dietro l’angolo e sta all’enologo seguire attentamente questi processi per evitare lo sviluppo di popolazioni di lieviti che apportano sostanze negative all’interno del vino, poiché soprattutto per quanto riguarda gli apiculati, molti di essi, apportano prodotti secondari sgradevoli (aumento acidità per esempio) piuttosto che un miglioramento aromatico del prodotto.
FERMENTAZIONE GUIDATA CON LIEVITI SELEZIONATI 1887 Duclaux: tentativo di selezionare ceppi di lieviti 1890 Müller-Thurgau: primo selezionatore
Un altro metodo di condurre la fermentazione è rappresentato dalla fermentazione con lieviti selezionati (in tabella i principali criteri utilizzati). In questo caso sono inoculati spesso lieviti in forma disidratata (lieviti secco attivi (LSA)) attraverso inoculo diretto o la preparazione di un pied de cuve. L’inoculo diretto è considerato più semplice e sicuro, seppur il più costoso, poiché il LSA è aggiunto direttamente al mosto (post reidratazione) e la dose iniziale di cellule (elevata) è quella che innescherà poi la fermentazione. Nel caso del pied de cuve il LSA invece si moltiplica nel mosto ottenendo così un mosto-lievito; le probabilità di insuccesso in questo caso sono maggiori ma risulta più vantaggioso dal punto di vista economico. Tornando a parlare di fermentazione guidata, in generale si può affermare che questa tecnica è largamente utilizzata, poiché assicura una fermentazione lineare ed evita di incorrere in possibili arresti, più probabili in caso di fermentazione spontanea. Di contro però, in questo modo, si rischia di appiattire il vino e di perderne l’impronta territoriale (tesi dei sostenitori della fermentazione spontanea). L’impiego dei lieviti selezionati si basa sul principio di affidare la fermentazione a uno o più lieviti, opportunamente scelti per i loro caratteri, in base alla natura dei mosti da fermentare e delle condizioni di ambiente in cui si opera, e in conformità ai caratteri chimici e organolettici che si desidera imprimere al prodotti.
Lieviti selezionati o lieviti “indigeni”? Saccharomyces o non-Saccharomyces?
Il termine “autoctono” marca troppo il rapporto tra territorio, tempo e vigneto. Il termine “indigeni” risulta più appropriato per definire i lieviti presenti in un mosto, in una cantina o in un vigneto, in un determinato momento, senza pretese di continuità temporale.
“Poiché a tutt’oggi non si dispone, per la maggior parte dei vini, di parametri oggettivi a cui riferire quell’insieme di sostanze che, in certi equilibri e nel loro complesso, ne determinano la tipicità, appare necessario al momento (e con ogni probabilità lo sarà ancora a lungo), volendo avviare un programma di produzione di ceppi di lievito migliorati per l’enologia, basarsi su ceppi della microflora spontanea dei mosti e dei vini selezionati, mediante confronti basati sull’analisi sensoriale dei fermentanti, piuttosto che cercare di adeguare alle esigenze dell’industria enologica ceppi da “laboratorio”, oppure dei ceppi già “addomesticati“, ma in funzione di altre applicazioni”. – Delfini et al., 1993. In seguito altri autori hanno sostenuto quanto già affermato da Delfini e ultimamente si sta definendo un tipo di fermentazione, guidata appunto da lieviti indigeni selezionati, proprio con lo scopo di preservare al meglio il legame vino-territorio, ma nello stesso tempo evitare di incorrere in possibili inconvenienti tipici delle fermentazioni spontanee. Altra strada interessante emerge da un recente studio in cui s’ipotizza l’utilizzo di culture di lieviti non-Saccharomyces in associazioni a lieviti S. Cerevisiae per differenziare il profilo analitico e sensoriale dei vini, garantendo al contempo il controllo microbiologico delle fermentazioni (co-inoculo oppure inoculo misto). Questa possibilità nasce dallo studio dell’impronta organolettica che alcuni lieviti apiculati possono imprimere nella prima fase di fermentazione (alcuni lieviti appartenenti alla specie Kloeckera apiculata e il lievito Candida stellata). Tuttavia questa proprietà è stata rilevata anche in ceppi considerati inquinanti dei vini, che pur apportando benefici dal punto di vista organolettico, tendono ad aumentarne l’acidità volatile.
CONCLUDENDO… Detto ciò si sono delineate negli anni diverse correnti di pensiero tra i produttori vitivinicoli. Da una parte vi sono quelli che continuano a usare esclusivamente lieviti indigeni attraverso una fermentazione spontanea, convinti che solo il contributo delle diverse specie di lievito naturalmente presenti nel substrato sia in grado di conferire una complessità e una qualità superiori al vino, non ritrovabili invece in un prodotto ottenuto attraverso fermentazioni con lieviti selezionati. Altri preferiscono cominciare con i lieviti naturali già presenti e inoculare successivamente i lieviti commerciali. Altri ancora iniziano la fermentazione del vino con gli starter ma a livelli d’inoculo più bassi rispetto a quelli raccomandati facendo in modo che questi ultimi non prendano necessariamente il sopravvento su quelli indigeni. Altri infine si affidano ai preparati secchi per evitare di incorrere in arresti di fermentazione o problemi affini (questo soprattutto per quanto riguarda le grandi cantine). In ultimo è emerso che il patrimonio microbiologico del nostro vigneto è condizionato anche dalle tecniche utilizzate in campo, vale a dire eventuali trattamenti con particolari sostanze che vanno a modificarlo; tecniche come il sovescio e la consociazione con altre specie lo aumentano, al contrario trattamenti antiparassitari tendono a diminuirlo. Questo si può spiegare considerando i lieviti come funghi, a livello di oidio o altri e quindi anch’essi risentono di questi trattamenti. Va da sé che uva eccessivamente trattata non sarà idonea a una fermentazione spontanea ed è necessario una buona pratica di gestione in campo al fine di preservare al meglio il matrimonio microbiologico dell’uva in caso s’intenda procedere appunto con una fermentazione spontanea. Si conclude quindi sottolineando ancora una volta la stretta correlazione tra ambiente, coltura e patrimonio microbiologico e quindi lo stretto legame tra gestione del vigneto e cantina e come il primo possa influenzare il secondo.
Sara Morozzi
Nata a Lugo di Ravenna, sommelier AIS, laureata in Viticoltura ed Enologia presso l'Università di Bologna; ad oggi Tecnico Commerciale e docente presso l'Università per Adulti di Lugo (RA), collabora con Lavinium per la sezione "Enologica", fornendo un notevole contributo tecnico/scientifico. Lo scopo della sezione è affrontare il mondo dell'Enologia dal punto di vista tecnico cercando di raccontare in modo semplice e comprensivo anche ai non addetti ai lavori quel che c'è dietro ad una bottiglia di vino.
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Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
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