Calamari ripieni con provola e limone su crema di patate e Vermentino di Sardegna
A volte penso che dal punto di vista del reperimento delle materie prime sono proprio fortunata. Appena sono arrivata a Rieti, ormai più di 20 anni fa, ho capito subito che per tutto quello che riguarda frutta, verdura, carne, olio, formaggi e salumi, il territorio mi offriva grandi materie prime. Piccoli produttori locali, terreni poco contaminati, aria buona. E da subito ho scelto da chi rifornirmi.
Per il pesce, però, ho dovuto penare un po’ di più. Io amo preparare il pesce ma sono nella città dell’Umbilicus Italiae, lontano dal mare. Non mancano le pescherie, intendiamoci, ma nulla al confronto con Roma, dove sono nata e vissuta. Per fortuna, dopo averne girate un po’, ho incontrato Pietro: persona vivace e schietta, con il fratello che pesca nell’Adriatico riesce ad arrivare il martedì mattina prestissimo con il pescato in un paesino vicino Rieti. È la mia fortuna; il pesce è sempre fresco e buono.
E tra alici, scampi, gamberi rosa, seppie e gli altri pesci tipici di queste acque, i calamari sono tra i miei preferiti. Per riconoscere la freschezza dei calamari basta osservare, prima di tutto, il colore: il calamaro fresco ha un colore roseo con venature rosso scuro e violetta e la parte bianca è molto lucida e brillante. Infatti, se i calamari hanno un colore tendente al giallo, vuol dire che sono passati almeno un paio di giorni; un calamaro buono e fresco emana un profumo delicato di salsedine e alghe e presenta al tatto carni molto compatte.
Inoltre, i calamari sono un’ottima fonte proteica, ricchi di calcio, fosforo, magnesio e vitamina A e B1.
Il calamaro ha dieci arti ricoperti da più file di ventose, divisi tra 8 braccia e 2 tentacoli che servono a catturare le prede.
Sono molto versatili e possono essere preparati in tanti modi, non mancano mai nelle zuppette e nella frittura. Diventano, appena scottati, i protagonisti di insalate di mare in compagnia di gamberi rosa e verdure croccanti. Quando sono piccoli e teneri, mi piace anche utilizzarli per preparare un sughetto con pochi pomodorini e tanto basilico per condire gli spaghetti.
Stavolta però ho voluto replicare un piatto che ho mangiato in un ristorante marchigiano, nella zona di Civitanova: ve li propongo ripieni di pane, provola affumicata e zest di limone. È una preparazione che ne esalta il sapore delicato. L’unica variante che ho voluto applicare al piatto è l’aggiunta della crema di patate, che lo rende perfetto per essere servito come antipasto, accompagnato con un buon vino bianco.
Ingredienti per 4 persone
- Calamari dell’Adriatico 800 g.
- Pane secco casereccio (mollica di 4 fettine sottili)
- Un limone amalfitano
- Provola affumicata (o scamorza affumicata) 100 g.
- Patate 500 g.
- Uno spicchio d’aglio
- Un rametto di rosmarino
- Pomodori datterini 250 g.
- Un rametto di timo cedrino
- Zucchero 25 g.
- Sale q.b.
- Pepe nero q.b. macinato fresco
- Olio EVO q.b.
Procedimento:
Per pulire correttamente i calamari, lavarli in acqua corrente e separare i tentacoli tirandoli via dal resto del corpo; verranno via anche le interiora. Rimuovere la penna cartilaginea dalla sacca. Pulire il ciuffo di tentacoli dalla testa, eliminando gli occhi incidendoli e sciacquare bene sotto l’acqua per togliere il nero che inevitabilmente sarà fuoriuscito.
Eliminare poi la pelle incidendola e tirandola via.
Per preparare la zest di limone: pulire l’agrume e pelarne una metà, però solo la superficie gialla, senza intaccare la parte bianca. Tagliare quindi la buccia alla julienne e sbollentarla in acqua bollente per 3 o 4 volte, per toglierle il sapore amaro.
Preparare il ripieno aggiungendo in una ciotola la mollica delle fettine di pane ammollata in acqua e ben strizzata, la provola a dadini piccoli, le zeste di limone, sale fino, pepe nero e mischiare bene.
Riempire i calamari con il ripieno, chiudendo la sacca con uno stecchino di legno. Mettere un filo d’olio extravergine di oliva in una padella, salare leggermente e far cuocere i calamari ripieni e i tentacoli sfumando con mezzo bicchiere di vino bianco.
Infornare i pomodori datterini tagliati precedentemente a metà e cosparsi di zucchero e foglie di timo, un pizzico abbondante di sale fine, pepe nero e olio. Cuocere in forno statico preriscaldato a 160 °C fino a quando saranno appassiti.
Nel frattempo, tagliare a dadoni le patate, mettere olio e aglio (lasciato intero con la buccia che poi elimineremo a fine cottura), con il rametto di rosmarino in un’altra padella a bordi alti e unire le patate da far cuocere lentamente aggiungendo acqua calda man mano, per evitare che si asciughino troppo e per mantenerle morbide. Aggiustare di sale fine e pepe nero a fine cottura. Lasciare intiepidire e passare le patate al setaccio per farne una crema.
Impiattare mettendo sul fondo del piatto la crema di patate, adagiarci sopra i calamari privi dello stecchino e decorare con i pomodorini confit e le foglioline di timo rimaste.
Laura Nuzzo
Il vino consigliato: Vermentino di Sardegna ”Papiri” 2021 della Cantina Santa Maria La Palma
Nel secondo dopoguerra, alcune centinaia di famiglie di viticoltori e di contadini, provenienti perlopiù dall’esodo degli italiani che avevano perso tutto nell’Istria occupata definitivamente dai croati, avevano avuto in assegnazione dalla Riforma Agraria le terre incolte lungo le strade che partono dall’aeroporto di Fertilia verso Guardia Grande e il lago Baratz da una parte e verso Maristella nell’agro settentrionale del comune di Alghero. Non avevano più niente, ma braccia forti, ingegno e soprattutto la solidarietà, un’esemplare capacità di sapersi fidare l’uno dell’altro per costruire qualcosa di grande in quel territorio magnifico per la sua bellezza, ma dimenticato per secoli dagli agricoltori su quelle pianure sconfinate sferzate dal vento di maestrale che arrivano ad affacciarsi sul mare del Golfo di Alghero, la Baia di Porto Conte e la spiaggia di Porto Ferro.
Una zona che era, e in parte è ancora, veramente selvaggia, è stata civilizzata e valorizzata dalle loro mani esperte e coraggiose che hanno bonificato tutti gli appezzamenti assegnati circondandoli di eucalipti come frangivento e questo ’importante cambiamento ha reso quelle parcelle adatte proprio per fare il vino e così nel 1959 un centinaio di loro aveva deciso di associarsi e di fondare insieme la Cantina Santa Maria la Palma. Dal 1973 al 1990 ho conosciuto personalmente diversi di questi pionieri sparsi fra dolci colline e forre dove le temperature miti e le brezze che giungono dalla costa hanno creato un ambiente favorevole alla produzione di uve di alta qualità dai vitigni della tradizione sarda, scoprendo ben presto nel Cannonau e nel Vermentino le colture autoctone più importanti per la produzione di vino.
Da Mamuntanas presso Tanca Farrà andavo sempre lì a comprare il rosso sfuso per il consumo quotidiano e il bianco imbottigliato per le scorpacciate di pesce, crostacei e molluschi, quell’Aragosta di colore giallo paglierino con tenui riflessi verdognoli, equilibrato, ma ben espresso con una fresca fragranza di mela matura, dal sapore asciutto senza asperità, fresco e leggermente vivace, molto armonico, con un misurato fondo di mandorla e un tenore alcolico tra il 12,5% e il 13%. Intrigantissimo e indicato da Wine Spectator come uno dei 100 migliori vini al mondo nel rapporto qualità prezzo, tanto che adesso ci sono pure le versioni frizzante e brut bianche e perfino quelle rosé, da uve raccolte con un leggero anticipo sulla maturazione ideale che rimane rispettata per la versione secca, storica, capace di ottenere premi e riconoscimenti, medaglie d’argento e d’oro nei concorsi più prestigiosi da ben 60 anni.
A volte nel negozio annesso alla cantina e anche in quello di fronte a quello dei formaggi di un’altra eccellente cooperativa, la COAPLA (oggi hanno punti di vendita anche ad Alghero, a 15 km di distanza) c’incontravo il colonnello Casula o il brigadiere Marcias della Guardia di Finanza, due autentici lupi di mare in divisa, il primo preferibilmente sotto il mare con le bombole e l’altro certamente sopra con le motovedette guardacoste, spietati solo con i criminali ma simpaticissimi con chi rispettava l’ambiente, la gente e le buone maniere.
Un ardito investimento di capitali nell’ultimo decennio del secolo scorso ha poi permesso l’acquisto di moderne presse orizzontali computerizzate per le spremiture soffici, come mi aveva anticipato l’avvocato Giuseppe Palmas, e nel 2014 ci ho incrociato uno dei miei miti enologici, Donato Lanati, e quattro altri enologi arrivati dal continente per migliorare la produzione (cosa che non dipende soltanto dal microclima unico).
E ci sono riusciti in maniera davvero eclatante, tanto che ogni anno vengono prodotte e distribuite in Italia e nel mondo circa 5 milioni di bottiglie, numeri che fanno della Cantina Santa Maria La Palma una delle più importanti realtà socio-economiche del territorio regionale. Oggi sono più di 300 soci che coltivano oltre 700 ettari e in questi terreni la ricca eterogeneità dei suoli ha permesso alla Cantina di mettere a dimora ai piedi del Monte Doglia anche altre uve, altrettanto pregiate, come monica, cagnulari e chardonnay.
La Cantina Santa Maria La Palma fa anche molta sperimentazione, per esempio deposita alcune partite di vino in fondo al mare a una temperatura ideale e costante, mantiene una vigna dedicata alla sperimentazione di molti vitigni diversi nella speranza di metterli un giorno in produzione, ma solo se riuscirà a esprimerli al meglio, come i vitigni sardi autoctoni con nomi dialettali (per esempio, i bianchi Laccornazzu e Arvesiniadu) insieme con altre uve italiane più conosciute come Aglianico, Barbera e Malvasia.
Con questa eccellente pietanza proposta da Laura preferisco il Vermentino di Sardegna DOC ”Papiri” 2021 che ritengo sia l’espressione più ricca, fine e di razza dei bianchi della Cantina Santa Maria La Palma, tanto che l’annata 2017 aveva vinto una prestigiosa medaglia d’Argento al Concours Mondial de Bruxelles tenuto in Cina per la prima volta e che mi piace personalmente anche di più dell’elaborata cuvée Akènta 71 che si fregia di tre medaglie d’oro (nel 2022 al Berliner Wein Trophy e al Grand International Wine Award Mundus Vini, nel 2021 al Concours Mondial de Bruxelles).
Il Papiri nasce dalle vigne più vecchie coltivate da un quarto di secolo con una densità di 3.500 ceppi per ettaro i cui grappoli, una volta giunti a perfetta maturazione, normalmente a Settembre, vengono selezionati attentamente e vendemmiati a mano in piccole cassette con una resa di 110 quintali per ettaro e trasportate in cantina dove sono sottoposte a vinificazione in bianco mediante pressatura soffice e fermentazione alcolica in contenitori di acciaio inox a temperatura controllata mediante inoculo di lieviti selezionati. Una volta conclusa la fermentazione, maturano per qualche mese in contenitori di acciaio inox prima dell’affinamento finale in bottiglia e la messa in commercio. Di tenore alcolico del 13%, è un Vermentino di Sardegna che ha conquistato uno standard di alto livello con un ottimo rapporto tra qualità e prezzo (8,50 € alla cantina, circa 12 € in enoteca).
Di colore giallo paglierino appena un po’ più carico dell’Aragosta e luminoso, all’attacco è delicatamente profumato di melone e mele golden. Il bouquet è delicatamente morbido negli aromi di fiori di campo e glicine, pesca noce o nettarina, bergamotto, ma non particolarmente complessi. In bocca mostra un un buon corpo, è morbido, intenso e persistente, conferma al sapore il fruttato e nel finale presenta la nota mandorlata leggermente amarognola tipica del vermentino che pulisce straordinariamente bene il palato dai sapori del pesce, con cui va a nozze. Si accompagna infatti perfettamente a tutti i piatti di pesce, crostacei e frutti di mare, tra cui ricordo le specialità algheresi come il brodo di pesce, l’aragosta alla catalana, la tracina al limone, il carpaccio di polpo, a una temperatura di servizio da mantenere in secchiello di acqua e ghiaccio oppure in glacette tra 8 e 10 °C.
Rolando Marcodini
Cantina Santa Maria La Palma
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