Una storia antica di grande attualità che rivive nelle pagine dell’affascinante libro “Falerno. Il vino dei Cesari”
Al confine tra Campania e Lazio, nella zona compresa tra il monte Massico, il fiume Savone e le pendici del vulcano spento di Roccamonfina, c’è una fascia di terra conosciuta con il nome di Ager Falernus. Questo territorio particolarmente fertile era già noto nell’antichità principalmente per la produzione dell’omonimo vino Falerno.
Il Falerno del Massico è una denominazione complessa, legata a una storia importante e antica. Vino da sempre amato dagli antichi Romani, è stato citato e raccontato da tanti autori latini, in quanto era considerato tra i vini più importanti all’epoca. Un vino che racconta il legame forte con la cultura e con la sua terra di elezione e che trova nel recente testo: ”Falerno. Il vino dei Cesari” di Giuseppe Nocca, un racconto interessante e coinvolgente di questa preziosa denominazione, presentato lo scorso ottobre presso l’azienda Villa Matilde Avallone.
Questo vino, che vanta 2500 anni di storia, viene raccontato nella sua valenza storica ed economica, attraverso lo studio accurato e approfondito affrontato da Giuseppe Nocca, che con caparbietà, ha dato vita a questo testo affascinante e importante, non solo per chi conosce il territorio, ma anche per chi non ne sa nulla.
Nel suo testo si legge il valore di questo territorio e la voglia di rivalutarlo, oltre che di mettere in luce le tante cose che ha da raccontare. Un libro che, come ha sottolineato durante la presentazione l’archeologa Marisa De’ Spagnolis: ”È un lavoro eccezionale questo svolto dall’amico Giuseppe Nocca, che nel suo testo ha tracciato un excursus che va dall’età preistorica ai tempi moderni. Tanti sono gli autori che vengono citati e le considerazioni che ne derivano. Tra aneddoti e curiosità si mette in evidenza anche il profondo lavoro dello studioso, che si è accollato l’onere di favorire l’incrocio tra la lettura critica della documentazione archeologica da una parte e delle fonti antiche e documentarie dall’altra, ha permesso di aver un quadro del più alto interesse, anche se parzialmente incompleto, della situazione della storia del territorio denominato Ager Falernus, del suo sviluppo agricolo, della nascita del latifondo, delle aree relative alla produzione del vino Falerno, alla sua eccezionale importanza, all’origine del suo nome ed alla ipotetica occupazione greca della costa, alla sua diffusione in Italia e nelle provincie dell’impero”.
Nel suo testo il Nocca sottolinea l’importanza delle vie d’acqua per il trasporto delle anfore e dei vicini porti di Minturnae, Sinuessa, Volturnum per l’esportazione di un vino così speciale. Considerato un vino finanche terapeutico e curativo, come si evince dal testo di Galeno, il Falerno può essere considerato anche la prima vera DOC o il primo Grand Cru della storia.
Già 2000 anni fa esisteva infatti un disciplinare di produzione che prevedeva un rituale codificato, oltre ad una sorta di etichettatura, nota come “pittacium”. Di questo ne abbiamo testimonianza da parte di Petronio, (Satyricon – 34): ”Statim allatae sunt amphorae vitreae diligenter gypsatae, quarum in cervicibus pittacia erant affixa cum hoc titulo: Falernvm Opimianvm Annorvm Centvm”(Un attimo dopo arrivano delle anfore di cristallo scrupolosamente sigillate e con delle etichette incollate al collo con su scritto: Falerno Opimiano di cent’anni).
Sui “dolia” usati per l’esportazione veniva appunto riportato il “pittacium”, una sorta di etichetta che riportava il nome del produttore, il luogo di origine e l’annata. Una ricostruzione di una storia globale del territorio che lascia in ogni caso alcuni importanti punti di domanda.
Luogo ideale per tale presentazione, è stata l’azienda vitivinicola Villa Matilde di Maria Ida e Tani Avallone, fondata nel 1965 da Francesco Paolo Avallone. In questa realtà di Cellole (CE) che negli anni ’60 del 1900, l’Avv. Francesco Paolo Avallone, appassionato cultore di vini antichi, incuriosito dai racconti di Plinio e dai versi di Virgilio, Marziale e Orazio, ha ridato lustro e vita a questo vino leggendario. Successivamente coadiuvato da un gruppo di ricercatori universitari, l’Avv. Francesco Paolo Avallone, fondatore di Villa Matilde, era riuscito a individuare le varietà di uva con cui si produceva il vino falerno e a rintracciare pochi ceppi di quelle viti, dirette discendenti delle varietà coltivate nell’ Ager Falernum oltre 2.500 anni addietro.
Nonostante la fama ed il successo, con la caduta dell’Impero Romano e con l’arrivo della fillossera verso metà ottocento e inizi del novecento, del pregiato e costoso Falerno si erano infatti perse le tracce, ed è proprio grazie alla tenacia e alla curiosità dell’Avvocato se oggi possiamo apprezzarlo.
Adesso sono i due fratelli, Maria Ida e Tani Avallone che continuano a portare avanti l’eredità paterna, ma sempre con uno sguardo proiettato verso il futuro.
Lungo le pendici del vulcano di Roccamonfina, si trovano le tenute di San Castrese e Parco Nuovo che si estendono per oltre 110 ettari, di cui 70 vitati. Un microclima unico, favorito dalla catena montuosa che protegge i vigneti dalle aggressioni del vento e dal freddo. L’azienda attualmente studia e seleziona diverse particelle del territorio dove ha o creerà nuovi impianti, avvalendosi della collaborazione del Wine Research Team guidato da Riccardo Cotarella.
Il legame con la cultura e le tradizioni del territorio rappresentano la storia, il fondamento e la filosofia dell’azienda, mentre innovazione e rispetto per l’ambiente sono i punti di forza del suo futuro, come si può constatare dal progetto “Emissioni Zero”, un ampio percorso orientato alla sostenibilità ambientale, avviato nel 2009 – anno Internazionale del Pianeta Terra – con l’obiettivo di azzerare progressivamente le emissioni di gas serra e produrre vino in maniera eco-compatibile.
Progetto che ha investito in toto la produzione e la conduzione aziendale attraverso una serie di azioni integrate dai lavori in vigna alla distribuzione finale. Ad oggi il ricorso alle energie alternative è uno dei punti cardine dell’intero programma: su 6 edifici aziendali sono stati installati – senza alterare l’armonia del paesaggio – 339 pannelli fotovoltaici in grado di produrre energia elettrica pulita per 100.000 kWh/anno evitando l’emissione di 73 tonnellate di CO₂ ogni anno.
Importante è anche l’utilizzo delle biomasse prodotte in azienda ed il recupero delle acque di irrigazione e lavaggio delle uve. Nei terreni è stata implementata la piantumazione di nuovi alberi per favorire l’emissione di ossigeno.
Qualità, eco-sostenibilità, cultura del territorio, rispetto della tradizione, crescita, sviluppo tecnologico e sostegno alla ricerca scientifica sono i principi etici ed i valori scritti nella storia e nel futuro dell’azienda. Aspetti che trovano risposta nelle loro etichette, che perdurano nel tempo, come nel caso del Doc Falerno del Massico Bianco Vigna Caracci 2008, un vino emozionante e sorprendente dotato di una freschezza disarmante. Elegante e complesso all’olfatto, gioca sul registro floreale, con tracce agrumate, note di frutta a guscio. Un vino sontuoso e carismatico che dichiara nel calice la forza espressiva di questa denominazione ricca di fascino e di storia.
Fosca Tortorelli