Szamorodni Sweet 2008 Tokaj Pendits
Szamorodni vuol dire “così come viene”, si pronuncia “sciamorodni“, è fatto a Tokaj e gode del marchio Tokaji perché è un vino di qualità tutelato dalla denominazione più famosa dell’Europa Orientale, ma il suo nome viene dal polacco “samorodni“. Cosa c’entrano i Polacchi? C’entrano.
In Ungheria dicono che “Lengyel, Magyar – két jó barát, együtt harcol, s issza borát“, che significa “Polacco e Magiaro, due fratelli, sia con la spada sia con il bicchiere”, (in Polonia pure sono orgogliosi di questa frase che ripetono con “Polak, Węgier, dwa bratanki, i do szabli, i do szklanki“). Un’amicizia consolidata durante il periodo tra le due guerre mondiali, quando in questi due Paesi c’erano poche occasioni di lavoro, ma in Ungheria ogni anno si vendemmiava l’uva e la manodopera locale non bastava mai, quindi si dovevano assumere braccianti nei Paesi vicini, vale a dire soprattutto in Polonia, perché quelli cechi e slovacchi o degli stati balcanici erano già impegnati nelle vigne di casa loro, mentre in Polonia di vigne ormai non ce n’erano quasi più da tre o quattro secoli.
Come saprete già, lo Szamorodni è nato da un’intuizione di questi braccianti; in origine proveniva dai grappoli parzialmente attaccati dalla muffa nobile, la botrytis cinerea, che i braccianti polacchi a fine estate dovevano scartare durante la selezione dei grappoli di uve bianche sane da raccogliere per fare vini secchi oppure lasciare ancora sulla pianta perché venissero botritizzati completamente fino a novembre, quando avveniva la seconda vendemmia di uve ormai appassite dalla muffa nobile e perciò cariche di zuccheri naturali, destinate ai Tokaji Aszú.
I Polacchi, che durante le vendemmie qualche acino se lo mangiavano pure, ritenevano che fosse davvero un peccato gettare a terra tutto quel ben di Dio come avevano fatto invece gli Ungheresi fino a quel momento. Era vero che quelle uve non erano adatte a fare dei Tokaji Aszú, ma potevano fare lo stesso del vino, secondo la loro modesta opinione di bevitori di vodka, di birra e di tutto ciò che fermenta e produce bevande alcoliche, e ottennero dai vignaioli ungheresi il permesso di recuperare pure i grappoli scartati e di farne ciò che volevano. Nacque così il vino che viene come viene, lo Szamorodni. Una bella furbata, no?
Dopo un po’ anche gli Ungheresi, che scemi non sono mai stati, cominciarono a dedicare attenzione a questa vinificazione fuori dalle loro abitudini e provarono a farla in quasi tutte le cantine della zona, senza nemmeno spender molto nell’aggiungere o togliere qualcosa: come viene, viene. Più naturale di così, si muore.
C’è chi lo fa in modo ancora più naturale degli altri, come Márta Wille-Baumkauff, proprietaria dal 1991 della cantina Pendits Kft, completamente biologica dal 2005 e certificata Demeter dal 2011 (solo due cantine in tutta l’Ungheria lo sono: l’altra è la Wassermann a Villány). All’inizio Márta è stata aiutata anche da enologi del calibro di Egon Müller, proveniente dalla Mosella, e di Mádi Kör (nonché da István Szepsy e János Árvay, ovvero le mie leggende in luogo insieme a Tibor Gál e Lajos Gál).
Márta è riuscita poi a scoprire che le sue vigne, quasi 10 ettari in località “Krako” (che in ungherese significa appunto – Cracovia), prima della guerra appartenevano ai fratelli polacchi Marian e Flórián Bilicki, che proprio ad Abaújszántó producevano già il Szamorodni ed erano diventati i più grandi produttori ed esportatori di vino della regione. Qualche bottiglia era ancora in cantina. Si sa com’è andata la guerra, maledetti prima i nazisti e poi i servi dei Russi che statalizzarono la tenuta, ma alla fine di tante peregrinazioni questa proprietà è stata acquistata dalla famiglia Baumkauff.
E non è finita. Marta ha poi scoperto e documentato che queste vigne, dominate dalle montagne Báthory, appartenevano fin dal 1485 addirittura alla famiglia nobile ungherese dei Báthory-Somlyo, da cui proveniva anche il re di Polonia Stefano I Báthory (già Stefano IX di Transilvania, nonché Granduca di Lituania).
La bottiglietta da mezzo litro va conservata e bevuta a 14 °C. L’annata 2008 è stata molto calda durante il giorno e spesso piovosa o nebbiosa durante la notte, perciò le uve sono state attaccate non soltanto dalla muffa nobile, ma da tutte le malattie fungine possibili e immaginabili, anche la muffa grigia. Nei vini secchi da uve settembrine sono emersi sentori di fichi, tabacco, lana di pecora, formaggio di pecora, ovile e fumo di falò, mentre in quelli dolci da uve completamente botritizzate sono affiorate note di favo d’arnia, albicocca secca, caramello, torte charlotte, tanto che si può dire che quella era un’annata da vini dolci, anche troppo.
Questo vino, invece, ottenuto oggi da un passaggio intermedio di vendemmia, cioè da uve parzialmente botritizzate, con un blocco della fermentazione per lasciare un buon residuo zuccherino nel vino, ha compiuto un piccolo miracolo e questa volta (la prima volta per uno Szamorodni) mi è piaciuto per levigatezza, rotondità e morbidezza.
Ha passato almeno due anni di affinamento in botticelle di rovere locale fabbricate con spacco a mano e lasciate scolmare fino all’imbottigliamento per favorirne l’ossidazione, ma non è risultato troppo dolce grazie all’ottimo rapporto con un’acidità ben sviluppata, bensì molto delicato e di beva piacevole.
Mi hanno entusiasmato le sue note di noci e di frutta essiccata al sole come uva passa, datteri, albicocche, susine, banane e altri frutti tropicali. Mi ha ricordato un Furmint vendemmia tardiva 2002 Disznókő, una buona alternativa ai Sauternes. Credo che sia il primo vino naturale dolce fatto a Tokaj, non era nemmeno in listino e sono onorato di potervelo consigliare.
Mario Crosta
Pendits Kft
Béké út 111
H-3881 Abaújszántó, Ungheria
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