Nel Collio estremo, in una terra di tutti e di nessuno, sette cantine sul colle di Oslavia hanno saputo trasformare in vino una cultura secolare con un obiettivo oltremodo preciso: tutelare il territorio attraverso la Ribolla, la sua terra (Oslavia per l’appunto), le sue genti. La geografia l’ha posta, così come la sua regione odierna di appartenenza, nella soglia delle tre principali realtà etnico-linguistiche del continente europeo, latina, slava e germanica, le cui diverse identità storico-culturali nei secoli hanno alternato conflitto e dialogo, separazione e armonizzazione. Oslavia, minuscolo territorio sviluppato attorno a Gorizia, tra l’Isonzo e il confine sloveno, si colloca perciò a pennello: un piccolo scrigno di bellezza incontaminata, una cornice florida (senza la presenza di un capannone nell’intero raggio della frazione) di una quiete impagabile, da visitare e da calpestare per una sola e unica ragione: stare bene.
Il fiume Isonzo
Un fazzolettino di superficie protetto a nord dalle Prealpi Giulie e aperto a sud ai benefici effetti del clima marino che propone terreni posizionati su substrati di flysch (meglio conosciuta come ponca) arenario marnoso di origine eocenica; una forma alquanto ridotta disegnata dal tempo e dalla mano dei vignaioli, in un susseguirsi di cromatiche sfumature verdi, gialle e marroni (a seconda delle stagioni), sospese d’incanto tra cielo e terra. Il che a sua volta significa abbondanza di sali minerali e povertà di sostanza organica in profondità: insomma l’ideale per la coltivazione della vite. Una zona magica, magnetica, dalla natura elettrizzante, capace di elargire educazione, profumi, aperture, ospitalità, pur tra i suoi segreti, le sue ritrosità e le sue ordinarie difficoltà. Nel visitarla, non è poi così arduo cogliere il trinomio vino-cibo-cultura che incoraggia il suo distretto e della cui rilevanza se ne può aver sicurezza e convincimento quando si ha il piacere di sedersi attorno a una tavola o, al limite, al tipico caminetto.
L’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia, che vede protagonisti sette dinamici produttori (Dario Prinčič, Fiegl, Gravner, Il Carpino, La Castellada, Primosic, Radikon) opera quindi in un contesto di convivenza e appartenenza; in una terra dove nel corso della storia gli Stati si sono alternati con la stessa frequenza delle escursioni termiche; in un paesaggio, insomma, che descrive il risultato dell’incontro di genti provenienti dalla penisola balcanica, dall’Europa centrale, dal mare. Dunque, la storia di questi luoghi ha forgiato lo spirito dei suoi abitanti, che continuamente hanno affrontato guerre e calamità naturali, restando uniti, definendo i tratti di un’identità locale oltremodo solida. Nel lungo e piacevole discorrere, è interessante infatti notare come la loro cultura contadina abbia assunto le sembianze di una cultura imprenditoriale, senza perdere i vantaggi dell’origine: semplicemente il corretto orgoglio di appartenere a una zona feconda per far crescere le proprie viti e magari le proprie idee.
Personalità differenti, passionale e accoglienti, filosofe e innovative, intuitive e pragmatiche, che si incrociano nelle sfide a cui sono convocati, è cioè quelle inevitabili e piene di insidie rappresentate dalla globalizzazione dei mercati, dei modelli, dei consumi, dei gusti uniformati dalle regole e dalle formule delle produzioni industriali. Pare infatti che la sinestesia tra la Ribolla e Oslavia sia inscindibile, poiché spesso e volentieri il vino sa tirare fuori il meglio di un uomo, dimostra di saper valorizzare il territorio e riesce a generare fascino e prestigio. Il vino è arte, il vino è poesia, ma è soprattutto e fortunatamente passione di coltivare la terra. La Ribolla gialla è un vitigno coriaceo, vigoroso, dall’acino grosso, tondo, lievemente schiacciato ai poli: un’uva succosa (buona anche da mangiare), al contempo contadina e principesca, che si adatta onorevolmente alla macerazione; un vino dalla controllata e istintuale razionalità grazie alla sua buccia spessa e pruinosa.
Lele Gobbi fotografato da Fabrice Gallina
Per Martin Figelj (FIEGL) infatti “non è da ieri che in questo territorio si fa vino. La storicità, l’esperienza e la comprensione sincera delle nostre viti, rappresentano la genesi del nostro vino: pulito, schietto e onesto”. Per Franco Sosol (Il CARPINO) “questo territorio permette di esprimere il nostro carattere. I miei vini, la loro eleganza, sono frutto della ponca, del sole e della bora uniti al lavoro in cantina, dove cerchiamo di onorare e valorizzare ogni acino raccolto”. Per Marko Primosic (PRIMOSIC) “la Ribolla quando è buona si chiama Oslavia, anche perché lavoriamo sui massali da vitigni antichi e che al di là della macerazione, qui elargisce sempre tensione e mineralità. È in tutto e per tutto il nostro biglietto da visita”. Per Matteo Bensa (LA CASTELLADA) “Oslavia ci porta a concepire un vino verticale, equilibrato e saporito, che a tratti ricorda la salinità del mare e la sua mineralità, a tratti riesce ad equilibrarsi in bocca e lasciare un ricordo molto preciso e semplice”. Per Saša Radikon (RADIKON) “la Ribolla rappresenta la parte fondamentale della nostra storia vinicola, nel senso che già mio nonno aveva posto a mio padre come unica condizione di proseguimento aziendale quella di continuare a piantare tale vitigno e per di più negli appezzamenti meglio esposti. È il leader delle macerazioni e, dal canto mio, cerco di rendere un vino che rispetti la terra con una visione guidata dalla responsabilità verso il luogo e verso i miei figli”. Per Mateja Gravner (GRAVNER) “i vini buoni sono figli di un territorio sano: la monocoltura non funziona, è insensato. Per questo da tempo piantiamo alberi, prepariamo stagni ed appendiamo nidi per gli uccelli per accogliere in vigna quanta più vita possibile”. E infine, per Dario Prinčič (PRINČIČ) “la Ribolla di Oslavia è come le persone, le quali danno il massimo a casa loro; in un luogo estraneo si può dare qualcosa ma non il massimo”. Ribolliamo 2023 si è rivelata qualcosa in più di una seppur eccellente degustazione di cibo e vino: una mensa stimolante, o meglio, una convivialità in cui si sono toccati vari momenti di storia vissuta delle varie famiglie coinvolte (la cui origine slovena è indubbio), a tratti commoventi a tratti impressionanti, comunque densi di significato per tutti i commensali. A testimoniare, ancora una volta, al cospetto di chi risiede in ogni frontiera, come diceva Mario Soldati, quell’impagabile sensazione di libertà, parziale e passeggera, ma non illusoria, di “cambiare” o anche solo di “poter cambiare”.
Lele Gobbi
Torinese, sognatore, osservatore, escursionista, scrittore. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Torino e Master in “Non profit” presso la SDA Bocconi di Milano. Per otto anni si è impegnato in progetti con l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, occupandosi di raccolta fondi, marketing, comunicazione, relazioni esterne, degustazioni e soprattutto di organizzazione di viaggi educativi in Italia e nel mondo. Scrive per Spirito diVino, James Magazine, La Cucina Italiana, Viaggiare con Gusto, Senza Filtro. È consulente per agenzie di marketing e comunicazione. Ha viaggiato in tutti i continenti alla ricerca dei cibi più vari, dei mercati più pittoreschi e dei popoli più antichi. Ama lo sport (sci e basket), la montagna (le Alpi) e l'arte contemporanea.
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Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
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Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
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