Montelio dal 1803 a oggi, intervista all’enologo Edoardo Scanavino
Correva l’anno 1803, quando Angelo Domenico Mazza acquistò i primi terreni in Oltrepò Pavese nel Comune di Codevilla. Nel 1848 inizia la produzione e la vendita dei vini per volere dell’ing. Domenico Mazza, e, data la passione per il vino, non mancava mai di aggiornarsi attraverso il Journal Vinicole che si faceva spedire direttamente dalla Francia. Dopo Domenico, la conduzione aziendale è passata al figlio Gaspare e la nipote Anna Maria con il marito Roberto Sesia, nonni di Caterina e Giovanna Brazzola, attuali proprietarie, che con cura e professionalità hanno portato avanti quel patrimonio conoscitivo e produttivo di qualità, da rendere la Montelio una delle tenute storiche più interessanti dell’Oltrepò Pavese. Una storia affascinante di civiltà monastica, infatti vi dimorava l’antica grangia di un monastero dove già nella seconda metà del 1200 si coltivava la vite.
La cantina sotterranea risale alla seconda metà del 1600, mentre l’antica tinaia è oggi un’accogliente sala di degustazione. Nel cortile padronale c’è il vecchio torchio del secolo XIX; e il magico, suggestivo ed emozionante infernot; antica ghiacciaia, dove ancora oggi sono conservate vecchie etichette e alcune bottiglie dalla forma particolare disegnate dall’ing. Mazza. Montelio è anche il luogo del sole, dal greco helios, proprio per la particolare esposizione dei vigneti, dove il paesaggio delle dolci colline si tinge di luci intense che vanno a sfumarsi in lievi sinfonie rilassanti. L’ampio vigneto condotto col metodo della lotta integrata comprende vitigni tradizionali quali barbera, croatina, pinot nero, uva rara per i rossi, e riesling, cortese, malvasia per i bianchi; mentre negli anni ’50 sono stati introdotti vitigni innovativi per il periodo, come il müller-thurgau e il merlot.
Un altro passo importante è stato fatto grazie al lavoro del Prof. Attilio Scienza dell’Università di Agraria di Milano alla fine degli anni ‘80, sul recupero della tradizionale Uva della Cascina, piantata alla Montelio nel 1993 in un vigneto sperimentale, ed in commercio con la prima vendemmia nel 2015 in purezza. Con il nome Gaina, dal dialetto milanese, oggi il vino è apprezzato per finezza, speziatura e freschezza. Dopo anni di collaborazione dello stimato agronomo-enologo Maffi Mario, dalla fine del 2017 è il promettente enologo Edoardo Scanavino l’ideatore degli attuali vini sotto la consulenza enologica del Professor Leonardo Valenti e per la parte agronomica dello Studio Sata di Brescia; ma importante è anche l’impegno in Azienda della sorella Irene e dei cugini Arianna e Roberto. Edo… riservato, e solo in apparenza un po’ timido… ha già lo sguardo rivolto al biologico pronto a ridisegnare il futuro della tenuta, una sfida importante per una terra che merita di essere conosciuta per autenticità, storia e tradizioni. I vini di Edoardo avranno molto da raccontare…
Edoardo parlaci dello stage presso Barone Pizzini, come hai vissuto quell’esperienza?
Sono stato accolto benissimo, a parte i primi sfottò perché ero oltrepadano, ma dopo qualche giorno, vedendo il mio impegno e passione si sono sempre dimostrati contenti e disponibili. È rimasto un bel rapporto, ogni tanto vado a trovarli. Da loro ho avuto il battesimo al Metodo Classico, storicamente in Italia è nato nella mia azienda ma data la giovane età non l’avevo mai visto. Mi sono talmente appassionato che l’anno dopo ho dato la tesi sul pinot nero Metodo Classico. Da questo anno la prima annata, la vendemmia 2018 è stata la base, a giugno ’19 il tiraggio.
Quando uscirà il primo spumante?
Sarà almeno un 18/24 mesi quindi uscirà nel 2021, per adesso solo pinot nero; e chissà potrebbe chiamarsi come il Fondatore…ci sto pensando. Partendo da due cuvée di base diverse, faremo un 18/24 mesi e una riserva di 60/70 mesi. Nel 2017 abbiamo impiantato un vigneto a chardonnay che entrerà in produzione quest’anno e in Università avevo fatto delle prove con del müller-thurgau, non è escluso che potrebbe entrare in minima percentuale 10/15% nella cuvée da 24 mesi nelle annate più fresche per attenuare l’acidità del pinot nero.
Ricordiamo che il Giornale Vinicolo Italiano, nel 1886 rendeva noto che “leggiamo con vero piacere che nei giornali livornesi, S.A. il principe Luigi, nel battesimo della Vesuvio, rompeva contro la chiglia della nave una bottiglia di Montelio. È questo uno Champagne nazionale, già assai favorevolmente noto nel campo enologico e unisce al pregio di una buona fattura quello del prezzo assai mite”.
Sarebbe un fattore distintivo.
Esatto, una particolarità che caratterizzerebbe l’azienda, visto che da noi il müller è sempre stato coltivato. Ultimamente a livello commerciale si ricerca sempre di più la varietà autoctona o qualcosa che si ricollega al terroir. Riuscire a far riconoscere, con la nostra azienda, questa varietà d’uva come buona espressione territoriale darebbe una marcia in più ai nuovi prodotti.
Come stai affrontando il discorso della biodiversità, della sostenibilità oltre alla lotta integrata che Montelio ha sempre praticato?
Ci stiamo provando, questa forse non è l’annata migliore per iniziare ma ci stiamo dando da fare in collaborazione con Pierluigi Donna dello studio Sata, Valenti e l’Università. Abbiamo diversi progetti per ridurre l’impatto ambientale, dal diminuire l’emissione di anidride carbonica a quella di aumentare la sostanza organica, studiando le tecniche dei sovesci, gli inerbimenti con semenze, semplicemente sfalciando e interrando le erbe, tutto in maniera naturale, così si migliora la struttura del terreno e ne giova sicuramente la vite e la maturazione dell’uva.
Come è organizzata l’azienda, quali sono le figure che lavorano e collaborano?
Ci sono mia madre Giovanna e la zia Caterina, le matriarche, che ci supportano in tutte le nostre iniziative, io mi occupo della gestione della cantina, della vinificazione, di tutto quello che ruota intorno ai vini, mio cugino Roberto si occupa del vigneto, con lui ho sempre un importante dialogo, perché ci deve essere uno stretto rapporto tra quello che succede in vigna e in cantina. Mia cugina Arianna, si è laureata in marketing e sta conseguendo una seconda laurea, poi entrerà in azienda occupandosi della parte commerciale mentre mia sorella Irene ha finito la scuola di cucina e sta facendo esperienze presso diversi importanti ristoranti, forse in futuro collaborerà con noi, gli ho consigliato di non avere fretta, di sfruttare questo periodo per fare tutte le esperienze necessarie prima di ritornare in azienda.
Tra le varietà che producete, quale vorresti che venisse riconosciuta come migliore espressione, come vero Cru?
Il pinot nero vinificato in rosso, stile Borgogna, anche se il terroir e le condizioni climatiche sono completamente differenti, naturalmente il pinot nero Oltrepadano e in particolare nella zona dei vigneti della Montelio che sono in posizioni favorevoli e ben esposti, avrà sempre le sue caratteristiche, un po’ più carico, corposo e comunque diverso da quelli francesi, ma non così strutturato come si beveva solitamente. Senza tralasciare un vitigno come il cortese che porto nel cuore, un po’ per il legame al territorio, in Oltrepò è coltivato solo in tre comuni, Codevilla, Retorbido e Torrazza Coste, su queste colline con vena di gesso, tipica di Mondondone, che ricorda il nostro legame con il Piemonte: Colli Tortonesi e Gavi. Non avendo in Oltrepò un vitigno bianco simbolo, ultimamente si sta puntando molto sul riesling renano ma sarà sempre un vitigno adottato, il cortese potrebbe diventare il futuro segno di riconoscimento del territorio.
I cambiamenti climatici condizioneranno le tue future scelte?
Il surriscaldamento climatico è un grande problema. Le vendemmie sempre più precoci, il pinot nero, che è una varietà molto sensibile al caldo, non è facile da vinificare né in bianco né in rosso, la temperatura influenza anche l’elaborazione degli antociani, quindi del colore, si cerca di posizionare i vigneti in altitudine, in luoghi più freschi. Abbiamo dei terreni a Mondondone intorno ai 300 metri s.l.m., stiamo valutando di spostare parte della produzione in quei luoghi.
Avete un campo sperimentale con tutte le varietà “autoctone”?
Sì, dall’inizio degli anni ’90 in collaborazione con il Centro di Riccagioia, Mario Maffi era riuscito a recuperare e selezionare, in Valle Staffora, dalle vecchie vigne, le viti dell’Uva della Cascina, adesso abbiamo un piccolo impianto e dal 2015 vinifichiamo con successo le uve in purezza. Dal 2018 abbiamo provato una vinificazione in legno esausto, solo per dargli una micro-ossigenazione per andare a bilanciare e arrotondare quello che è il tannino un po’ acerbo. È una particolarità che abbiamo solo noi e sicuramente andremo avanti su questa strada. È una varietà non ancora riconosciuta, stiamo attendendo gli studi dell’Università di Piacenza in collaborazione con San Michele all’Adige per la certificazione.
Il tuo stile di vino è il pinot nero?
Sì, è una delle varietà più difficili sia in vigneto da coltivare sia in cantina perché ha bisogno di molte attenzioni, la considero come una sfida.
Tra i produttori dell’Oltrepò Pavese c’è un clima di collaborazione?
In questi ultimi periodi sono stato coinvolto ai tavoli di Denominazione creati dal Consorzio, ho trovato un clima collaborativo soprattutto da parte delle cantine più rappresentative, e una cosa che ritengo importante, da parte delle cantine cooperative di Torrazza Coste e Torrevilla, che si stanno dando da fare per rilanciare l’immagine del territorio, focalizzando ogni azione per migliorare la qualità dei prodotti. Ho un buon rapporto e condivisione d’informazioni con giovani realtà come Calatroni, Alessio Brandolini e Stefano Malchiodi della Tenuta Mazzolino.
Il vostro mercato di vendita?
Principalmente locale, in Lombardia. All’estero; Germania e Svizzera; la particolarità è che oltre ai rossi, vendiamo anche riesling e müller-thurgau, che, rispetto ai loro vini hanno meno residuo zuccherino e il pubblico incomincia a preferirli. Oltreoceano Giappone, USA e Canada, per il momento solo vini rossi fermi, spero in futuro nella bonarda, sarebbe una soddisfazione.
Quale mezzo di comunicazione ritieni ideale per promuovere la tua azienda?
La carta stampata, come i quotidiani; i social media pubblicando e commentando con costanza e produrre vini che possano entrare nelle varie guide, per l’estero sono fondamentali.
Tra i vini degustati ci soffermiamo sulla GAINA, il vino del… c’era una volta nella sua unicità legata al luogo, l’uva della cascina, “berla”, usando una parola contadina ci fa tornare indietro nel tempo, quasi a spezzare la simmetria del vino tecnologicamente ben fatto, con un profilo potente, intensità nel colore porpora dall’unghia rubino, profumi vinosi e fruttato di bosco, spezie, il gusto pieno dalle durezze appena accennate, un buon equilibrio e corrispondenza. Si abbina bene con il Cappone ripieno; per un’alternativa vegetariana, risotto di zucca su fonduta di taleggio.
Gabriella Grassullo ed Ezio Gallesi