Nord Piemonte: su la testa!
La prima notizia è che la prossima, 4° edizione, del convegno internazionale “Nebbiolo Grapes” si terrà proprio in alto Piemonte, nel 2011, come annunciato da Paolo Rovellotti, produttore di Ghemme e Presidente della Camera di Commercio di Novara. La seconda è che, finalmente, qualcosa si muove anche in questo lembo di Piemonte nebbiolesco. Impossibile ripercorrere qui i tanti motivi, storici, economici e sociali che hanno fatto sì che una delle patrie del nebbiolo sia caduta per tanti, troppi lustri nello sgabuzzino di tanta critica di settore. Assistere finalmente a un evento come se ne vedono tanti oramai in ogni angolo d’Italia, anche in nord Piemonte, ci ha finalmente liberato da quel sentimento di impotenza e frustrazione che vedeva molti appassionati e (pochi) critici di settore da tempo chiedersi come mai da queste parti regnasse una sorta di immobilismo, alimentato quasi da un compiacimento a dirsi piccoli e sconosciuti.
“Siamo piccoli e belli” ha esordito Rovellotti, che forse, sinteticamente ma efficacemente, ha espresso in modo preciso i problemi che per decenni hanno ingabbiato l’intero comparto enogastronomico di quest’area: “Per troppo tempo qui ognuno ha guardato a casa sua, nonostante l’area sia quella a più affluenza turistica del Piemonte”. Più coesione, quindi. A dire il vero i segnali di un certo fermento in zona li avevamo ravvisati già qualche anno fa, quando proprio dalle pagine di questa rivista ci occupammo del mini comprensorio di Boca con uno speciale dedicato ai vini e alle vicende locali: intraprendenza e voglia di fare gruppo erano gli aspetti che ci avevano colpito positivamente nel nostro breve, ma intenso tour tra Maggiora e Cavallirio. Non a caso, sempre da queste parti, recentemente un evento come quello di “Terre di Vite“ ha visto un’affluenza di pubblico al di sopra delle aspettative degli stessi organizzatori.
Questa volta, domenica 29 Novembre, invece, è andato in scena l’intero comparto nord piemontese: un banco di assaggio con 45 produttori appartenenti alle denominazioni coordinate dal Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte (Gattinara, Ghemme, Boca, Bramaterra, Fara, Lessona, Sizzano, Colline Novaresi) e una conferenza stampa mattutina, presto diventata un convegno a più voci, organizzato presso i locali del Cinema Parrocchiale di Gattinara. Lorella Zoppis Antoniolo, presidentessa del Consorzio, emozionata, ma molto determinata, da padrona di casa ha coordinato gli interventi di Mauro Carosso, Delegato Ais di Torino, Gianni Fabrizio, Gambero Rosso Editore, Giancarlo Gariglio, Slow Food e Sandro Sangiorgi di Porthos.
Nel nord Piemonte si è consumata, più che altrove probabilmente, una cesura tra storicità della zona e misconoscenza. Una vera e propria caduta nell’oblio. Del “richiamo della fabbrica”, che qui come in altre parti d’Italia e del Piemonte, a cavallo tra gli anni ‘60 e ’70, ha attirato risorse economiche e persone, contribuendo in modo decisivo al noto spopolamento delle campagne, si è spesso detto e a ragione.
Inutile, d’altronde, come ha sottolineato Gianni Fabrizio, continuare a osservare con malinconia le foto risalenti al pre-boom economico industriale che ci ricordano di un paesaggio dove la vigna era ovunque, fin dentro i cortili e ai bordi delle strade. Quel tempo è finito e con esso i numeri legati a una viticultura dove il vino non era questione edonistica, ma alimentare.
Da dove ripartire quindi? Lorella Antoniolo, e non solo lei, ha ricordato come l’aspetto positivo di questo “andamento lento” si sia riflesso in uno svincolo dall’abbraccio delle mode. Quali? Per esempio quella che ha imperversato tra la fine degli anni ’80 e la fine dei ’90 (che a dire il vero continua, anche se decisamente con meno enfasi e spinta del passato anche ai giorni nostri): muscolarità, concentrazione, estrazione e colori impenetrabili. Qui la colonizzazione dei vitigni internazionali non si è vista come altrove, né l’eccesso di una monocultura che faceva sì che si piantasse vite dove al massimo potevano attecchire le patate. Certo mancano un po’ di ettari vitati, come ha ricordato ancora Gianni Fabrizio, e forse anche un numero di vini portabandiera più nutrito per far sì che si conquistino altari e copertine. Ma probabilmente non è più il tempo neanche per inseguire queste vetrine.
Giancarlo Gariglio ha enfatizzato il concetto di “quotidiano”: “Il fatto che la gente possa bere bene a poco prezzo, anche nei vini base è fondamentale“. Il Nord Piemonte, indubbiamente, non lesina di vini dai prezzi umani, ma dai contenuti eccellenti, dotati di quello slancio nella beva, oggi finalmente concetto non più relegato ai margini. Pericoloso l’auspicio, sempre del nuovo curatore della futura guida della chiocciola di Bra, di dover sfruttare questa caratteristica per entrare in modo massiccio nella Grande Distribuzione Organizzata, magari locale, per conquistare così maggiore visibilità. L’abbraccio con i colossi della GDO è da valutare sempre con molta attenzione, specie per realtà di piccole dimensioni che hanno logiche di margine antitetiche a quelle dei supermercati, ovunque essi siano dislocati sul nostro territorio e qualsiasi sia la loro bandiera politica.
Sangiorgi, nel suo excursus anche e soprattutto letterario (Mario Soldati in particolare), ha sottolineato la grande capacità di lettura del territorio da parte del nebbiolo, dotato di una memoria che qui si trasforma in vini “severi, che non si concedono immediatamente”, ma che al tempo stesso rappresenta il valore stesso del nebbiolo nord piemontese. “Il nebbiolo non deve seguire il mercato, specie in un territorio come questo”: più che guardare al locale, secondo il direttore e fondatore di Porthos, bisogna ambire “all’universale”, poiché i vini di questo comprensorio hanno caratteristiche che li rendono “indimenticabili”. Perché? Per merito di quella “partecipazione gustativa” tra tannini e acidità che li rende ideali nel luogo deputato alla loro vera esaltazione: la tavola. Che il grimaldello per poter alzare la testa con coraggio ed affacciarsi al mercato senza sensi di inferiorità, mantenendo la propria identità, sia l’abbraccio con la cucina e quindi la tavola, è un concetto che da sempre viene sottolineato da chi ha combattuto quell’esasperazione degli anni appena passati, trascorsa alla ricerca di vini tanto potenti quanto sufficienti a se stessi. Un incoraggiamento a credere maggiormente nelle proprie possibilità, con forza e soprattutto unione, che speriamo possa d’ora in avanti avere un seguito ricco di soddisfazioni.
Alessandro Franceschini