Merano International Wine Festival: the beat goes on…
Merano festeggia il suo 15esimo anniversario e consolida il suo ruolo di punto di riferimento per il mondo del vino: produttori, operatori del settore e semplici appassionati. I vini selezionati dalle 8 commissioni d’assaggio durante tutto l’anno hanno portato a Merano quasi 600 produttori provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo. I tre giorni canonici della manifestazione sono diventati, ormai, un’intera settimana grazie al programma elaborato insieme all’associazione turistica del Tirolo. Tra le manifestazioni collaterali merita, in particolare, di essere segnalata Bio&Dinamica (alla sua seconda edizione) riservata ai viticoltori che producono secondo le regole della coltivazione biologica e/o biodinamica. Dopo il bagno di folla del 2005 (oltre 6000 visitatori), quest’anno è stato deciso una sorta di contingentamento per evitare l’eccessiva confusione. Ed effettivamente, ad eccezione dei banchi d’assaggio dei produttori più blasonati presi d’assalto come da tradizione, si riusciva a camminare per le sale del Kurhaus senza incontrare particolari ostacoli. Sicuramente il clima non è quello ideale per una degustazione professionale che consenta una valutazione approfondita e giudizi dettagliati sui vini. Pertanto non ho ritenuto di procedere con vere e proprie note di degustazione “classiche” ma limitarmi a segnalare quelle etichette che ho ritenuto più tipiche ed interessanti. Una considerazione più generale la vorrei, però, fare. La qualità media dei vini assaggiati è stata notevole. Mi sembra, in questo senso, che si assista ad un apprezzabile ripensamento stilistico da parte della stragrande maggioranza dei produttori, indipendentemente dall’area geografica d’appartenenza. |
||
Una sorta di addio alle concentrazioni esasperate e all’uso sconsiderato della barrique. Questo “de profundis” coincide con un ritorno a vini più eleganti e bevibili, come qualcuno mi ha fatto ironicamente osservare “un ritorno al vino“, punto e basta. Mi è dispiaciuto solo constatare che qualche raro esempio che ancora sopravvive di quell’enologia anni novanta fatta di vini costruiti e palestrati, continui a coinvolgere quasi sempre sprovveduti produttori del mio amato sud o cantine esordienti, quasi che questi soggetti non abbiano preso atto e non si accorgano del superamento, ormai diffuso e riconosciuto, di certi schemi e di un determinato approccio obsoleto nel produrre vino. Ho iniziato la mia serie, a tratti interminabile, d’assaggi con alcuni bianchi altoatesini. Il Pinot Bianco Vorberg Riserva 2004 della Cantina di Terlano conferma un impareggiabile rapporto qualità-prezzo, pur non essendo ancora perfettamente a fuoco e scontando in questo momento qualche peccato di gioventù. Molto interessante la possibilità offerta da Loacker di assaggiare il suo chardonnay Ateyon da due diverse annate: la 2004 col tappo in sughero e la 2005 imbottigliata con tappo in vetro. Indipendentemente dall’annata, infatti, si può chiaramente intravedere la differente possibilità evolutiva offerta dalle due chiusure. Il vetro dovrebbe preservare il vino esaltandone le doti di freschezza e mineralità, un’evoluzione molto più lenta che, comunque, viene garantita dalla permeabilità, anche se decisamente inferiore, del tappo in vetro. |
||
Ho avuto modo di provare anche il Morellino di Scansano prodotto nella tenuta maremmana dei Loacker ed anche in questo caso mi sono sembrati piuttosto evidenti i peculiari attributi di freschezza conservati dal vino, anche se mi è sembrato più nei termini (scontati) del frutto che minerali. Rimanendo in Toscana molto coinvolgente la presentazione dell’annata 2004 dei due rossi della famiglia di Napoli Rampolla: il d’Alceo, da uve cabernet sauvignon ed un piccolo saldo di petit verdot, da vigne relativamente più giovani ed impianti più fitti, ed il Sammarco, da uve sempre cabernet sauvignon in prevalenza con un 10% di sangiovese, da vigne più vecchie. Un classico il Brolettino di Cà dei Frati, da uve lugana 100% (come tiene a sottolineare il proprietario), che ad un naso non particolarmente espressivo, delicato e diafano, contrappone un palato decisamente sapido e lungo nella persistenza finale. Ottimo anche il rosato Grayasusi prodotto dall’azienda calabrese Ceraudo, che mi è stata data la possibilità di assaggiare sia nella versione 2005 che 2004. Ho preferito quest’ultimo millesimo leggermente più evoluto e complesso rispetto all’annata più giovane, più semplice ed immediata. |
||
Non avendo la possibilità di andare a Benvenuto Brunello perchè la manifestazione si svolge in un periodo dell’anno in cui sono distratto da altri impegni di lavoro, approfitto, solitamente, della presenza del Consorzio e di altri produttori, a Merano, per assaggiare il maggior numero possibile di etichette. Le condizioni ambientali non sono il massimo. In compenso c’è il vantaggio, naturalmente, di assaggiare i vini dopo che questi hanno, nel frattempo, guadagnato un ulteriore affinamento in bottiglia. Anche se si tratta solo di altri sei mesi, penso che per un Brunello di Montalcino non siano, comunque, affatto pochi. Avevo letto tanto e bene sull’annata 2001, in termini quasi sempre entusiasti. In questo senso le mie aspettative erano molto elevate e posso dire che alla fine non sono state disattese. Tra gli assaggi “top” sono rimasto particolarmente colpito da Poggio di Sotto. L’interpretazione di Palmucci mi è sembrata decisamente più personale e di carattere rispetto alla media. Sullo stesso livello la Cerbaiona del comandante Diego Molinari. Mi è piaciuto lo stile sobrio ed austero di produttori come Talenti e Pian dell’Orino. In linea con la tradizione anche le versioni offerte da Biondi Santi (che uscirà nel 2007 con una riserva della stessa annata che si preannuncia, già, strepitosa). Straordinario Il Piaggione 2001 di Salicutti. Tra le seconde linee (si fa per dire) voglio segnalare gli ottimi Brunello di Siro Pacenti, Il Poggione, Val di Cava, Mastrojanni, Col d’Orcia, Le Potazzine, Le Macioche, Capanna, La Gerla e La Fortuna. Decisamente buona, qualche gradino più in basso, anche la Riserva 2001 di Corte Pavone. |
||
Buona prova della selezione Donna Olga di Friggiali che partecipa al progetto Wine for Life. Interessante l’assaggio in anteprima dei 2002 de La Cerbaiona ed Uccelliera che preannunciano un’annata non così disastrosa come si pensava. E Diego Molinari sta già pensando, tra l’altro, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, di uscire con un prezzo più accessibile. Tra i Rosso di Montalcino 2004 voglio, invece, segnalare quello di Collemattoni. Alle positive vibrazioni che ho avvertito per il Brunello hanno fatto eco quelle altrettanto piacevoli che hanno accompagnato l’assaggio di alcuni Chianti Classico 2003 e 2004. Mi fa piacere che una volta archiviata, come sembra, l’epoca dei supertuscans si possa ritornare, finalmente, a parlare di eccellenze tra i vini di due delle nostre più tradizionali e celebrate denominazioni d’origine. Tra le novità (almeno per me) più convincenti ho assaggiato la Riserva Borro del Diavolo 2001 di Ormanni (cantina segnalata più volte dal talent scout di vini toscani Franco Traversi) mentre tra le conferme oltre alla versione “d’annata” 2004 di produttori come Felsina (Beradenga), Fontodi, le selezioni Castello di Fonterutoli e Castello di Brolio, anche la 2003 di produttori come Rocca di Montegrossi e Vecchie Terre di Montefili e soprattutto le riserve 2003 sempre di Felsina (Rancia) e Fontodi (Vigna del Sorbo) oppure Il Poggio di Monsanto. Fuori dalle denominazioni ma rigorosamente 100% sangiovese interpretata molto bene la difficile vendemmia 2003 anche da alcuni classici come Pergole Torte di Montevertine e Flaccianello della Pieve di Fontodi. |
||
A.N.I.M.A. “…la ricchezza della diversità…” è l’Associazione Nazionale Italiana Metodo classico Autoctono diretta dal bravo Luca Furlotti. Un progetto molto interessante che riunisce, o almeno che si propone di farlo, tutti i produttori di spumante metodo classico da uve autoctone. Al banco d’assaggio molto frequentato, a dimostrazione dell’interesse crescente di operatori ed appassionati verso la tipologia, ho avuto modo di riassaggiare i vini di due validissimi produttori meridionali: l’ottimo Asprinio d’Aversa Millesimato 1997 di Grotta del Sole e Murgo Brut dell’omonima casa siciliana, da uve nerello mascalese in purezza Quest’ultimo mi è sembrato, però, in quest’ultima sua versione leggermente sottotono. Tra le altre associazioni presenti anche Le Donne del Vino con un nutrito drappello di produttrici al seguito. E’ stato, in questo caso, l’assaggio di un buonissimo pinot bianco, ricavato da vecchie vigne su terreni di natura alluvionale, a lasciarmi particolarmente ben impressionato: Le Pergole 2005 di Longariva. Nella sezione “Dulcis in Fundo“, dedicata a 35 vini dolci-passiti, ho trovato particolarmente interessante il Vin Santo Occhio di Pernice Sinfonia 2001 di Bindella che secondo me non ha nulla da invidiare al mitico Avignonesi (anche se questo rimane per il lunghissimo invecchiamento cui viene sottoposto, e non solo, unico nel suo genere). Esordio promettente, invece, per il Passito di Falanghina 2004 prodotto dall’azienda Castelle di Castelvenere in provincia di Benevento. |
||
Presso il banco d’assaggio dei “coronati” di Vini Buoni d’Italia ho avuto, invece modo di assaggiare diversi piemontesi dall’ottimo Langhe Doc Mores 2003 di Burlotto al Barbaresco Falletto 2001di Bruno Giacosa, dal Barolo Vigna Rionda 2001 di Oddero agli straordinari Gattinara di Travaglini: Tre Vigne 2001 e Riserva 2000. Meno convincente il Barolo 2000 di Arnulfo, viticoltore in Monforte d’Alba. Tra le novità da segnalare mi ha sorpreso positivamente il teroldego rotaliano Virgilius 2002 di De Vescovi Ulzbach, sulle cui tracce ero già da un po’. Sempre presso la stessa struttura ho potuto, per la prima volta, provare i vini dell’azienda agricola Rapolla, due interessantissimi e vulcanici aglianico del Vulture: Camerlengo 2003 elevato in barrique ed Antelio 2003 affinato in botti grandi da 50 ettolitri. Un altro rosso del Vulture, premiato, invece, con la corona non mi ha convinto allo stesso modo: il Nibbio Grigio 2003 di Di Palma rimane un grande rosso ma secondo me offre meno in termini di complessità e persistenza aromatica, rimanendo ancorato sul frutto con una mineralità più ferrosa e, per il momento, solamente accennata. |
||
Presenti anche i coronati della Campania (alle cui sessioni di degustazione abbiamo preso parte anche io e Roberto Giuliani) che non mi hanno entusiasmato e convinto del tutto. Alcuni bianchi come il Pietresparse Solopaca Doc 2005 di Santimartini oppure il Greco 2005 di Cantina del Taburno si sono rivelati più degli ottimi rapporto qualità-prezzo che dei campioni “over-all”. Addirittura qualche gradino sotto il fiano cilentano Valentina igt Paestum 2005 di Alfonso Rotolo. Idem dicasi per i rossi con i Taurasi 2001 di D’Antiche Terre e la selezione Gagliardo di Colli di Castelfranci. Più convincenti il Taurasi Vigna 5 Querce 2002 di Molettieri. Mentre, invece, il riassaggio di un finalista come il Marraioli 2003, l’aglianico di Masseria Venditti, mi ha convinto una volta di più che avrebbe meritato il premio finale. Anche gli stessi rossi di Libero Rillo dell’azienda Fontanavecchia, mi riferisco al Vigna Cataratte 2001 ed il Grave Mora 2004, pur in uno stile più concentrato e legnoso, avrebbero, probabilmente, meritato qualcosina in più. |
||
Nella sezione International Top Selected non ho potuto assolutamente perdermi i riesling di Markus Molitor provenienti da alcuni tra i migliori vigneti della Mosella: su aromi fruttati e più immediato lo Zeltinger Sonnenhur Auslese 2004 trocken (secco), più minerale ed espressivo il Graacher Himmelreich Auslese 2001 halbtrocken (demi sec), giovanissimi ma già apprezzabili adesso i più zuccherini Wehlener Sonnenhur Spatlese e Zeltinger Sonnenhur Auslese 2005. Gianluca Mazzella, conoscitore ed esperto di vini tedeschi ed austriaci, mi ha invece suggerito i vini di Schloss Gobelsburg ottenuti da uve gruner veltliner di due diversi cru: Kammerner Renner e Kammerner Lamm, entrambi 2005. Chicca finale la versione tradition che riprende la tecnica risalente al secolo scorso di vinificare il gruner veltliner con tecnica ossidativa, a contatto diretto cioè con l’ossigeno: da provare. Prima di lasciare le sale riservate ai produttori stranieri ho sostato presso i banchi d’assaggio dell’importatore La Flute per non mancare i mitici Chablis di Louis Michel: il “base” (si fa per dire) 2004, e i due premier cru Grenouilles e Montee de Tonnere. Unico appunto da fare all’amica Delphine Vessière è stata la mancanza (oltre che del produttore) di personale qualificato disponibile a dare qualche maggiore spiegazione su questi splendidi chardonnay. Ultimo assaggio, ancora un Graves bianco da uve 80% semillon e 20% sauvignon presso l’Union des grands crus de Bordeaux: Chateau Rahoul che conferma la vocazione anche bianchista di una regione quasi esclusivamente conosciuta per i suoi rossi. |
||
Tra gli altri consorzi presenti non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di una panoramica sul Soave, che quest’anno ha ottenuto elogi e riconoscimenti, con i dovuti distinguo d’annata e produttore, dalle varie guide e, più in generale, dalla critica di settore. I vini che non erano presenti al banco del Consorzio sono stati assaggiati direttamente dai produttori presenti alla manifestazione. Secondo il mio parere e soprattutto il mio personalissimo gusto Pieropan rimane una spanna sopra tutti: Calvarino e La Rocca 2004 sono un esempio rispettivamente di fulgida mineralità e ricchezza aromatica. Più ricco e concentrato anche La Froscà 2004 di Gini al quale ho preferito la maggiore austerità del Vecchie Vigne Contrada Salvarenza 2005. Continuo a preferire, invece, nel caso di Inama la maggiore semplicità del Vin Soave 2005 alla struttura più ricca e condizionata dal rovere del Vigneti di Foscarino 2005, assaggiato in anteprima. Anche nel caso di Coffele ho preferito la versione più tradizionale, Cà Visco 2005 a quella affinata in rovere Alzari 2004. Ricco e concentrato lo Staforte 2004 di Prà. Diretto e fresco, senza fronzoli, il Borgoletto 2005 di Gino Fasoli. Molto sobrio lo stile di Monte Tondo su tutte e tre le versioni prodotte: da quella solo acciaio d’annata (2005), passando attraverso quella affinata in legno Casette Foscarin 2004 fino ad arrivare alla selezione più importante, Foscarin Slavinius 2003. Più semplici e dirette, forse un po’ troppo, la versione “base” 2005 di Tamellini e quella Superiore 2004 di La Broia. Interessante l’Albare 2005 di Portinari, “doppia maturazione ragionata”: in pratica parte delle uve raccolte a maturazione normale e parte lasciate a surmaturare dopo averne reciso i tralci. Unica delusione il Roccolo 2005 de Le Mandolare penalizzato forse da una temperatura di servizio troppo alta. |
||
Tra i rossi che più mi hanno colpito di quelli degustati trasversalmente nel viaggio virtuale compiuto attraverso le diverse regioni d’Italia, non posso non ricordare alcuni nomi illustri. Si confermano una garanzia i siciliani presenti nella sezione del festival “Vini Extremis“. In particolare ho apprezzato la mineralità ferrosa del Nerello Cappuccio 2002 di Benanti ed entrambi i vini presentati dall’azienda agricola Palari di Messina: il solito, elegante e raffinato, Faro Doc in versione 2004 ed una inaspettata novità, da uve di vigne molto vecchie allevate ad alberello ed indicate col toponimo dialettale “a francisa”, il Santa Nè 2001. Presso il Consorzio del Sagrantino di Montefalco sono rimasto folgorato dal 2001 di Adanti, produttore che conoscevo solo di nome e che meriterebbe molta più considerazione anche mediatica. Apprezzabile lo sforzo e l’intelligenza del produttore che esce solo adesso con l’annata 2001 ben conoscendo i limiti di gioventù di un vitigno scorbutico come il sagrantino. Un po’ sfocata la versione 2003 di Antonelli (che rimane comunque tra i miei preferiti) e più rustica quella, invece, offerta da Milziade Antano. Esordio molto positivo per il carignano in purezza Buio Buio 2004 di Mesa, mentre da dimenticare, per adesso, l’altro vino che vede un uso più spregiudicato della barrique e l’apporto di uve syrah. Degna chiusura con i vini del Vulture della storica azienda D’Angelo: più moderno il Canneto 2004, più austero e sobrio il Donato D’Angelo 2004, ottimo e, come sempre, nel segno della tradizione e di una maggiore mineralità il Vigna Caselle 2001. |