I vini della Valle d’Aosta al Royal Wine Festival di Courmayeur: cosa non ha funzionato?
Meritava senza dubbio maggiore attenzione e partecipazione la prima edizione del Royal Wine Festival dei vini della Valle d’Aosta, una tre giorni di metà aprile allestita con cura e grande passione all’interno dell’esclusivo Grand Hotel Royal & Golf di Courmayeur, ma andato incredibilmente quasi deserto, assenti ristoratori e addetti del settore valdostani in primis. Le pessime condizioni ambientali possono essere solo in parte una scusante, anche perché al contrario le giornate uggiose si potevano addirittura rivelarsi un traino per frequentare le accoglienti e climaticamente perfette sale di degustazione.
L’idea è nata dal valdostano di adozione Fabrizio Gatt, sommelier all’interno dello stesso Grand Hotel, dopo aver sudato letteralmente “sette camicie” negli ultimi giorni dell’agosto scorso sotto la tecnostruttura nella centralissima Piazza Chanoux di Aosta in occasione della biennale Esposizione dei Vini della Valle d’Aosta. Le torride temperature di quel periodo avevano infatti mortificato vini e produttori di questa importante rassegna, estremizzando le temperature di servizio dei vini, pressoché ghiacciati o oltre i 20 gradi. L’evento di Courmayeur al contrario, che ha riscosso favori e partecipazione di 27 realtà vinicole della regione, in maggioranza di piccole o medie dimensioni, è riuscito nell’intento di presentare gli sforzi produttivi dei “vignerons” in condizioni perfette, sia di temperatura che di luce, per la gioia dei pochi appassionati presenti, che hanno potuto assaporare le ultime annate in commercio in tutta calma e relax, colloquiando senza fretta e timori con i produttori, al quale va l’elogio di essere stati sempre presenti e disponibili in tutte e tre le giornate della manifestazione.
Per rendere ancora più ricco e invitante il programma, Gatt, non pago del rappresentativo parterre di vini valdostani, in collaborazione con Nicola Sarzi Amadè, titolare dell’omonima prestigiosa azienda milanese di distribuzione, proponeva per i palati più esigenti un’invitante degustazione di prestigiosi vini francesi: da un lato la regione di Bordeaux, rappresentata dagli inaccessibili (e non solo perché costosissimi…) Chateau Lafite Rothschild (annata 2007), Petrus (2006), Chateau Margaux (2006), Grand Vin de Chateau Latour (2007), Grand Vin de Leoville Las Cases (2005), Chateau Cheval Blanc (2002) e un incredibile Jeroboam di 6 litri di Chateau d’Yquem del 1994. Sul fronte opposto la “cugina” Bourgogne, presente con i rossi Clos De Vouget-Domaine Meo Camizet (2007), Clos De Tart (2007), Clos De Lambrays (2008), Richebourg (2008) e Grands Echezeaux (2007) del Domaine Gros Frère e Soeur e con i bianchi Corton Charlemagne (2007) e Batard-Montrachet (2005).
Anche in questo caso però la “mecca enologica”, alla quale si poteva accedere versando 100 euro per la Borgogna e 350 per i Bordeaux, ha registrato pochissime presenze… Atmosfera rilassata, produttori onnipresenti, condizioni ambientali ideali, nessuna ressa di fronte ai tavoli (che nemmeno l’inatteso ingresso in sala in veste di curioso degustatore di Rino Gattuso, sì, proprio il famoso “Ringhio nazionale”, è riuscito a incrementare…): presupposti ideali per un ipotetico viaggio in lungo e in largo sulla Route des Vins valdostana, che da Donnas si inerpica fino a Morgex, proprio a pochi chilometri dalla sede della manifestazione, con vigneti che da una minima altitudine di 350 metri arrivano fino a lambire i 1200. Molteplici le chiavi di lettura di questo itinerario: risalire la Valle seguendo l’intelligente disposizione dei banchi di assaggio (da Arnad a Morgex), prendere in esame i singoli vini e scoprire le diverse interpretazioni date dai produttori oppure la contrapposizione tra le diverse minuscole realtà produttive a carattere famigliare e i metodi di lavorazione sia in vigneto che in cantina delle cantine sociali.
Avendo parecchio tempo a disposizione (all’esterno temperatura che oscillava sui 3-6 gradi in un alternarsi di pioggia e nevischio che non invitava a escursioni ai piedi dell’affascinante sua Maestà il Monte Bianco…), personalmente ho seguito un po’ tutte queste strade, confrontandomi di tanto in tanto con l’amico Fabrizio Gallino, blogger di Enofaber, buon conoscitore di produttori e vini valdostani e del vicino Canavese.
Piccoli vignerons crescono
Purtroppo la realtà vitivinicola valdostana non ha ancora trovato un forte e stabile ricambio generazionale. Le ultra frammezzate proprietà vinicole sono gestite in maggioranza da ultracinquantenni, che, a causa della ridotta estensione dei vigneti, spesso non superiori al mezzo ettaro, per “sbarcare il lunario” affiancano altre attività all’impegno in vigna. Questa situazione economica, unita al faticoso, complesso, rischioso lavoro necessario per la conduzione dei vigneti arroccati in terrazzamenti quasi incollati alla montagna, non invoglia i giovani a calcare le orme di famiglia, tranne nel caso in cui sia la passione per il territorio ad avere il sopravvento. E’ il caso ad esempio del venticinquenne Didier Gerbelle, che ha fatto della riscoperta dei metodi di lavoro di un tempo uno dei suoi ideali di vita.
Così nei suoi 3 ettari nella zona di Aymavilles, ad altitudini mai inferiori ai 700 metri, hanno trovato dimora anche alcuni cloni “riscoperti” dal “bioenologo” Giulio Moriondo, noto in Valle per la sua continua e capillare opera di individuazione e reintegro di vitigni autoctoni pressoché estinti, che genereranno nei prossimi anni vini di sicuro e grande interesse.
Il suo Pinot Gris Le Plantse, poco meno di mezzo ettaro di tre cloni differenti di origine valdostana, francese e trentina, vendemmiati in due fasi distinte in base alla maturazione dell’uva, 6-8 ore a contatto con le bucce e fermentazione in barrique nuove, ha caratteristiche alquanto dissimili dagli altri valdostani, a cominciare dal colore quasi ramato, con il legno ben integrato nei freschi sentori di mela verde e spezie fini.
Tra i rossi spiccano l’invitante Torrette Vignes des Ancêtres (dal francese Vigne degli Avi) e lo strutturato Torrette Superieur Vigne Tsancognein, entrambi con il 70% a base di Petit Rouge e il resto diviso tra Cornalin, Fumin e Premetta, dove nel Superieur entrano in gioco piante di oltre 100 anni, rese che mai superano i 40 q/ha e un affinamento in botti di rovere da 15 hl. Sentori di frutta fresca, leggera mandorla, finale lungo e per nulla stucchevole per il suo Vino da uve stramature di moscato bianco della zona di Chambave, lasciate appassire in cassetta fino a fine dicembre e quindi vinificate e affinate esclusivamente in acciaio.
Altro valido esempio di ricambio generazionale proviene dalla ►Maison Agricole D&D con il trentenne Denis Desaymonet a capo insieme al papà di una piccola azienda agricola sulla sinistra orografica del comune di Aosta nata nel 2002 con lo scopo di mantenere i terreni di famiglia (circa 3.000 mq.) e nel frattempo di recuperare appezzamenti ormai in abbandono, evitando il dissesto idrogeologico del territorio. Uno dei loro vini di punta è il Muscat Petit Grain, dove anche in questo caso le uve di Moscato subiscono tre distinte vendemmie per preservarne l’aromaticità, dolcezza e finezza, da accostare su consiglio del produttore con la fontina d’alpeggio. Molta mineralità si riscontra nella loro versione di Petit Arvine proveniente da un nuovo vigneto nella collina aostana di Cossan, fresche note fruttate nel Pinot Noir e buona struttura nel Fumin, raccolto tardivo di inizio novembre e affinato circa un anno in tonneau.
Ancora minori sono i casi di ragazze che in questa regione affidano il loro futuro alle aziende di famiglia. Ilaria e Monica, figlie di ►Piero Brunet, titolare dell’omonima azienda di Morgex, sono la proverbiale eccezione alla regola. Il papà iniziò la sua avventura enologica nel 1985, acquistando una parte dei vigneti del “Curé Bougeat”, il parroco di Morgex promotore negli anni ’60 di nuove tecniche di coltivazione del vitigno Prié Blanc e della produzione del Blanc de Morgex da consumare non solo privatamente ma per raggiungere anche le cantine e le enoteche più prestigiose, spesso ricevendo più critiche che elogi per la sua opera di rinnovamento a scapito della tradizione.
Attualmente la superficie vitata dell’azienda raggiunge i 5000 mq, con vigneti esclusivamente di Prié Blanc su piede franco (l’altitudine e il terreno li rendono resistenti agli attacchi di filossera e tignola) coltivati a pergola bassa, con impalcatura in legno o pietra non superiori al metro e mezzo, su ripidi pendii terrazzati in pietra per costituire un prezioso riparo e una fonte di calore alle viti durante le fresche notti d’estate ad altitudini spesso superiori ai 1000 metri. Il Blanc de Morgex e de La Salle 2010 di Brunet, prodotto in appena 3000 esemplari, possiede il tradizionale colore giallo-verdolino pallido e il sapore leggermente acido e minerale, con una longeva vena citrina e delicati profumi di erbe di montagna.
Le realtà artigianali
Sebbene in Valle d’Aosta esistano un buon numero di efficienti cantine sociali, che permettono a qualche centinaio di conferitori di dedicare tempo e cura esclusivamente alla coltivazione delle loro uve sgravandosi degli ardui compiti della vinificazione e della vendita del prodotto, l’ultimo decennio ha registrato un aumento di piccole realtà produttive artigianali.
Tra queste ho avuto modo di apprezzare in particolare l’ottimo Pinot Noir 2010 di ►Elio Ottin, azienda nata nel 2007 dopo aver abbandonato il lavoro di Tecnico agrario presso l’Assessorato all’Agricoltura Regionale per dedicarsi interamente alla coltivazione di quattro ettari di vigneti sulle colline di Aosta, Saint-Christophe e Quart.
Qui Elio coltiva anche il Petit Rouge, base predominante dell’elegante e equilibrato Torrette Superieur, il profumato e corposo Fumin, raccolto tardivo a inizio novembre, seguito da un piccolo appassimento in cassette prima di essere pigiato e lasciato fermentare con la tecnica del cappello sommerso per circa un mese, e il Petit Arvine, particolarmente sapido e minerale, con leggere note di salvia e erbe di montagna, caratteristiche regalate da un vigneto di oltre 20 anni a oltre 600 metri su un suolo sabbioso e calcareo.
Altro esempio di coraggiosa svolta alla vita da parte di Hervè Deguillame, titolare con la moglie Luciana della cantina con annesso agriturismo ►La Vrille a Verrayes. Ex cantiniere e conferitore alla cooperativa ►Crotta di Vegneron di Chambave, dal 2006 Hervè si dedica a tempo pieno alla cura del suo ettaro e mezzo di vigneto. Il suo Chambave Muscat si caratterizza per una grande eleganza, equilibrio, fresca beva, merito probabilmente della criomacerazione pellicolare per circa 48 ore a non più di 18° a cui è sottoposto una parte dell’uva per aumentare i sentori aggrumati e floreali.
Più rustici e abbinabili il Cornalin, con note erbacee, speziate e di tabacco, e lo Chambave (Petit rouge 70% Cornalin 30%). Struttura senza perdere in finezza ed eleganza per il Fumin, da uve raccolte a novembre e lasciate ancora appassire qualche settimana in cassette per aumentarne la concentrazione di almeno un 10%.
La stessa tecnica viene utilizzata per produrre il Chambave Muscat Fletri, ma in questo caso le uve subiscono un appassimento per circa tre mesi riducendosi del 50%, fermentazione lenta in acciaio, un vino che sviluppa il 13% di alcool ed ha un residuo zuccherino di 120 grammi/litro, una beva invitante, mai stucchevole, ottimo abbinato a un formaggio erborinato.
Risalendo il fiume Dora Baltea a Jovençan incontriamo l’azienda di ►Constantin Praz con il suo ettaro e mezzo di vigneti di età minima venticinquennale. Il suo prodotto di punta è il Pinot Noir, vinificato e affinato esclusivamente in acciaio e bottiglia, come piace a suo fratello enologo Grato: i millesimi 2010 e 2008 che ho degustato mantengono intatti il profumo e la fragranza dei piccoli frutti rossi, del lampone, uniti a un tannino fino e persistente, che si ritrova netto e marcato nello speziato Gamay. Una certa vinosità caratterizza il suo rubino Torrette, a base di Petit Rouge (80%) e Premetta raccolte e vinificate insieme, un vino che si sposa perfettamente con la ricca e saporita cucina valdostana.
A Morgex, l’ultimo distaccamento vinicolo della Valle e tra i più alti d’Europa, troviamo l’azienda di ►Carlo Celegato, che dal 1986 coltiva e vinifica i frutti dei vigneti della moglie, ovviamente di Prié blanc “franco di piede” coltivato a pergola bassa, di poco superiore al metro. Soltanto dopo aver visto di persona questi minuscoli quattro appezzamenti ho pienamente compreso il significato di “viticoltura eroica” ed apprezzare nel bicchiere i suoi sforzi e sacrifici per produrre appena 1.200 bottiglie di Blanc de Morgex et de La Salle in cui emergono sottili note sapido minerali, un gusto elegante ed equilibrato, una buona persistenza con i suoi poco più che 11 gradi alcolici, un autentico aperitivo di territorio che regge però l’impegnativo confronto con il lardo di Arnad o la fontina d’alpeggio.
Particolarmente curiosa la variante di questo vino, denominato Nathan, creata in circa 2.000 esemplari da ►Ermes Pavese, titolare dell’omonima azienda in frazione La Ruine, dove i grappoli selezionati di vigneti di oltre 60 anni, non diraspati, vengono pressati a mano e lasciati macerare per 48 ore a freddo (5 °C), seguita da una pressatura soffice e fermentazione in gran parte in barrique di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio con frequenti batonnage. Trascorso un anno, avviene l’assemblaggio con il 30% fermentato in acciaio e affinato per altri 10 mesi in bottiglia.
Il vino si presenta di un giallo dorato, con profumi di marmellata, di frutta secca (albicocca) e di un leggero tostato, morbide e calde note vanigliate che ritrovo in bocca, un vino che potrebbe reggere sia salumi e formaggi di media stagionatura sia gustosi primi piatti o secondi a base di carne.
L’artigianalità nelle lavorazioni sia in vigna che in cantina contraddistingue anche la ►Maison Anselmet, animata con grande passione da Giorgio Anselmet e tutta la sua famiglia, che ha proseguito l’opera del padre Renato di riportare alla luce la pluricentenaria tradizione vitivinicola famigliare. Tutti i suoi vini si contraddistinguono per la grande eleganza e pulizia, nonché i forti legami con il territorio.
Tra i bianchi grande equilibrio e ricchezza di aromi e sapori nella Chardonnay “éleve” circa 9 mesi in barrique, con il legno ben amalgamato nella frutta tropicale, sapidità e mineralità nel Petite Arvine (anche in questo caso il 20% fermenta in barrique) e aromaticità contenuta nello Chambave Muscat.
Ruvidezza smussabile con adeguati abbinamenti gastronomici nel Broblan (dal dialetto “tralcio bianco”), vigneto di Cornalin di quasi 10 anni, etichettato dalla moglie come “molto permaloso, poiché si spezza facilmente in fase di piegatura del tralcio”, operazione che effettua personalmente. Altrettanto diretto il Fumin proveniente dai vigneti contrapposti a St. Pierre e Aymavilles, con un tannino marcato, bocca asciutta.
Unico nel suo genere il pressoché introvabile Le Prisonnier, l’espressione di un piccolo vigneto a 800 metri arduo da raggiungere, sette terrazze ricavate in un terreno a pendenza vertiginose incollate alla roccia, in prevalenza Petit rouge coltivato a alberello e raccolto tardivamente, appena 300 bottiglie di un vino di notevole profondità e concentrazione, con al naso note di marasca, viola passita, spezie fini (chiodo di garofano e pepe), struttura che trova conferma in bocca, con tannini eleganti e morbidi e gusto di marmellata di mora e fichi secchi.
Le Cantine sociali
Senza dubbio la Valle d’Aosta e l’Alto Adige vantano i migliori esempi di realtà cooperative enologiche. Tra le poche presenti a Courmayeur, la trentennale cooperativa ►Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle, continua a convincere e mietere ampi consensi con in suoi unici e inimitabili Metodo Classico a base esclusivamente di Prié blanc, di morbidezza decrescente a seconda della permanenza sugli lieviti, da un minimo di 12 per il Brut (prodotto fin dal 1983, ma negli ultimi anni il 30% di uve che fermenta in botti a tronco conico in rovere con innesti in larice), 16 mesi per il morbido Extreme, fino a superare i 50 mesi per l’Extra Brut 2006, prodotto in appena 700 esemplari, con note di mela matura e una leggera ossidazione.
Rara e preziosa “chicca” l’icewine Chaudelune, prodotto soltanto se le uve vengono vendemmiate e subito pressate dopo due gelate consecutive, normalmente verso le 4 di mattina, un vino che ha origini storiche che risalgono a fine 1800, che viene lasciato fermentare lentamente sia in botti in rovere che di altri legni locali di diverse dimensioni, mentre nell’affinamento ci si affida a un’antica (e un po’ oscura) tecnica mediterranea di ossidazione.
Presso la Cooperativa ►La Kiuva di Arnad spirano invece forti venti di rinnovamento, soprattutto da tre anni a questa parte con l’ingresso in azienda del vulcanico Alberto Capietto che, oltre a curare l’aspetto commerciale, ha cercato di rafforzare i legami e i contatti tra i 60 soci conferitori, rendendoli partecipi dei progetti aziendali attraverso periodiche commissioni d’assaggio, presieduti dalla giovane tecnico regionale Stefania Dozio e dall’enologo di origini langarole Sergio Molino, per cercare di individuare aspetti da migliorare o modificare in vigneto.
Poco dopo il suo arrivo è così nato il progetto di uno spumante Metodo Classico Rosé a lunga fermentazione in bottiglia da Nebbiolo in purezza. “Al momento è ancora in fase di studio” – confida Capietto – “Nel frattempo le bottiglie le lasciamo riposare in cantine storiche di soci di Arnad insieme a diverse opere d’arte realizzate a complemento del progetto“. In parallelo si sta affinando il “Seigneurs de vallaise”, Metodo Classico a base di chardonnay e pinot grigio, per ora 12 mesi di rifermentazione in bottiglia, sempre per creare uno spumante che identifichi il territorio e il carattere valdostano.
La bassa Valle è territorio vocato per la coltivazione del Nebbiolo, poiché necessita, oltre alle escursioni termiche giorno/notte, anche di una buona dose di sole e calore. Questa cooperativa a mio avviso sta interpretando veramente bene questo vitigno. Il Picotendro (nome valdostano del Nebbiolo), frutto di tre particolari cloni che producono piccoli grappoli spargoli, scarico di colore ma ricco di fresche note fruttate, esprime appieno le sue decise ma eleganti caratteristiche, un vero vino di montagna ideale a tutto pasto con la cucina locale! Nell’Arnad-Montjovet la percentuale di Nebbiolo scende al 70% per lasciare spazio ai vitigni autoctoni Gros Vien, Neyret, Cornalin e Fumin, la fermentazione sfiora le due settimane e parte dell’affinamento viene fatto in legno per regalare maggior tannino e struttura, sorrette da una buona sapidità e curiosa balsamicità.
Luciano Pavesio