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Da Sergio, a Genzano: un’ottima interpretazione del pane, vanto della tradizione gastronomica laziale

Forno a legna da SergioIl pane è vita, il pane è vivo. Te ne accorgi quando esce dal forno e ne ascolti il canto… sì, il canto di tutte quelle microfratture che si aprono sulla crosta al contatto con l’aria più fresca, un suono a metà tra il cinguettio degli uccelli ed il rintocco delle campane in lontananza. Il pane è vivo, non pensare che basti la cottura ad annientarlo, lascialo per diversi giorni chiuso in un sacchetto di plastica e vedrai tutti i lieviti in esso contenuti riprodursi sino a formare una visibile muffa. Furono probabilmente gli egizi i primi ad includere la lievitazione naturale nella ricetta del loro pane, si accorsero che bastava lasciare un impasto di acqua e farina esposto all’aria per alcuni giorni, per vederlo rigonfiarsi di tante piccole bollicine al suo interno… era la fermentazione panaria, quella naturale, quella batterica, quella acida, opera dei tanti batteri presenti nell’ambiente. L’amido viene attaccato da alcuni enzimi presenti naturalmente nella farina, si scompone in zuccheri più semplici che vengono poi scissi dai lieviti in alcool ed anidride carbonica. Altri batteri presenti nell’ambiente producono con gli zuccheri e con l’alcool alcuni acidi e scompongono le proteine in aminoacidi; ne deriva che il pane a lievitazione naturale è più acido di quello da lievito di birra, più digeribile, ed ha un profumo più complesso. No, non hai di che spaventarti, fermentazioni del genere le conosci già, ad esempio nello yogurt dove il lattosio (zucchero) viene scomposto in acido lattico, e parte della caseina (proteina) in più elementari aminoacidi e peptidi ad opera di streptococchi, lactobacilli, bifidobatteri ecc. Se preferisci la fermentazione più semplice e più “pulita” da lievito di birra, ad opera dei soli saccharomices cerevisiae, accomodati pure; se preferisci ci sono lievitazioni ancora più asettiche, ottenute chimicamente con bicarbonati o citrati, ma non otterrai gli stessi profumi e la stessa fragranza di questo pane.

Pane della nostra regione, pane di Genzano, il primo in Europa ad avere ottenuto il riconoscimento dell’I.G.P., l’Indicazione Geografica Protetta. Questo qui in particolare lo fa Sergio nel forno che porta il suo stesso nome. Sentir parlare Sergio del suo pane è esperienza da non mancare, è lui che ti spiega che il pane è vivo, che il pane canta, che la fermentazione naturale regala più profumi… ti racconta con passione del suo mestiere, del suo impasto di cento chili di farina con venti chili di pasta naturalmente lievitata, un pugno di lievito di birra che faccia giusto da starter alla prima lievitazione e poi l’attesa… dopo la prima lievitazione Sergio e suo figlio formano le pagnotte ed i filoni, li collocano dentro le casse di legno, li spolverano di cruschello o di tritello e li coprono con teli di canapa… seconda lievitazione per un totale di quattro ore di attesa. Nel frattempo la preparazione del forno, riscaldato tutti i giorni, anzi, tutte le notti, con fascine di castagno fino ad una temperatura di 320 gradi; infine la cottura che avviene come suol dire “in discesa”, nel senso che il pane entra nel forno caldissimo, si colorisce e subito cresce, poi si cuoce all’interno mentre la temperatura lentamente scende. Trentacinque minuti per le pezzature più piccole, fino a giungere ad un’ora e venti per la pagnotta da quasi tre chili, la migliore. Eccola qui: tre millimetri di croccante crosta bruna che profuma di forno, di legna e di caramello, che racchiude una soffice e via via più umida mollica bianca dall’inconfondibile e fragrante profumo di lievito naturale e di “buono”. Un pane ottimo per accompagnarci durante i tre pasti quotidiani o per rimpinzarci, con la complicità della locale porchetta, durante le nostre merende, innaffiato come è d’uopo, con un locale vino bianco dei Castelli Romani.
Più di un secolo di storia per questo pane e per questo forno; da sempre lì, sulla famosa via dell’infiorata, quattro, quasi cinque generazioni di fornai che impastano e sfornano questo alimento che ha sempre rappresentato gioia e prosperità sulle tavole delle famiglie. Più d’un secolo è passato ma la ricetta e la bontà del pane qui prodotto non sono mai cambiate… da Sergio, a Genzano.

Maurizio Taglioni

Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate del settore. Ha curato la redazione dell’autobiografia Vitae di un vignarolo di Antonio Cugini (2007), ha scritto il saggio “Dall’uva al vino: la cultura enologica ai Castelli Romani” in Una borgata che è tutta un’osteria a cura di Simona Soprano (2012), e ha pubblicato la ricerca socio-economica «Portaci un altro litro» - Perché Roma non beve il vino dei Castelli (2013). Collaboratore scientifico del Museo diffuso del Vino di Monte Porzio Catone, porta avanti dal 2009 la ricerca qualitativa volta alla raccolta e documentazione delle storie di vita degli anziani vignaioli dei Castelli Romani, confluita nell’allestimento museale multimediale Travaso di cultura e nell’installazione artistica itinerante Vite a Rendere, per la riscoperta e il recupero delle tradizioni vitivinicole dei Castelli Romani.

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