Sogni e cocktail, la mission di Francesco Conte
Il mondo dei drink sta vivendo sempre più una rinascita, puntando maggiore enfasi sulla qualità a discapito della quantità. I consumatori sono sempre più esigenti e attenti, oltre a essere alla ricerca di nuove esperienze e di sapori differenti.
I cocktail tendono a essere esteticamente più belli e più sostenibili; dovranno conquistare la vista, oltre il palato, saranno sempre più frequenti le bevande a basso contenuto alcolico, utilizzando materie prime più naturali e più strettamente legate ai territori di origine, in modo da renderli unici e ricercati.
Anche tra i barman è cresciuta l’attenzione e il rispetto per il prodotto, nel mondo della cucina questa consuetudine è consolidata, ma ora anche dietro il bancone si stanno sempre più operando scelte consapevoli, gli ingredienti si selezionano in base alla provenienza e si fanno scelte più responsabili.
Abbiamo rivolto qualche domanda a chi dietro il bancone ci sta da tanto e ha un percorso davvero importante; parliamo di Francesco Conte, proprietario dello Shaker Club Drink & Dream di Aversa (Caserta), che si racconta e ci racconta il suo punto di vista su come questo settore si è evoluto.
Francesco Conte è conosciuto per i tanti trofei conquistati, oltre alla partecipazione a vari concorsi di settore che lo hanno poi portato a disputare altre gare all’estero, in molte è uscito vincitore portando alto il nome dell’Italia.
Ciao Francesco, raccontaci brevemente la tua carriera fino ad oggi. Come e quando è nata la tua passione per il bere miscelato?
Più che un barman amo definirmi “oste” – così esordisce Francesco – la figura dell’oste mi sembra più adatta come definizione per sintetizzare il mio lavoro. Non sono solo un bartender, io offro ospitalità, mi metto a servizio degli altri, cercando di accontentare e ascoltare i miei clienti. Oggi questo concetto in Italia si è perso; siamo stati maestri negli anni ‘60 del 1900, ma oggi siamo pessimi allievi. Io nel mio piccolo cerco di vendere cocktail, ma soprattutto sogni ed emozioni, e questa è la cosa più bella.
La mia esperienza inizia a soli 10 anni, ho sempre amato conoscere persone e interagire con esse, la figura del cameriere incarnava perfettamente il mio desiderio, il poter stare sempre in mezzo alla gente e questo mi ha spinto a iniziare a lavorare in questo settore.
Posso dire che da sempre il senso della responsabilità e la voglia di conoscere, viaggiare, perfezionarmi, ricercare, mi hanno portato a girare molto e formarmi nel campo dell’ospitalità e della Cocktaileria.
La mia fortuna è stata quella di bruciare le tappe, iniziando a lavorare molto presto, così da fare esperienze importanti e formative. A soli 19 anni mi è stata affidata la gestione di un locale come barman responsabile e nel 1996, a soli 25 anni, ho ricoperto il ruolo di FB Manager (il più giovane in Italia per quegli anni), presso una struttura alberghiera di Baia Domizia.
Ho sempre pensato che ci sono fattori e dinamiche che ti portano a mettere radici, dove farlo se non nella propria terra? Così dopo tanto girare, dopo tante aperture, ho deciso di mettermi in proprio e il 3 Luglio del 2008 ho aperto il mio locale, lo Shaker Club Drink & Dream ad Aversa, che da poco più di un mese ha cambiato location e spazio.
Qual è stata la realtà che ti ha formato maggiormente?
Faccio parte del Classic Cocktail Club, quindi sono legato alla tradizione, ma sono attento alle evoluzioni, amo preparare tanti prodotti “home made” e in fondo sono dell’opinione che non si può che attingere dal passato per innovare in modo concreto.
Cosa pensi dell’attuale panorama della miscelazione nel nostro Paese e per te dall’apertura del 2008 ad oggi, cosa è cambiato?
Il mercato è in evoluzione, c’è una crescita non parallela tra mercato e operatori. Troppo esibizionismo e poca professionalità, noi non facciamo gli attori protagonisti, perché a differenza di quello che accade a teatro, il nostro deve essere un ruolo di comparsa, dobbiamo far stare bene la gente. Il cliente è il vero protagonista. Oggi, inoltre, è più facile distruggere, criticare che costruire un locale, perché la competenza professionale è in stallo, oltre al fatto che è più facile perché i social danno la facoltà a chiunque di parlare, a volte con presunzione e senza competenze. Bisognerebbe rivalutare quello che la storia ci ha lasciato, ci sono liquori meravigliosi e il mondo gira troppo intorno a fenomeni di moda!
Da cosa si riconosce un bravo barman?
Dal modo di porsi, dalla sua educazione e dalla professionalità che è capace di trasmettere. Inoltre credo che bisogna emozionare, lasciare un ricordo, in due parole io vendo cocktail e sogni! Per questo nel mio locale, l’insegna è caratterizzata dal binomio: “Drink & Dream“, proprio perché è quello che cerco di fare ed è quello che tutti i miei colleghi dovrebbero cercare di trasmettere.
Inoltre come dico a tutti miei allievi, io ho fatto il mio percorso e ora tocca a loro mettersi in gioco; la vera ricchezza è nel confrontarsi e oggi sono felice quando sono loro a vincere e a competere. Tanta dedizione, tanta umiltà, tanto studio e tantissima ricerca, ciò che scopri oggi è stato già fatto ieri…mai improvvisare, e se scappa sempre con cognizione di causa…rispetto verso gli ospiti, i colleghi, sia più giovani che più anziani, informarsi su tutto ciò che ti circonda, la cultura è fondamentale, e ricordarsi che al centro dell’attenzione non ci siamo mai noi, ma chi paga.
Hai un tuo prodotto preferito? Raccontaci almeno tre drink importanti per te?
Il papà di tutti i drink è il Martini cocktail, che è come un abito, che il barman modella a livello sartoriale; poi nella sua semplicità c’è il Cuba Libre, un drink adatto a tutti i momenti, con la freschezza dell’agrume e infine l’Americano che è il mio cocktail da passeggio preferito. Poi se devo parlare di prodotto, di distillati in particolare, su tutti c’è senza dubbio il Whisky!
Alla luce della tua formazione sui cocktail classici, cosa pensi sull’importanza di personalizzare un drink con prodotti del territorio? Quanto conta secondo te?
La personalizzazione di un drink che verta sul territorio è una questione molto personale, ci sono barman globali e barman che preferiscono puntare sul territorio. Io da tempo porto avanti il progetto Campanology (termine coniato da Stefano Nincevich, giornalista di Bar Giornale, che mi invitò a Milano nel 2013, in una sessione di SuperBar, Bar Show a Milano, evento internazionale dedicato al mondo dei bar e ai suoi professionisti), progetto dove si unisce il concept di Campania e Mixology e si punta a drink con ingredienti del territorio. Per l’occasione creammo dei drink proprio legati al territorio a tutto tondo, finanche con collegamenti cinematografici legati a Troisi, Totò e De Filippo. Io nella mia bottigliera ricerco e colloco prodotti fatti con le eccellenze del nostro territorio, per me è un legame indissolubile.
Cosa pensi del trend Wine-Cocktail?
Il vino nei cocktail è stato uno dei primi ingredienti usati nella miscelazione di fine 700 800, dallo sherry al Marsala. Oggi grande attenzione a favore dei Vermouth e io a titolo personale uso molto i vini, non solo gli sparkling, che hanno sempre caratterizzato cocktail di questo genere, ma io uso molto i vini fermi, anche perchè in alcuni punch e in alcuni cobbler mi danno molta soddisfazione. Questo dell’uso del vino fermo può essere senza dubbio un trend di impatto, vantaggio e anche di innovazione, sempre guardando quello che la storia ci racconta; perché non si può guardare il futuro se non si ha una storia alle spalle.
A tal proposito nell’ambito del progetto Campanology, ti racconto di un drink ‘o Bucal, che altro non è che il mio cobbler campano. Il Cobbler prima di tutto è fatto con una bevanda sodata, frutta fresca e una bevanda alcolica. letteralmente significa ciabattìno, e la mia città, Aversa, è internazionalmente conosciuta come la città degli “scarpari”, oltre ad essere conosciuta per il vino “Asprinio”. Da qui inizia il mio viaggio che collega la nostra terra ai luoghi di origine dei cobbler, l’America.
Nel periodo dell’occupazione americana, durante la seconda guerra mondiale, nelle nostre osterie, “e cantin”, si era soliti servire ai soldati, una bevanda, di origine e tradizione contadina, preparata da sempre nell’agro aversano, composta da vino asprinio e pesca, a pasta gialla, ” ‘o percuoco”, tagliato a pezzettoni, preparato direttamente in boccali di terracotta, ” ‘o Bucal”, riempito di ghiaccio rigorosamente e ovviamente tritato grossolanamente a mano…e completato con gazzosa, che serviva ad alleggerire la bevanda ed a smorzare il tono acido del vino. I soldati ne andavano pazzi.
Da qui la mia versione di questo cobbler tutto campano che ho chiamato appunto: ‘O Bucal, dove la bevanda sodata è una 1 gazzosa (prodotta da aziende del territorio che dagli anni ’20 del 1900 si erano perfezionate nella sua produzione), come frutta fresca utilizzo la “percoca” puteolana (una varietà di pesca a polpa gialla) e come bevanda alcolica naturalmente il vino Asprinio. Non ho fatto altro che dare voce a qualcosa che ha segnato un periodo della nostra storia e che oggi può rivivere la sua attualità e territorialità.
Cibo e cocktail un binomio sempre più in voga nella ristorazione, una coppia di fatto?
Assolutamente non coppia di fatto, ma matrimonio segreto, anzi perfetto si! Mi piace citare Domenico Cimarosa, nativo di Aversa, e il suo dramma giocoso “il matrimonio segreto”. L’ispirazione è arrivata in modo spontaneo e così nel 2011 è nato “Jommellino, il matrimonio segreto”, un’inedita interpretazione del Bellini, che diventa appunto un matrimonio segreto perfettamente compiuto. Il nostro mangia/bevi tutto casertano dedicato ai musicisti aversani Niccolò Jommelli e Domenico Cimarosa, è un drink fatto con frullato di mela annurca limoni del Monte Massico, acqua minerale di Riardo, vino Asprinio e completato con uno spiedino di capocollo di nero casertano e ciliegina di mozzarella di bufala; due binari che viaggiano in parallelo. In ogni caso spesso organizzo cene-degustazioni con cocktail da servire in caraffa e seguendo logiche e caratteristiche specifiche li abbino a pesce piuttosto che a formaggi e carne. Un altro classico abbinamento mangia/bevi è quello dell’ostrica ad esempio, che amo abbinare all’oyster Martini o con un cucchiaino di Talisker (un Island Single Malts Scotch whisky).
Tendenza sul bere miscelato in questo scorcio di 2019?
Drink che riportano alle spiagge! L’anno scorso la tendenza era quella del rum, quest’anno ci si sposta su pisco, mescal e caçaca.
Giusto due parole sul tuo nuovo locale, cosa è cambiato?
Allora prima di tutto la location, finalmente ho uno spazio esterno, poi le luci, i colori, ma fondamentalmente l’anima è e sarà sempre la stessa; non a caso ho riportato il mio banco dal vecchio locale, un banco che ha ascoltato tante storie! Le persone percepiscono questo, si ritrovano in un posto che riconoscono come familiare. Poi al piano interrato ho creato una sala multifunzionale e culturale, uno spazio dedicato agli artisti che vorranno esporre le loro opere o comunque una sorta di privè per degustazioni o scambi di pensieri.
Non resta che addentrarsi tra i vicoli e le stradine di Aversa centro, e lasciarsi conquistare dallo spirito conviviale dello Shaker club e soprattutto dal brio e dalla professionalità di Francesco Conte.
Fosca Tortorelli
Shaker Club Drink & Dream
Vico Volturno, 1 – Aversa (CE)