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Bolgheri a Milano. Note a margine sulla zonazione

Hotel Four Seasons - MilanoDa tempo si sostiene, a ragione, che uno dei principali motivi del divario tra il sistema di valorizzazione del vigneto italiano rispetto a quello francese sia dovuto anche, ma non solo, alla nostra scarsa conoscenza dei terreni e dei microclimi che compongono la maggior parte delle nostre denominazioni, specie di quelle più importanti. La Francia, negli anni, ha fatto del sistema di classificazione delle vigne, differente tra zona e zona, uno dei punti di forza della propria viticoltura, ma non solo. Lo ha saputo utilizzare, perché no, anche sapientemente, “vendendolo” in modo mirabile, portando valore aggiunto a chiunque produca vino in un determinato compartimento. Al di là delle possibili resistenze da parte del nostro sistema, che culturalmente, nonché storicamente, tranne forse nella sola langa piemontese (ma anche in questo caso qualcuno potrebbe dissentire), non è mai stato abituato a ragionare per cru e singole vigne, è indubbio che una conoscenza del proprio territorio, attraverso strumenti razionali, non può che apportare cultura e, cosa non disdicevole, profitto. Mappare un territorio, conoscendo le diverse composizioni dei terreni votati alla viticultura, i differenti microclimi e le uve più idonee a fornire risultati ottimali, è utile e consente a chiunque, produttori e consumatori, critici ed appassionati di prendere coscienza di ciò che poi andremo a degustare nel bicchiere.

Da qualche tempo a questa parte non passa banco di assaggio, anteprima o kermesse di vario genere all’interno dei quali non si senta parlare di zonazione: o perché appena conclusa, o perché ancora in essere o perché si sta vagliando l’idea di lavorare ad un progetto del genere. I Consorzi investono tempo e denaro nel commissionare studi in questo senso per scoprire se realmente ci sono differenze all’interno della propria denominazione e, nel caso se ne trovino, di che natura sono, in che modo possono influenzare i vitigni allevati da tempo o che lo saranno in futuro. Anche Bolgheri ha puntato su questo tema e parte della comunicazione che ha fatto da comune denominatore durante la prima del Consorzio a Milano il 12 novembre, presso l’Hotel Four Seasons, era concentrata proprio sulla valorizzazione degli studi effettuati in questo senso. A pochi metri dalle vie della moda e del lusso, il Consorzio per la Tutela dei Vini Bolgheri Doc ha deciso di presentarsi a Milano, per la prima volta, con un banco di assaggio presenziato da un ottimo numero di rappresentanti del territorio che hanno proposto i vini di una denominazione in fondo giovane, per come la conosciamo oggi, patria di quei “supertuscans” che, volenti o nolenti, hanno segnato parte della storia del vino italiano degli ultimi quindici-ventanni.

“È sicuro di conoscere bene il nostro territorio? Venga che le faccio vedere meglio dove sono dislocati i nostri vigneti”: questo è stato il primo, casuale, approccio con uno dei produttori incontrati casualmente tra i banchi di assaggio, quasi a conferma di un sentire comune nei confronti dei ragionamenti appena esposti. Una bella e grande cartina appesa nella sala che ospitava i vari banchi di assaggio riportava, infatti, la mappatura delle proprietà e dei cru. Non si parte, quindi, con i dati circa gli anni di affinamento, la tipologia dei legni delle barrique, la durata delle macerazioni e le percentuali di vitigni, ma con altro. D’altronde uno dei leitmotiv che qualunque produttore di qualsiasi dimensione recita ormai da anni come una litania ovunque si trovi è: “Un grande vino nasce prima in vigna…Prima la materia prima poi…”, tranne poi parlarti di tutto, fuorché di questo.

Disegno castello di Bolgheri“Il Consorzio deve dare più assistenza ai viticoltori per l’ottimizzazione tra unità vocazionali e vigneti”, cioè: la zonazione deve essere applicata, nonché, completata. Altrimenti, aggiungiamo noi, rimane un bel lavoro che arrederà le librerie di produttori e giornalisti, che servirà a far sì che splendide cartine adornino sale di degustazione e siano argomento di conversazione a corsi e seminari, ma raramente raggiungerà il bicchiere. Chi ha lanciato questa sorta di monito è stato, nel corso di una conferenza stampa pomeridiana, ahimè, poco affollata, Attilio Scienza, professore dell’Università Statale di Milano, che con il suo gruppo di lavoro ha, per l’appunto, svolto il lavoro di zonazione a Bolgheri e illustrato a sommi capi i punti cardine ed i risultati raggiunti.

La storia di questa zona, distesa ad anfiteatro tra Bolgheri e Castagneto Carducci, è paradigmatica di quello poi accaduto in molti altri territori italiani: un disciplinare che valorizzava dei vitigni ed un successo commerciale che ne premiava altri, classificati spesso come Vini da Tavola: un’anomalia. Tra il 1983, anno di approvazione della DOC Bolgheri con varietà come il sangiovese ed il canaiolo per le uve rosse ed il trebbiano ed il vermentino per le uve bianche, ed il 1994, anno nel quale entrò in vigore il nuovo, con l’aggiunta anche, e soprattutto, di cabernet sauvignon e merlot, si è assistito alla consacrazione a livello mondiale del Sassicaia (annata 1985, ricordando la storica degustazione cieca del 1978 di Londra, dove prevalse, con lo stupore generale, sui famosi chateaux bordolesi), e sulla sua scia vini come l’Ornellaia, il Guado al Tasso, il Paleo, il Grattamacco, il Piastraia, il Masseto e via discorrendo.

Il lavoro di zonazione permise la formulazione del nuovo disciplinare del 1994 (poi proseguito dal 1997 in poi), e ci ha consegnato 9 unità vocazionali, con caratteristiche alquanto diverse, se non in alcuni casi molto disomogenee, più adatte al merlot, oppure al cabernet sauvignon, piuttosto che al sangiovese, il quale, leggendo i dati, non sembrerebbe trovare da queste parti i migliori terroir per valorizzare le proprie caratteristiche. Accattapane, Grascete, Greppi Cupi, Macchiole, Segalari, Sassicaia, Ornellaia, Casavecchia, Porcarecce. Questi i nomi ai quali associare i vitigni che meglio si adattano dopo anni di studi che hanno scandagliato terreni, esposizioni e microclimi attraverso microvinificazioni che hanno incrociato cloni e portainnesti diversi. Il cabernet sauvignon evidenzia prestazioni tra l’ottimo ed il buono un po’ ovunque, tranne che a Casavecchia; il merlot è più disomogeneo, ottimo a Casavecchia, Ornellaia e Grascete, molto meno ad Accattapane, Segalari e Porcarecce, ed infine il sangiovese, mai ottimo e solo buono in tre unità vocazionali (Accattapane, Segalari e Casavecchia) e solo discreto nelle restanti.

BolgheriMateriale per i produttori ce n’è, e non poco, specie nella parte finale del lavoro del team guidato da Scienza, dove spicca il cosiddetto “Manuale d’uso” che fornisce indicazioni circa le scelte di impianto, la gestione del vigneto e la conduzione delle proprie vigne all’interno delle differenti unità vocazionali. Fa riflettere, poi, l’ultimo capitolo di questo lavoro, ad opera di R. Pastore, dal titolo: “Le ricadute della zonazione“. Un approfondito saggio sui vantaggi che un lavoro come la zonazione può apportare non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello economico, conoscitivo e di comunicazione ad un intero territorio, e a Bolgheri in particolare. Oltre a ribadire l’invito alla cooperazione tra produttori per far sì che i risultati della zonazione siano “condivisi, scambiati e adottati a livello dell’intero sistema locale”, vengono sottolineati concetti che fa un certo effetto leggere, specie se si pensa che sono rivolti alla culla dei supertuscans. “La competizione globale avviene sempre più per sistemi territoriali e non solo per Marche o Aziende” o ancora “il termine terroir comincia ad essere percepito non più soltanto come una fastidiosa sopravvivenza di un vago francesismo della vecchia Europa, ma come un concetto fecondo di importanti ricadute produttive ed economiche, se compreso a fondo e tradotto in concreto operare”. Come non condividere, anche se sarebbe bene mettersi d’accordo su quel “concreto operare”. Si afferma, infatti, con un certo ottimismo, che “il mercato si accontenta sempre meno di prodotti perfetti ma semplici, al limite della prevedibilità”, sempre più incline, invece, ad apprezzare vini espressione dei diversi territori. Ecco quindi che “la zonazione di Bolgheri, se efficacemente comunicata, realmente diffusa e concretamente applicata, sarà uno strumento potente per la ulteriore visibilità di un territorio unico nelle sue infinite diversità”.

Non credo sarà così semplice applicare questi buoni propositi, soprattutto in una zona dove si sono affermati prima dei marchi e delle aziende, con i loro vini e poi intorno ad essi è stata creata, di fatto, ad hoc, una doc nuova che li comprendeva e rendeva territoriali. Ma per verificare realmente la diversità, su cosa, alla fine, bisogna concentrarsi? Su ciò che c’è dentro il bicchiere, nient’altro che sul vino. Concetto banale, ma evidentemente non così tanto se poi, alla fine, spesso, dopo interminabili sessioni di degustazione, le vere differenze che tocca annotare sono sempre e solo riconducibili alle diverse filosofie che ispirano le pratiche in cantina. Ci devono essere realmente prodotti diversi, specchio di unità vocazionali dissimili, altrimenti gli sforzi profusi per comunicare un’esistente diversità equivalgono solo a proclami. Il rischio è, passando di moda in moda, di cambiare la forma, ma di lasciare il contenuto, cioè il vino che ho nel bicchiere, identico a quello di sempre.

Alessandro Franceschini

Alessandro Franceschini

Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, grande distribuzione e ortofrutta, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, è docente in vari Master della Scuola di Comunicazione dell’università Iulm di Milano, è uno dei curatori della fiera Autochtona e collabora con testate come Myfruit, l'Informatore Agrario e le pagine GazzaGolosa della Gazzetta dello Sport. In passato, oltre ad aver diretto la redazione di Lavinium.com, ha collaborato con la guida ai ristoranti del Touring Club e con la guida ai vini de L'Espresso. È stato uno degli autori dell'Enciclopedia del Vino di Dalai Editore, del volume "Vini e Vignaioli d'Italia" del Corriere della Sera e del libro "Il vino naturale. I numeri, gli intenti e altri racconti" edito dalla cooperativa Versanti.

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