Tehéntánc 2011 Orsolya Pince
Come avrete già immaginato dalla foto di testa, c’è qualcosa che vorrei scrivervi prima di addentrarmi nei particolari. Non vogliatemene se comincio a parlare di questa piccola cantina, con parole che non sono mie, ma che mi sono entrate profondamente nel cuore nel 2003 a Cracovia, nella cripta in mattoni a vista e soffitti a volta dell’Hotel Pod Różą, affacciato sulla via più frequentata dai turisti, quell’ulica Floriańska dove nel 1895 è nato il cabaret polacco nelle sale dell’antica caffetteria Jama Michalika, il salotto dei più famosi poeti, artisti, letterati, attori, autorità universitarie, diplomatici e personaggi illustri, un vero trampolino polacco della cultura.
Le disse l’amico Franco Mario Algieri a conclusione di una promozione di vini italiani alla quale erano invitati appunto gli esponenti odierni di quel tipo di ambiente, incuriositi dal vino italiano: «Sono qui a presentarvi il lavoro di persone che non sanno parlare, ma che ogni giorno stanno in vigna a faticare, non conoscono le ferie e le feste comandate, ma sono lì anche con la febbre e imbottiti di antibiotici. Le mille preoccupazioni che hanno le devono alle malattie delle piante, alla siccità dei terreni, alle nuvole che possono oscurare il cielo e pensano sempre a quei debiti da pagare, ai sacrifici fatti dai padri e dai nonni, non riescono a smettere di faticare per potervi assicurare un briciolo di felicità e di buon umore con il vino fatto per voi dalle loro mani, meglio che possono eppure non sempre ci riescono, come nelle annate avverse. Nella mia modesta professione non dimentico mai il lavoro del contadino, del vignaiolo, del cantiniere e di tutte le famiglie oneste che ricavano da vivere con quel vino che alla fine potete gustare nel vostro calice e giudicare, ma che è sempre il frutto di grandi sacrifici».
Ecco cosa mi viene sempre in mente quando penso a Orsolya Pince, una piccola azienda vinicola di circa 9 ettari nella regione vinicola di Eger in Ungheria, fondata nel 2001 da Orsolya Turcsek e Zoltán Tarnóczi, che in due fanno tutti, ma proprio tutti i lavori in vigna e in cantina, con l’aiuto saltuario dei genitori, dei nonni e dei loro figli. Coltivano un sacco di vitigni locali, come Kékfrankos, Kadarka, Olaszrizling, Ezerjó, Leányka, Csókaszőlő, Furmint, ma non mancano Merlot, Syrah e Pinot Noir. Le rese sono mantenute basse (mezzo kg per ceppo), la conduzione delle piccole vigne è manuale come le vendemmie, la fermentazione è spontanea con i lieviti naturali e non si aggiunge null’altro che un minimo di solfiti, per non superare mai 47 mg/l in totale. I vini (bianchi e rossi) vengono affinati in piccole botti di rovere a spacco da 200 a 500 litri. I bianchi sono invecchiati in queste botticelle per 8-12 mesi, i rossi per 18-24 mesi. I rossi non vengono filtrati né chiarificati, ma per i bianchi (e solo se necessario) a volte c’è un supplementare affinamento occasionale, perché anche l’occhio vuole la sua parte.
Orsolya Turcsek è una giovane, ambiziosa enologa che dopo le prime esperienze in una grande cantina ha deciso, insieme con il marito, di mettersi in proprio. Si sono resi indipendenti e si sono messi a coltivare l’uva e a produrre i vini secondo la loro visione del mondo, la loro filosofia e vestendolo con delle bellissime etichette, che variano per ogni tipo di vino, anche di annata in annata. È una cantina giovane, i cui primi vini sono apparsi nel 2001, ma il talento di questi vignaioli è stato riconosciuto fin da subito. I loro vini hanno uno stile eccellente, sono onesti in tutti i sensi, puliti, uniformi. È un gran bel lavoro fatto artigianalmente e a mano. Gran classe, eppure grande modestia. Secondo il mio modesto parere, è questa la più autentica espressione naturale del meglio di Eger. Qui si capisce l’anima vera di questo popolo, altro che le barbe degli eroici combattenti magiari intrise di “sangue di toro” durante la difesa della fortezza dai Turchi…
Sono rimasto impressionato dal loro Olaszrizling (Riesling Italico). Pulito, etereo, delicato e allo stesso tempo insolitamente intenso. Burro, pere, sciroppo di cotogne e una leggera genziana. Un bel vino di grande stile. Un vino lungo, etereo e intenso. Un vino che con tutta la sua tempra è lontano anni luce da quegli indecenti Olaszrizlink che occupano a prezzi stracciati gli scaffali dei market. È veramente degno di attenzione.
Ma è su due dei loro rossi che sono andato in trance, ma senza lasciarmi ingannare dai loro toni fiabeschi, perché sono dei vini “fortemente aggrappati alla terra” e di tenore alcolico molto sostenuto, intorno al 14%.
Per esempio, mi erano già piaciuti lo Százrejtekű del 2007 e quello del 2009, vini dai “cento segreti” che si fanno soltanto nelle annate migliori (uvaggio di merlot al 60%, cabernet franc al 30% e syrah al 10%). Colore rosso pieno con riflessi aranciati. Un vino elegante, pieno, fresco, umile a modo suo. Aroma complesso e intenso, note di mora, ribes nero, erbe aromatiche su un fondo di terra bagnata, foglie, grafite, anche cioccolato. Corposo e leggermente legnoso al palato, con un finale frizzante. Il legno è un po’ dominante.
Il Tehéntánc è nato nel 2009 come uvaggio, tra l’altro fatto molto bene e davvero riuscito, di kékfrankos, merlot, cabernet franc e pinot noir, tanto che avrebbe potuto diventare un Egri Bikavér esemplare. Hanno preferito seguire invece la strada delle uve provenienti soltanto dalle viti più vecchie dell’azienda e quello del 2011 è risultato composto all’80% da kékfrankos e al 20% da cabernet franc, con maturazione in botticelle da 225 litri. Riconosco che è migliorato e che mantiene in modo eccellente lo stile caratteristico di Eger, silvestre e terroso. Un vino elegante, pulito ed equilibrato in tutti i sensi. Vi si riconoscono le more, il ribes nero, le amarene, l’erba bagnata, la terra grassa. Un vino compatto, vigoroso, di buon nerbo e straordinariamente elegante, ma succoso. Si vola alto, anche se i tannini “tirano” ancora un po’, tipico dei vini artigianali, ma dategli tempo e si levigheranno. L’ho degustato con un filetto di maiale Mangalitza in salsa di paprika con patate gratinate, un abbinamento perfetto soltanto con la carne, che ho mondato da una salsa di peperoncino troppo dolce all’attacco e troppo pungente nel finale. Molto meglio con l’Őkőruszáli Leves (zuppa di coda bovina), con la Pacalpörkölt (trippa stufata) e il Báránypaprikás (agnello alla paprika) che sono piccanti, sì, ma di buon gusto, potente e armonioso.
Mario Crosta
ORSOLYA PINCE
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