Se la moda del sushi aiuta anche i consumi di carne
«Scusami il ritardo, ma da qualche giorno stiamo macellando dei maiali da 4/5 quintali; quando hanno questo peso poi mandiamo le cosce a Langhirano per ottenere dei prosciutti che faccio stagionare per 5 anni».
Dopo qualche giorno di marcatura a uomo tra telefonate che squillano a vuoto e messaggi, dall’altra parte del telefono mi risponde un uomo stanco, ma sereno e disponibile a chiacchierare di qualsiasi cosa. Si sente che è felice di quello che fa e ha l’aria tipica di chi si diverte a fare il proprio mestiere, nonostante le difficoltà del momento.
Sergio Motta è il re del bollito misto, il macellaio che ha reso il suo negozio a Inzago, e a seguire il vicino ristorante a Bellinzago, a due passi dall’Adda vicino al confine tra Milano e Bergamo, luoghi di culto quando si parla di “ciccia” in Lombardia, ma non solo. «E sono anche tanti quelli che dicono di venire a prendere la carne da me per il loro ristorante, ma in realtà l’hanno fatto magari una volta sola, ma poi non hanno più tolto il mio nome dal loro menu».
E non ti arrabbi?
«Lo fa mia moglie, io no. Per me è pubblicità, perché poi i clienti quando vengono da me mi dicono: “Però da te la carne è più buona, come mai?»
I consumi di carne, negli ultimi anni, non se la sono vista benissimo con l’avanzata di tutto ciò che ruota intorno al mondo veg da una parte e la demonizzazione nei suoi confronti, soprattutto quella rossa. Come hai fatto a difenderti?
«Quattro o cinque anni fa era peggio, perché tutti massacravano sia la carne che i macellai. Una volta venne da me una scolaresca delle elementari, tra di loro c’era un ragazzino che quando gli veniva chiesto che lavoro volesse fare da grande diceva sempre “Il Motta”. Andai dal Don del paese per chiedergli cosa avrei dovuto dire loro, quasi a giustificazione del lavoro che faccio. Mi disse: “Digli che Gesù ha fatto gli animali anche per alimentarci, poi però ci vuole un diavolo che li trasformi, ma con rispetto, rispettando il loro benessere, come d’altronde qui abbiamo sempre fatto».
E li hai convinti?
«Certo, e il ragazzino che voleva fare “il Motta” oggi uno dei più bravi macellai che esistano».
Oggi, per quanto riguarda i consumi e la considerazione del lavoro che fai la situazione è cambiata?
«Nel 2018 i consumi di carne nel nostro Paese sono cresciuti del 5%, nel 2019 del 15%. Diciamo che è terminato il periodo ostile, e, anzi, c’è un ritorno anche di vegani e vegetariani che però adesso il filetto qualche volta lo mangiano [ride]. E poi cucinare la carne è facile».
Dici?
«Sì, ad esempio la moda della griglia e del barbecue degli ultimi anni ha avvicinato molti giovani al consumo della carne. Il barbecue è una sorta di venditore muto per la macelleria e funziona».
Interessante. E quali altre tendenze hanno agevolato il risveglio dei consumi di carne?
«Il sushi».
Davvero?
«Certo. La moda del sushi ha fatto da traino, ad esempio, alla vendita di tartare e carpaccio anche a gennaio, carni che prima si vendevano solo a luglio. Le ha destagionalizzate e ha portato il nostro cervello a considerare il consumo di carne cruda in modo differente rispetto al passato. Oggi, se ti porti a casa mezzo chilo di tartare realizzi un piatto eccezionale, senza sporcare».
Perché a un certo punto hai aperto anche il ristorante?
«Per sopravvivere».
Non ti bastava il lavoro del negozio di macelleria?
«Se fossi stato intelligente avrei dovuto fare come la maggior parte dei macellai e avrei dovuto comprare solo i tagli pregiatissimi, che poi tagliavo come tondini, ma quella carne ce l’hanno tutti, supermercati inclusi. Io invece scelgo e carico gli animali poi da macellare. Io faccio un lavoro differente e maniacale».
Quindi?
«Una volta la macelleria era una bottega dove si vendeva prima la parte anteriore, mentre la coscia e la costata si mettevano in cella finché non avevano compiuto almeno 30 giorni. Non poteva uscire prima e in questo modo ottenevi bistecche tenerissime. Oggi non è più così e per sopravvivere ho dovuto aprire un ristorante per consumare le parti che invece hanno bisogno di lunghe cotture».
Non c’era un altro modo?
«Ti spiego. I muscoli posteriori e anteriori, ad esempio, non si riescono più a vendere e non posso usarli per fare, ad esempio, hamburger, perché sono troppo lunghi da cuocere e hanno troppi nervi. Queste parti le lavoriamo nel nostro ristorante».
Quindi anche le frattaglie?
«Sì. Non c’è più a nonna che cucina per 9 persone, ci sono meno famiglie. Oggi tutti vogliono o tartare o bistecche. Mangiare è diventato un gesto veloce a casa. E allora tutto ciò che non è veloce lo puoi mangiare al ristorante, quindi anche le frattaglie».
Eppure sembra esserci una rinascita del consumo dei tagli meno nobili. Ad esempio il carrello dei bolliti, che è una delle preparazioni più famose del tuo ristorante?
«Noi facciamo il bollito al lunedì sera a 40 euro, mentre al martedì a pranzo finisce in altri piatti dal costo più contenuto a alla fine con 15 euro a pranzo mangi quello che vuoi. Pensavo che sarebbe venuta tutta la Lombardia, ma non è così. Le ricettone di una volta, e quindi anche il bollito, si continuano a mangiare una volta ogni tanto».
La pandemia che conseguenze ha portato al tuo lavoro di macellazione?
«È stata dura, perché ho sprecato tante cose come le frattaglie e le carni da lunghe cotture. Ho macellato 12 bestie in meno e il giro si è allungato. Quando a febbraio siamo riusciti a stare aperti almeno a pranzo abbiamo fatto il bollito tutti i giorni».
Quali progetti ora?
«Il progetto, che però sta diventando un sogno, è comprare una cascina per spostare tutto lì dentro. La macelleria è un po’ vintage ormai e il ristorante non è mio. Sogno una macelleria dentro il ristorante, ma ci vogliono i giusti spazi. È da due anni che ho questo progetto. Costruire qualcosa di nuovo mi sembra non sia la scelta giusta, preferirei salvare una cascina. Pensavo però fosse più facile realizzarlo, invece non lo è».
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Il lavoro di selezione e macellazione è iniziato a Inzago nei primi anni Sessanta con Giuseppe Motta, papà di Sergio. Tanti successi e riconoscimenti prendendo carni piemontesi direttamente sul posto e provvedendo poi alla macellazione. Sergio, che sin da bambino ha cominciato a lavorare al suo fianco, è diventato oggi uno dei macellai più famosi d’Italia.
Alessandro Franceschini