Pasticciotto salentino con Moscatello Selvatico Dolce spumante millesimato
Del connubio frolla o sfoglia e crema pasticcera non c’è molto da spiegare, dalla Torta della nonna alle Pasteis de nata portoghesi, sfido chiunque a non aver provato almeno una volta l’acquolina in bocca alla vista di un dolce appena sfornato con la crema come protagonista. Se poi ci aggiungiamo il profumo di limone e una forma così bella e originale come quella del pasticciotto, allora è proprio impossibile non provare ad addentarne uno.
Va bene, è vero, io sono di parte. Le mie radici affondano anche nel Salento e per anni i racconti di mio padre, le vacanze sugli scogli del mare turchese del Salento e le passeggiate tra la bellezza e l’eleganza del centro di Lecce erano sottolineati dalla presenza di questo dolce morbido e godurioso. Era una continua sfida a conoscerne le diverse versioni delle numerosissime pasticcerie che lo propongono da sempre come dolce per la prima colazione. Il mio preferito aveva un bel profumo di arancia, ma purtroppo la pasticceria leccese che lo preparava non c’è più da qualche anno. Così ho una scusa in più per continuare a cercare il sostituto del mio cuore assaggiandone ancora tanti nelle pasticcerie leccesi e salentine.
Infatti, per diversi anni, Lecce e Galatina si sono disputate la “genitorialità” di questo dolce simbolo del Salento che finalmente nel 2021 è diventato un marchio registrato. Si è concluso così l’iter amministrativo che ha visto il riconoscimento del marchio Pasticciotto di Galatina® permettendo alla città di Galatina di fregiarsi, ufficialmente, del titolo di Città del Pasticciotto. La storia del Pasticciotto più accreditata, d’altronde, vede la sua origine nella pasticceria Ascalone nel 1745 a Galatina durante le festività di San Paolo. Secondo questa versione, il mastro pasticcere Nicola Ascalone avrebbe realizzato una piccola torta “monoporzione” con l’impasto e la crema avanzati dalle preparazioni di altri dolci, ponendola in forno in un piccolo recipiente di rame, ricavandone quello che lui stesso definì un “pasticcio”. Regalò quindi il dolce ancora caldo a un cliente di passaggio che lo trovò così buono da spargere la voce in città e altrove, tanto che il successo fu immediato in tutta la provincia.
Come per molte altre ricette, ogni pasticceria ha la sua versione più o meno profumata di vaniglia, di limone, di arancia e vede la presenza o meno di un’amarena al centro del ripieno. Secondo me, ciò che fa la differenza è l’imprescindibile presenza dello strutto nella preparazione della frolla, che risulta più friabile e nello stesso tempo elastica e consistente per poter contenere la crema, che deve essere morbida e liscia.
Ingredienti per 12 pasticciotti
- PASTA FROLLA
- 500g farina
- 200g strutto
- 180g zucchero semolato
- 1 pizzico di ammoniaca per dolci
- 2 uova
- 1 limone
- sale
- CREMA PASTICCERA
- 500 g latte
- 100 g zucchero semolato
- 50 g amido di mais
- 4 tuorli
- 1 limone
- Amarene sciroppate (facoltative, da aggiungere, una in ogni pasticciotto, al ripieno di crema)
PROCEDIMENTO
PASTA FROLLA
Mescolare farina e zucchero e l’ammoniaca, un pizzico di sale, la scorza grattugiata di 1/2 limone e lo strutto a pezzetti. Lavorare il composto incorporando le uova, precedentemente sbattute, fino a ottenere un panetto. Avvolgerlo nella pellicola e farlo riposare in frigorifero per circa un’ora.
CREMA PASTICCERA
Scaldare il latte con la scorza di mezzo limone, tagliata a strisce, fino a che non comincia a sobbollire. Sbattere i tuorli con lo zucchero e l’amido di mais. Versare il latte filtrato e mescolare riportando sul fuoco per 5-6 minuti, mescolando per evitare che si formino grumi, a fuoco basso, finché la crema non si sarà addensata. Spegnere e coprire con la pellicola a contatto della crema (così si evita che, addensandosi in superficie, si formi la ”pellicina”). Lasciare raffreddare per almeno un’ora.
Prendere la pasta frolla dal frigorifero, stenderla lavorandone un po’ alla volta. Foderare gli appositi stampini ovali per i pasticciotti (i miei sono in alluminio, di dimensioni 10×6 cm), coprendo la base e i bordi, rifilando con le mani.
Riempire gli stampini con la crema e, se si preferisce, aggiungere un’amarena sciroppata nel centro. Ricoprire con frolla e spennellare con l’albume. Infornare nel forno preriscaldato a 220 gradi per circa 12 minuti.
Laura Nuzzo
Il vino consigliato: Moscatello Selvatico Dolce spumante IGP Salento 2021 L’Archetipo
Nelle Murge e nel Salento il moscatello selvatico fornisce ottimi vini passiti e sarei stato tentato di consigliarne appunto uno passito con il pasticciotto salentino, corrispondendo sicuramente all’abitudine che si è diffusa laggiù fin dal 1745, quando sembra sia nato da un esperimento del pasticcere Nicola Ascalone di Galatina. Il metodo ancestrale di rifermentazione naturale in bottiglia combinato con la moderna tecnologia del freddo in autoclave, però, oggi ci forniscono un altro vino che a mio modesto parere si accompagna ancora meglio a questo dolce di pasta frolla ripieno di crema pasticciera e cioè uno spumante delicato dolce, spiccatamente floreale con una grande intensità di fruttato dall’affascinante acidità agrumata.
Di solito ha un residuo zuccherino naturale tra 50 e 60 grammi al litro, quindi non eccessivo e perciò è indicato per i dolci e gli abbinamenti di fine pasto, ma non solo. Va benissimo infatti come aperitivo, con i formaggi caprini di media stagionatura, con le pietanze piccanti delle cucine orientali e (perché no?) per affogarci un gelato alla vaniglia o al limone o per fare dei sorbetti al limone. Quello che qui vi consiglio è lo spumante Moscatello Selvatico Dolce (di cui ho assaggiato il millesimo 2021, ma vi raccomando sempre l’ultima annata in commercio per gustarne la freschezza) realizzato da Valentino Dibenedetto nella sua nuova avventura che sta sviluppando insieme con la moglie Anna Maria e i loro figli Carlo Nazareno, Domenico, Andrea e Maria Clelia che insieme gestiscono il progetto L’Archetipo.
Rispetto a quelle aziende che sono abituate a impoverire e cementare i terreni con la chimica di sintesi, qui si fa di tutto per tornare agli archetipi, appunto come dice il nome, cioè alle forme e alle sostanze naturali. Radicati nei concetti di agricoltura sinergica, i Dibenedetto sono in prima linea nel movimento della viticoltura rigenerativa italiana senza manipolazioni. Coltivano le vigne accanto ai campi di grani antichi, preservando la salute dei suoli con un sistema di agricoltura che si definisce sinergico poiché innesca le sinergie tra tutti gli anelli dell’ecosistema e questo si riflette in prodotti di elevata qualità.
Le proprietà di Archetipo consistono in circa 20 ettari di vigneti su 60 coltivati in totale regime biologico sinergico, a 320 metri di altitudine s.l.m. tra le gravine ai piedi della murgia barese, proprio all’incrocio tra due strade provinciali, la 21 e la 22. Qui, nell’agro settentrionale di Castellaneta, il paese natale di Rodolfo Valentino, i locali suoli rossi sono particolarmente adatti alla coltivazione di vitigni bianchi come fiano, marchione, maresco, moscatello selvatico e rossi come susumaniello, primitivo, aglianico. Sono proprio questi i principali ceppi che si trovano nelle vigne dell’azienda agricola L’Archetipo che adotta un sistema di allevamento ”a controspalliera libera” con cui finalmente la vite può crescere come, dove e quanto desidera senza la coercizione da parte dell’intervento umano e senza l’uso della chimica per ottenere uve nel massimo equilibrio con l’energia naturale e quindi fare vini artigianali e puri.
Francesco Valentino Dibenedetto, figlio di Carlo Dibenedetto, è contadino dalla nascita e diventando agronomo aveva cominciato già dagli anni ’80 a iniziare la conversione dell’azienda verso l’agricoltura biologica, ma poiché la vitalità dei propri terreni non procedeva proprio come voleva era passato nel 2000 alla biodinamica secondo la filosofia di Rudolf Steiner e dopo qualche anno ancora, in seguito alla comprensione del pensiero di Masanobu Fukuoka, era arrivato a praticare l’agricoltura sinergica, quella in cui si giunge a non commettere più il maggiore errore che ancora si compie praticando tutti gli altri tipi di agricoltura (dalla convenzionale, alla biologica, alla biodinamica): l’aratura.
Grazie all’impegno costante e responsabile di tutta la famiglia ingaggiata entusiasticamente nel progetto, è stata costruita l’attuale cantina, tutta in tufo, dove nelle condizioni climatiche tipicamente meridionali è possibile la migliore valorizzazione delle pregiate uve di proprietà senza l’uso della chimica. Ne nascono vini non ”tecnici” (artefatti), ma che lasciano il più possibile invariati il profumo, il gusto e il colore partendo già dal terreno e dalle piante fino alla lavorazione delle uve. Si utilizzano solo ed esclusivamente lieviti autoctoni, cioè lieviti che vivono su queste terre e si sviluppano in questo clima, abituati a vivere in un ecosistema in cui la sinergia tra microflora e microfauna è importantissima per dare ai vini quelle doti organolettiche veraci che li contraddistinguono anche perché non vengono filtrati, per non privarli di quella autenticità e di quel valore gustativo che presentano al termine del periodo di affinamento (perciò sarebbe meglio scaraffarli).
Le uve per lo spumante di qualità Moscatello Selvatico dolce IGP Salento 2021 provengono da 1 ettaro condotto con i criteri dell’agricoltura sinergica e certificazione biologica ICEA su terreno argilloso-limoso con presenza di pietrisco siliceo, ricco di humus da viti di età media di 21 anni allevate a controspalliera libera con una densità di 4.545 piante per ettaro a una resa di 80 quintali per ettaro. La vendemmia è stata effettuata con raccolta manuale nella prima decade di settembre.
Deriva al 95% da uve di moscatello selvatico il cui mosto, dopo pigiadiraspatura e pressatura soffice, fermenta in modo spontaneo grazie all’aggiunta di pied de cuve dal 5% di moscati minori a bacca rossa raccolti 10 giorni prima, un metodo ancestrale di vinificazione che assicura, oltre a un bel corredo di lieviti autoctoni, anche una bella quantità di antociani che conferiscono un colore leggermente ramato allo spumante.
La fermentazione avviene a basse temperature (13/14°C) per circa 40 giorni con travaso del mosto in autoclave dove avviene la presa di spuma a 11/12°C. Giunti a un residuo zuccherino di circa 50 g\l viene abbassata la temperatura sotto i 10°C per fermare la fermentazione. Quindi si affina ancora per diversi mesi in acciaio senza mai praticare filtrazioni o aggiunta di alcun genere, con bâtonnage continui delle fecce nobili fino a giungere alla stabilizzazione naturale e alla decantazione senza chiarificanti.
Il millesimo 2021 è stato imbottigliato senza essere filtrato prima dell’imbottigliamento con una minima aggiunta di anidride solforosa in circa 4.000 bottiglie con un tenore alcolico del 10 + 3,5% e circa 50 g\l di zuccheri naturali residui non fermentescibili. Colore leggermente ramato e luminoso, aroma moscatoso ricco di sentori floreali e fruttati gialli. In bocca è equilibrato e vellutato, ricco di acidità agrumata con sfumature di yogurt alla pesca e frutti tropicali. Lo consiglierei freddo a temperature di servizio di 6-8°C.
Rolando Marcodini
L’Archetipo
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