Se da Montalcino volete vedere l’isola d’Elba dovete salire proprio al podere Sanlorenzo, lungo quella strada provinciale 103 per Castiglion del Bosco che non sarà mai asfaltata grazie allo status di Parco e che scorre dal Poggio Nardone al Nacciarello sul crinale di un’altura con un bosco naturale così fitto e in certi punti ancora impenetrabile dove c’è il monumento ai sei lavoratori saltati in aria nel dopoguerra sulle mine lasciate dalle truppe tedesche durante la loro sanguinosa ritirata dal nostro martoriato Paese. Dal suo podere Bramante Ferretti spaziava con lo sguardo sulla costa della Maremma da una parte e sulla Cassia dall’altra in quel dopoguerra di grande miseria, quando si doveva ricostruire a olio di gomito tutto, tra sacrifici inimmaginabili e una povertà indimenticabile, pioniere di un’epoca che ancora commuove sia chi l’ha vissuta sia chi riesce anche adesso a scoprirla, se non si accontenta soltanto delle luci del borgo turistico per conoscere Montalcino. Come mi aveva confessato Silvana Biasutti, si andava lassù a comprare la legna per i camini che allora erano l’unica fonte di calore per riscaldare le case, proprio perché Bramante ne aveva di quella migliore e a prezzi convenienti, in quanto s’era dato da fare a motosega, paranco, trattore e piccone a disboscare dove poteva per piantare olivi e viti nei punti in cui aveva intuito esserci dei terreni particolarmente vocati per queste coltivazioni in cui pochissimi allora credevano, ma i cui frutti sarebbero poi diventati come il pane quotidiano della realtà odierna. Tempi durissimi quelli che mi avevano raccontato sia Silvana che il compagno sindaco emerito Ilio Raffaelli che conoscevano bene quel Bramante Ferretti boscaiolo, allevatore e coltivatore che aveva osato sfidare il mondo, la sorte, la miseria e credere nell’onesto lavoro, nelle proprie braccia, nella propria terra mentre se ne andavano però quasi tutti scoraggiati e piangenti con le oche che scappavano di qua e di là fra i carri che passavano davanti a Sant’Egidio durante un esodo che sembrava non finire più.
Il monumento ai caduti del Nacciarello
Se n’erano fuggiti così i due terzi degli abitanti di Montalcino a metà degli anni ’60. L’abolizione della mezzadria e l’apertura dell’Autostrada del Sole a Chiusi quasi 50 chilometri più lontano avevano svuotato completamente la Cassia dal traffico commerciale su cui prosperavano le attività di Montalcino e avevano creato una miseria immane, sconosciuta, da affrontare oppure svendere tutto e abbandonare la città e le campagne. Quand’è morto suo padre Guido, Bramante Ferretti con sua moglie Adele e le figlie Gigliola e Fiorella si erano dovuti sobbarcare da soli tutto il podere lassù in montagna dove si sopravviveva a denti strettissimi con la produzione di legna da ardere, un piccolo allevamento di maiali, vacche, pecore, qualche animale da cortile come galline e conigli e soltanto un ettaro di viti e olivi per ricavare un po’ di vino e di olio per la casa. In tutta Montalcino nel 1967 c’erano soltanto 115 ettari iscritti a produrre Brunello (64 specializzati e 51 promiscui) e un ettaro coltivato a vite valeva solo 1.800.000 lire. Nel 1968 erano state ufficialmente prodotte esclusivamente 13.000 bottiglie di Brunello in totale su tutto il territorio comunale!
Quelli erano i tempi in cui “chi non fa nulla per essere il primo, per diventarlo e per rimanere tale non sarà mai secondo, ma scivolerà inevitabilmente verso l’ultimo posto“. Bramante l’aveva capito benissimo, tanto da essere stato fra i primi a spianare questa strada su a Sanlorenzo, come hanno fatto nel bosco anche altre viticoltrici e altri viticoltori che hanno seguito l’esempio dei 25 fondatori del Consorzio. E tutto a olio di gomito, a sangue e fatica, proprio con lo stesso spirito di un altro gigante, un altro grande esempio (ma sulle due ruote) di come si fa a osare sfidare il cielo, così… stringendo i denti con quella stessa passione che mi accomuna a suo nipote Luciano Ciolfi, l’attuale proprietario dell’azienda agricola. Bramante è stato appunto tra i protagonisti del riscatto e della rinascita, restando tenacemente in questo fondo nel bosco di querce secolari, lecci, cerri, roverelle, albatri, sambuchi e corbezzoli che era stato acquistato a fatica nel 1950 da suo padre Guido che lo aveva chiamato Sanlorenzo in memoria del padre Lorenzo e a suggello di un desiderio espresso in quella notte delle stelle cadenti. Disboscandolo un po’ alla volta con tenacia e caparbietà, aveva piantato subito un oliveto, quindi un orticello sul piccolo greppo sotto il piazzale, un casale con la classica piccola vigna per fare vino solo a uso famigliare e poi pascoli per allevare bovini da carne di razze pregiate sul versante sud, da cui si vede il mare. Insieme con la figlia Fiorella e con il genero Paolo Ciolfi che ci abitano tutt’oggi, nel 1992 aveva piantato altre vigne per vendere le uve ad Argiano, cantina dal 1580, fino al riconoscimento a DOCG e a DOC delle loro parcelle nel 1997 che, una dopo l’altra, sono qui a testimoniare l’immenso lavoro che hanno fatto. Bramante, vissuto 101 anni e 6 mesi, è indimenticabile. La Riserva del Brunello di Montalcino del Podere Sanlorenzo porta il suo nome alto in tutto il mondo anche se non viene citato dai libri che circolano sulla storia dei personaggi che hanno fatto grande anche questo territorio. ”Se li dimentico, tu, Dio del cielo, dimenticami!” scriveva Mickiewicz…
Signori non si nasce per diritto uterino né ereditando uno scranno, ma lo si diventa soltanto con il lavoro come fanno questi giganti (sì, veri giganti anche se di umile origine) e solo il cinismo può dimenticare persone di così grande levatura, di cotanto esempio per tutte le generazioni e capaci di capovolgere il mondo senza troppe chiacchiere, ma con uno spirito di sacrificio di grande valore e un’apertura mentale diventata merce rara al giorno d’oggi. Le stesse doti che ho trovato in suo nipote Luciano, classe 1972 come quei 1.000 metri quadri sopravvissuti della prima vigna piantata lassù. Luciano Ciolfi non abita lì, dove ha lasciato invece i genitori, ma si è sposato ed è andato ad abitare giù sulla Cassia, lontano, e ogni giorno deve perciò macinare molti chilometri con ogni tempo, troppo caldo o troppo freddo non importa, come tutti i lavoratori della campagna che vanno a sputare l’anima anche con la febbre e imbottiti di antibiotici, senza fare tutti i ponti e tutte le feste che fanno gli altri pur di lavorare meglio le vigne e l’oliveto. Quanti sono disposti a una vita così? Se non si hanno un credo forte e una capacità di resistenza a tutto non ci si riesce, al massimo ci si può pavoneggiare sotto le luci della ribalta fra gli applausi della claque. Spesso queste persone che ti ascoltano molto e ti guardano dritto negli occhi non sanno parlare, non riescono a far capire davvero cosa vuol dire ogni giorno fare i salti mortali per andare in vigna a faticare e soffrono di ogni preoccupazione per le malattie delle piante, la siccità dei terreni, i debiti da pagare, i danni del vento e del gelo, per poterci assicurare un briciolo di felicità con il loro vino anche nelle annate avverse e ricavare da vivere con quel vino che alla fine del loro grande lavoro possiamo gustare nel calice e che magari ci arroghiamo pure di saper giudicare, ma che è sempre il frutto di anni e anni di lavoro incessante.
Luciano però è un cicloamatore come lo sono stato io, pedalare non lo spaventa, anzi lo stimola e almeno qualche volta si allena pure nel salire alle sue vigne e nel scendere dalla sua famiglia. La sua azienda si estende su 59 ettari di terreno fino alle estreme ripidità del Fosso del Crognolo e, oltre alle vigne, coltiva 1 ettaro di oliveto, 5 di campo spoglio e il resto a bosco. Luciano se ne occupa direttamente dal 1999, mentre a dargli una mano è arrivata da qualche anno anche la sorella Luciana che cura il confezionamento e la cantina in generale. Con l’aiuto dell’agronomo Massimo Achilli aveva esordito estirpando tutti i vitigni estranei, dal colorino fino a quelli a bacca bianca, ricostruendo a modo suo e soltanto con sangiovese le vigne e piantandone di nuove su pendenze dal 10 al 35% fino al 2018 per giungere agli attuali 7 ettari di cui 5 in produzione con ceppi allevati a cordone speronato, perlopiù singolo, a una media di 3 speroni per pianta, e con densità che variano dalle 3.000 piante per ettaro delle più vecchie fino alle 4.500 di quelle nuove. Da queste terre d’eccellenza che godono di una felice esposizione prolungata al sole e delle brezze che salgono dal Tirreno su queste alture dai suoli tendenzialmente magri e aridi, composti principalmente di argille frammiste a sabbia e frammenti di galestro ricco di pietre, in pochi anni è riuscito a estrarre vini di grande carattere, di classe e di razza con l’aiuto dell’enologo Claudio Gori e, per rinvigorirli in equilibrio con la natura, nel 2012 ha abbandonato la chimica di sintesi e si è dedicato alla conversione al biologico fino a produrre il suo primo Brunello certificato da viticoltura biologica nel 2015. Dosi minime di rame per prevenire la peronospora e di zolfo per prevenire l’oidio, diserbo delle erbe infestanti manuale e/o con decespugliatore, ricostituzione degli elementi che compongono i suoli e che vengono estratti dalla vegetazione tra i filari con la concimazione naturale, qualche volta con letame stallatico oppure periodicamente con il sovescio, un’antica e semplice tecnica di semina di erbe, tra cui il favino, che verranno poi tritate e interrate in superficie. Sulle viti si pratica la potatura verde, si selezionano i tralci e poi i grappoli, prima della vendemmia si tolgono anche le foglie intorno ai grappoli per soleggiarli e ventilarli, si effettuano manualmente la raccolta e la selezione delle uve. I grappoli sono trasportati immediatamente alla vicina cantina e subito diraspati: gli acini vengono pigiati sofficemente e passano in vasche d’acciaio per la fermentazione e la macerazione che di solito hanno la durata di 3 o 4 settimane a temperature che variano dai 28°C all’inizio fino ai 20°C verso la fine. In questa fase si fanno periodicamente svuotamenti e rimontaggi (délestage) per estrarre meglio gli aromi fruttati e i tannini, completando la struttura del vino che passa nelle vasche d’acciaio e nelle botti grandi per maturare e depositare le fecce nobili, dove rimane atto a diventare Brunello di Montalcino oppure Rosso di Montalcino, a seconda delle analisi e degli assaggi periodici.
Così sono migliorati di anno in anno i vini Sanlorenzo (ho avuto modo di degustare anche le Riserve 2004, 2006 e 2007 e i Brunello 2012 e 2013) che mostrano le differenze fra le varie annate, come avviene ormai soltanto nei vini meno manipolati in cantina e più aderenti alla natura, pur rimanendo sempre di eccellenza qualitativa. Come ho già scritto a proposito del Brunello 2017 del Podere Soccorso dei Tiezzi e di quello della tenuta Le Potazzine (che è a un tiro di schioppo), l’annata 2017 ha messo infatti alla prova tutti i vitivinicoltori di Montalcino e in particolare la concezione della maggiore aderenza possibile alla natura dei loro vini. L’annata 2017 è quella in cui si è sicuramente lavorato con in testa il motto dei giocatori americani di football americano nel periodo dei play-off e che è usato soprattutto per far capire la durissima selezione che affrontano per poter arrivare a giocare nella prima squadra: ”when going gets tough, the toughs get going” ormai di dominio pubblico come ”quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. È stata quella che ho potuto seguire per intero, in quanto ci ho abitato, lavorato e girato dappertutto in una splendida full immersion con la Panda rossa. Una fine di marzo e un inizio di aprile caldi oltre la media hanno fatto nascere i germogli delle viti con molto anticipo per poi trovarsi però di fronte a un’ondata piuttosto fredda nella seconda metà di aprile che è stata molto pericolosa fino alla fine del mese. Fortunatamente a Sanlorenzo le temperature non sono andate sottozero proprio grazie alle brezze marine che salgono dalla Maremma e temperano quotidianamente l’aria, perciò i germogli si sono salvati. Le viti si sono riprese velocemente anche grazie al caldo del mese di maggio e alla completa mancanza di piogge fino allo sbocciare della fioritura il 25 maggio. Anche nei mesi di giugno e luglio non ci sono state piogge e il caldo è andato oltre la media per molti giorni, è stato davvero soffocante, ma le viti esposte alle brezze marine si sono adeguate a questo andamento e hanno retto bene la siccità e la calura. Tutto sembrava perciò andare bene, ma una forte grandinata il 26 di luglio ha rischiato di compromettere il raccolto. Per fortuna è stata violenta ma è durata poco, le foglie hanno subito grossi danni ma i grappoli solo in parte e con il caldo e la siccità di agosto si sono completamente seccati. L’invaiatura, il cambio di colore, è iniziata il 10 di agosto. Un po’ di pioggia ad agosto e all’inizio di settembre hanno ridato quassù quell’equilibrio che in basso è venuto a mancare e su questo ed altri crinali ci si è avviati verso la vendemmia praticamente in linea con gli altri anni, il 5 e il 6 di ottobre. L’annata è stata complicata ma le viti hanno risposto bene alle tante maggiori attenzioni, perciò l’uva è risultata bella sana e di conseguenza il vino ne è venuto ricco ed equilibrato. Uve raccolte a mano, vinificate in vasche di acciaio con macerazione di una ventina di giorni, malolattica in acciaio e poi in legno, questo Brunello è maturato in botti grandi da 30 a 35 ettolitri per 3 anni e poi è passato in acciaio prima di essere imbottigliato nel settembre del 2021 in 11.000 bottiglie.
È un vino di un bel colore rubino profondo con riflessi dal violaceo al granato. All’attacco un profumo di petali di rose rosse e amarene mature che introducono un bouquet ricco di aromi di ciliegie nere e note di timo, liquirizia e tabacco che in questo Brunello si fondono a meraviglia come raramente avviene. In bocca il vino è rotondo proprio come i poggi lavorati da Luciano, si sente che è un’annata ammaestrata da un vero domatore di tannini che al palato sono setosi, senza sbavature, perfettamente integrati con aromi di piccoli frutti neri maturi e di buona pelle conciata dolce. In un’annata che non sarà mai giudicata come la migliore del secolo non mi aspettavo un gran bella beva così, armoniosa, equilibrata e piacevole, pur con un nerbo di rara potenza, da pugno di ferro in guanto di velluto. Il tenore alcolico del 14,5% è meravigliosamente fuso in perfetta armonia con l’acidità e ne guadagna molto il potenziale di ulteriore raggiungimento della pienezza nella sua sfida con il tempo. Penso che le brezze di quassù abbiano giocato un ruolo ancora più importante del solito perché si sentono la freschezza e la vivacità di un vino schietto, succoso, dalla bevibilità notevole e si avverte una finezza nella sua complessità che è davvero un’eccezione per un Brunello così giovane. Bevendolo alla temperatura di anticantina intorno ai 18°C nel grande calice che questo vino eccellente richiede per ossigenarsi come si deve ho avvertito una maturità e un calore affettuoso, specialmente dopo averlo ritappato e goduto ancora meglio nei giorni successivi, quando mi ha affascinato per una sfumatura di rovere dolce e di goudron e per un ricordo ematico che lo ha ingentilito ancora. Non se la prenda Paolo Ciolfi, il papà di Luciano, ma mi sembrava di sentire le gambe accarezzate delicatamente dalla coda di qualcuno dei suoi tanti gatti in quel giorno della mia prima visita. Nel finale non manca la stoffa e la persistenza, con un non so che di rabarbaro, carruba e un ricordo lontano e leggero d’incenso e di tartufo marzuolo. Va centellinato come pochi vini al mondo per gustarlo con la maggior calma possibile e goderselo in santa pace anche sotto le frasche di un fico in piena estate. Bravo Luciano per questo trampolino su chissà quali altri traguardi qualitativi nel futuro e grazie a Bramante che ti ha trasmesso l’arte e, compiuto il secolo di vita se n’è andato lassù per il meritato riposo, ma lasciando il suo podere nelle mani migliori possibili. Non arrossire. Conquisterai a una a una tutte le stelle della notte di San Lorenzo.
Mario Crosta
Azienda Agricola Luciano Ciolfi Podere Sanlorenzo 280, 53024 Montalcino (SI) coord. GPS: lat. 43.043680 N, long. 11.457359 E Tel/fax 0577.832965, cell. 339.6070930 sito www.poderesanlorenzo.net e-mail info@poderesanlorenzo.net Skype: luciano.ciolfi
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.
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Per quasi 10 anni tra gli autori della guida I Vini d'Italia de L'Espresso, docente di materie vinose ad ALMA - La Scuola Internazionale di Cuci (...)
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Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha conseguito il diploma di Sommelier AIS nel 2001. È Degustatore per la regione Lombardia e giudice per le guide Vitae e Viniplus. Ha partecipa (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
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