Le stelle e le stagioni
Da Bocuse a Bottura. Dalla Nouvelle Cuisine alla cucina presbite. Non è sempre vero che dove vi sia una riconosciuta qualità ci sia poi più attenzione e più ricerca. La Nouvelle Cuisine non fu salutista forse ma anticipava e promosse il Km zero. Intanto, usando le parole del poeta Mahmoud Darwish, mi tocca ammettere che pure io: “Soffro di una malattia cronica di speranza” e che la conservo anche quando il buon senso è fuori stagione… perché bravi giovani (cuochi e non solo) stanno arrivando…
Maestro: “Il desiderio genera dipendenza e dà origine a pensieri mortali”
dal film Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera
del regista Kim Ki-Duk
“And it’s time time time that you love
And it’s time time time …….…….……….……. ”
Tom Waits Time da Rain Dogs
“Tutte le mattine – è una tradizione lionese alla quale sarebbe molto difficile rinunciare – vado al mercato e mi aggiro a lungo fra i banchi. Facendo la spesa di persona, so che un contadino ha dei cardi eccellenti, che un altro è lo specialista degli spinaci e che un terzo ha portato stamattina deliziosi formaggi di capra. A volte non ho idea di quali piatti cucinerò per il pranzo di mezzogiorno: decide il mercato. Ed è questo, penso, che fa la buona cucina. Nell’elaborazione dei nostri menu, tengo conto ugualmente della stagione. Quando è la stagione della lepre, cuciniamo la lepre; in primavera arriva l’agnello, poi le verdure novelle. Anche il calendario decide la composizione dei nostri menu. Tutte le ricette, semplici o complicate, raccolte in questo libro, riusciranno solo nella misura in cui chi le esegue saprà riconoscere e acquistare al mercato i prodotti di qualità necessari per la preparazione dei relativi piatti. Per contro oso affermare che se un piatto, anche il più prestigioso, non riuscirà perfetto, l’insuccesso non sarà però mai completo se la ricetta sarà stata eseguita con prodotti di prim’ordine. Sono verità lapalissiane, ma che quasi tutti sembrano ignorare. In altre parole, per fare della buona cucina conta, sì, l’abilità ai fornelli, ma la scelta dei prodotti, il saper fare la spesa, è quantomeno altrettanto importante”. È la sinossi tratta da La cucina del mercato dello chef Paul Bocuse.
In Internet, e su Youtube in particolare, c’è un filmato degli anni Settanta (per l’esattezza del 1976, proprio lo stesso anno in cui verrà pubblicato il testo La Cucina del Mercato) in cui lo chef Paul Bocuse racconta il senso della Nouvelle Cuisine, la follia delle fragole a Natale e delle mele a luglio, e nello stesso video racconta e prepara, fino al servizio e al consiglio dettagliato dell’abbinamento con il vino, anche il suo iconico piatto del Polletto di Bresse al sale grosso. In quel video, che continuo a guardare estasiato, la cucina del mercato (stagionale, sostenibile, individuale e fitta di personalità) viene comunicata con i termini più elementari e gli esempi più semplici ed efficaci per il pubblico di in un programma popolare della televisione nazionale francese in cui, tra l’altro, nella preparazione dei piatti, lo chef Bocuse si alternava con Michel Guerard, i fratelli Pierre e Jean Troisgros e Roger Verge.
Non proprio il cast della Prova del Cuoco…
Ma il punto è un altro: chi ha studiato la lezione della Nouvelle Cuisine conosce l’importanza della stagionalità, intesa come la ricerca della migliore materia prima del mercato, e conosce la filosofia di una cucina che rinuncia agli inutili orpelli e ornamenti, che rifugge le stucchevoli decorazioni e che si presenta più leggera e digeribile. Non so dirvi quanto fosse applicato e radicato il concetto di sostenibilità riguardo alle preparazioni ma di certo la ricerca che è poi proseguita nel solco della sua filosofia ha saputo fare a meno delle cotture sottovuoto e del Roner, delle schiume, delle arie e delle sferificazioni. Ha impiattato sostanza ed eleganza, talvolta a un livello di consonanza indistinguibile, senza soluzione di continuità. Si tratta di buon senso. Si tratta di rispetto della materia prima e del cliente.
Ho fatto un articolato viaggio (su internet, stando fermo) tra le innumerevoli rassegne dei menu degli 11 ristoranti a 3 stelle Michelin d’Italia e in almeno 6 su 11 il rispetto della stagionalità non esiste. In qualche caso è irrisa.
Vado con ordine.
Al St.Hubertus dello chef Norbert Niederkofler stagionalità e sostenibilità sono al top. Architrave della filosofia del ristorante.
Da Uliassi quasi, e d’estate potresti al massimo imbatterti nello stesso menu nel porro o in un piatto di colombaccio crudo con rapa rossa e ciliegie assieme. Nulla di grave (soprattutto se le rape erano una primizia e le ciliegie di conserva).
Dal pescatore della famiglia Santini e l’Enoteca Pinchiorri offrono menu strenuamente nel solco di un classicismo di chiara ispirazione francese e difficilmente cadono nella mancanza di rispetto della stagionalità. Lode.
I fratelli Cerea a Brusaporto sono molto più rispettosi della stagionalità di quanto si possa immaginare da un ristorante decisamente proiettato su una dimensione e una clientela internazionale. Fanno da drammatica eccezione piatti come i Paccheri con il pomodoro fresco e la sontuosa cotoletta Orecchio di elefante (sempre accompagnata da pomodorini) che sono piatti serviti in ogni stagione, non soltanto d’estate.
Da chef Enrico Crippa al Piazza Duomo di Alba, invece, la stagionalità viene per molti versi dilatata fin quasi a diventare tristagionalità che accoglie e anticipa quella propria cruciale che si sta vivendo. Quindi puoi iniziare un pranzo settembrino con zucchine, melanzane, funghi porcini, caponet di cavolo cappuccio, proseguire con variazioni di barbabietola e poi trovare, nel piatto a seguire, le zucchine trombetta, in un ping pong di tempi tra inizio primavera e autunno inoltrato.
Al Reale dello chef Niko Romito nel menu di dicembre del 2016 potevi addirittura volteggiare su tutte e quattro le stagioni: partire da un’entrata con i pomodorini, proseguire con il tartufo bianco sulle lenticchie, trovare gli asparagi in un piatto di lingua di vitello e infine affondare dentro un delizioso piatto di stagionalissima verza stufata.
Lo chef Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena nel febbraio 2015 proponeva nello stesso menu un piatto di Brodo di olive, capperi e pomodoro con tempura di melanzane e calamari e poi i ravioli del Delta del Po, con l’anguilla e la melagrana. Nel giugno del 2020 il menu beatlesiano spazia tra fiori e fragole, (anche ananas), albicocche, ciliegie, fino a un piatto Summer is coming di granita di piselli e di fragole (ancora) che sarebbe del tutto primaverile nei suoi due elementi principali, e poi pesche arrosto, totalmente in sfregio alla stagionalità precisa, mescolando tarda estate e prima primavera in una nuova coloratissima stagione psichedelica francescana acida.
Massimiliano Alajmo a Le Calandre ha realizzato recentemente un Carpaccio di zucchine e frutta, (tralasciando l’improprietà del termine Carpaccio per qualunque cosa che non sia manzo a fettine sottili), la stagionalità estiva della zucchina (marinata) e della melenzana (in crema) stridono parecchio con il sorbetto salato di kiwi che sarebbe la frutta, giusto appunto, non estiva!
Al caffè Quadri, sempre lo chef Alajmo, nello stesso menu ha offerto in apertura il Cappuccino primaverile con asparagi, fagiolini (fagiolini?), piselli, carote e rapa rossa (rapa rossa?), per poi chiudere con una Cassata all’albicocca. Quindi siamo in stagione siamo? Estate?.
Al Mudec da Enrico Bartolini, non ci sono limiti e potresti affrontare un menu tutto fuori stagione che contempla senza troppi scrupoli melanzana arrosto e funghi porcini, lamponi e fiori di zucca, fave fresche e barbabietola rossa, addirittura dentro lo stesso piatto di filetto di manzo lucano c’è un’insalata di fiori di zucca e una tarte tatin (?) di pesche e porcini…
Stesso imbarazzo alla Pergola. Il celebre piatto Sottobosco di Heinz Beck in qualche versione è fotografato con funghi porcini e asparagi contemporaneamente che proprio stagionale non suona ma, del resto, anche il celeberrimo piatto di Fagottelli “La Pergola” (una versione di ravioli ripieni di tuorlo che evocano la carbonara) non ha mai rinunciato alle zucchine in brunoise come condimento, estate o inverno che sia. Rimanendo sempre dentro il ristorante tristellato del Waldorf Astoria ci si può imbattere su internet nella esaltazione entusiastica di un menu definito autunnale (e a giudicare dal tartufo bianco, c’è da crederci) in cui troneggiano piatti come Fiore di zucca su fondo di crostacei e zafferano con caviale (la cucchiaiata di caviale sul fiore di zucca fritto è almeno disturbante…) e le Animelle di vitello su crema di peperoni arrosto con capperi e olive.
Dalle foto si percepisce che per un piatto su due non si rinuncia ad adornarlo di un germoglio (di piselli? Di ceci?) di qualunque cosa ma: che senso avrà mai un germoglio, un qualunque germoglio, in autunno?
Pierluigi Gorgoni
Questo articolo fa parte dell’inserto de La Glottide del 22 marzo 2021 dedicato alla stagionalità degli alimenti, che potete scaricare qui.