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La Crapiata materana, il piatto antico della condivisione e il Basilicata Rosato IGP

Crapiata materana

Matera è una città che sorprende. Immutata nel tempo, è così originale da sembrare un set cinematografico creato ad hoc. Girare a piedi tra i famosi “Sassi”, la zona più antica della città, fa subito pensare a come fosse impossibile, per chi abitava lì, non condividere tutto con gli altri. Le abitazioni, così attaccate una alle altre, evocano la convivialità e la vita rurale di un tempo. Oggi molte di queste sono diventate dei B&B eleganti, proliferati soprattutto nel 2019, quando Matera è stata scelta per essere la capitale della Cultura. E questo vivere così “insieme” ci fa comprendere più facilmente perché Crapiata, una zuppa di legumi dal sapore rustico e genuino, sia l’emblema della convivialità.

ingredienti Crapiata materana

Infatti, ogni primo agosto, anche i materani che non abitano più negli antichi Rioni Sassi, tornano nel borgo La Martella per mangiare la Crapiata. È un momento magico, in cui si prepara e si mangia insieme un piatto che tutti un tempo tutte le famiglie dei Sassi contribuivano a creare, portando una manciata di quanto era rimasto dal proprio raccolto di cereali e legumi dell’anno precedente e cuocendolo tutti insieme in un unico pentolone. Infatti, la Crapiata non è solo un piatto tipico, ma un vero e proprio rito, un ringraziamento alla vita, che ha le sue origini addirittura ai tempi dei Romani. È un evento legato alle usanze contadine e al senso di appartenenza e di fratellanza di chi viveva di agricoltura e si ritrovava nei Sassi per celebrare il raccolto nei primi giorni di agosto, quando cadeva il termine della mietitura.

patate Crapiata materana

Anche in questo caso, l’origine del nome di questo piatto è controversa, così antica da far risalire il termine dalla parola greca krambe, che indica una pianta di legumi. Ma c’è chi invece fa riferimento al latino crepula, ovvero lo stato di ebbrezza legato all’abitudine di accompagnare questo momento di socialità con tanto vino. Un’ultima versione, infine, attribuisce l’origine al calabrese cràpia, con cui si indica il treppiede su cui si metteva il pentolone dove cuoceva la zuppa.
Tra gli ingredienti che la compongono, a parte le patate novelle, i legumi ed il grano utilizzato erano quelli dell’anno precedente: la Crapiata, quindi, era anche un piatto di “risulta”, nel senso che veniva realizzato con quanto rimasto nelle scorte. Ma non solo, perché svuotare i “contenitori” delle derrate era un anche un modo per scongiurare una eventuale compromissione del nuovo raccolto. Infatti, in passato, non venivano usati prodotti chimici o pesticidi (anche perché non esistevano) e quindi era molto frequente che legumi e cereali, conservati troppo a lungo in condizioni non ideali, venissero attaccati da insetti come la tignola (le farfalline) e il tonchio (il piccolo coleottero che buca i legumi). Mescolando anche una piccola quantità di alimenti contaminati si rischiava che in pochissimo tempo l’infestazione si propagasse a tutte le derrate accumulate, rendendo inutilizzabili le provviste del raccolto dell’anno in corso.

fagioli Crapiata materana

Un tempo la festa proseguiva fino a notte alta con musica e balli e ancora oggi, la “Sagra della Crapiata” accoglie i materani e i turisti, che sempre più numerosi arrivano per visitare la città e i dintorni. Chi dovesse capitare da quelle parti in estate, avrà l’occasione giusta per assaggiare questa ottima zuppa composta da grano e legumi misti, condita con un filo d’olio d’oliva e arricchita da crostini di pane materano.

Ingredienti per 4 persone

  • 50 g di fave decorticate
  • 50 g di farro
  • 50 g di ceci
  • 50 g di cicerchie
  • 50 g di piselli
  • 50 g di fagioli bianchi di Sarconi
  • 50 g di fagioli occhio nero
  • 100 g di lenticchie piccole
  • 100 g di grano duro
  • 1 carota
  • 1 costa di sedano
  • 1 cipolla
  • 5 patatine novelle con la buccia
  • qb Olio Extra Vergine di Oliva
  • 2 foglie di alloro
  • 4 o 5 pomodorini
  • qb peperoncino secco in polvere
  • qb acqua
  • qb sale

Procedimento

  1. Mettere in ammollo il giorno prima tutti i legumi secchi per circa 24 ore e sciacquarli.
  2. Pulire bene le patate novelle lasciando la buccia (io utilizzo una paglietta di metallo, che dedico solo a questo uso).
  3. Mettere tutti i legumi e le patate in una pentola e aggiungere il resto degli ingredienti e un po’ di sale (le carote, il sedano e la cipolla tagliati a tocchetti, i pomodorini interi oppure tagliati a metà e privati dei semi).
  4. Coprire il tutto di acqua di circa un paio di centimetri.
  5. Far cuocere a fuoco lento per circa 40 minuti aggiungendo acqua calda se si asciuga troppo.
  6. Spegnere il fuoco, aggiungere un filo di olio extravergine d’oliva a crudo e un po’ di peperoncino in polvere.
  7. Servire caldo accompagnato da piccole fette di pane abbrustolito (meglio se di Matera)

Se vi avanza, sappiate che il giorno dopo riscaldata è buonissima o, se è diventata troppo asciutta, è perfetta come base per creare delle polpette vegetali, impanandole con il pane grattugiato e passandole in padella.

Laura Nuzzo


Carbone vini

Il vino consigliato: ”Rosa Carbone” Basilicata Rosato IGT 2022 Carbone Vini
Questa proposta di Laura è un’antichissima pietanza della tradizione contadina lucana che risale all’epoca romana e che da poco più di un anno è stata compresa nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT). Il nome deriverebbe dalla “cràpia” calabrese, cioè il treppiede su cui si posa il pentolone per cuocerla, oppure dalla ”crambia”, cioè dall’antico nome dato nella Magna Grecia alle piantine di legumi, ma poiché durante la sua tradizionale festa popolare d’inizio agosto si beve da sempre molto vino, personalmente propendo per una derivazione dal latino “crépula” che significa “ubriachezza”.
I pomodori sono stati aggiunti dopo la scoperta dell’America e il pane con cui la si gusta meglio è la “fedda rossa” di Matera, arrostita sulla brace e condita con il pomodoro, perciò vi suggerirei un rosato regionale che proviene dai territori vulcanici del monte Vulture, in particolare dai dintorni del geosito di Toppo San Paolo di Melfi, che si trovano proprio sopra il primo storico cratere di questo complesso orografico.
È su queste terre, a un’altitudine di circa 550 metri sul livello del mare, che agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso è nata l’azienda. I fratelli Carbone, Vittorio (padre di Luca e di Sara) ed Enzo, avevano scelto due luoghi mozzafiato, le contrade Monte Lapis e Piani dell’Incoronata a Melfi, per piantare aglianico e farne del vino, però alla fine degli anni ’80, a causa di altri impegni, avevano deciso di continuare soltanto a produrre uva, perché non avevano più tempo per la cantina.

Carbone vini

Luca e Sara, i due figli di Vittorio, però, dopo una pausa lunga una quindicina di anni in cui avevano intrapreso altre strade e altre carriere, nei primi anni del nuovo millennio avevano deciso di cambiare radicalmente vita per diventare vignaioli e cantinieri e riprendere la produzione del vino, quindi si sono rimboccati subito le maniche per recuperare anche altri nuovi vigneti in proprio e in affitto e realizzare il progetto di una nuova cantina di trasformazione in contrada Braide con una struttura moderna in metallo ondulato, fino alla vinificazione del loro primo Aglianico nel 2005. Un successo assicurato da tanti bei rossi che si possono ordinare anche on line.
Ai piedi del monte Vulture i suoli sono particolarmente ricchi di calcare, argilla e sali di potassio e nel sottosuolo si trovano tante sorgenti di acque minerali ricche di anidride carbonica. Un terreno straordinario dove  l’aglianico ha trovato il luogo per esprimersi al meglio. Le escursioni termiche gli garantiscono grandi profumi. Il caldo sole del sud, infatti, qui viene aiutato dal clima freddo temperato che all’imbrunire fa scendere un po’ d’aria più fresca dalle montagne e questo contribuisce bene a mantenere piacevoli livelli di acidità e a sviluppare dei bouquet più fini e complessi.
Nel centro storico di Melfi sono state riaperte le antiche cantine ipogee scavate al vivo nella roccia lavica a una profondità di 15 metri sotto il piano stradale, con le volte ricavate a piccone in una navata centrale con tre absidi laterali, le cui pareti sono illuminate da una luce azzurrina dovuta agli affioramenti di un minerale cristallino rarissimo, l’Hauyna o hauynofiro di Melfi. Grazie alla temperatura costante e all’ottimo livello di umidità naturale, è il luogo ideale in cui fare invecchiare i due vini rossi più importanti: 400 Some e Stupor Mundi. I loro vigneti storici si trovano in due belle contrade, quella dei Piani dell’Incoronata (6,5 ettari) e quella di Montelapis (3 ettari), con viti piantate cinquant’anni fa alla densità di 3.600 piante per ettaro che in gran parte sono allevate a Guyot con alcuni filari a cordone speronato.

Rosato 2022 Carbone vini

Il vigneto più recente si trova invece in Contrada Braide (8 ettari) con le viti di 18 anni di età coltivate in regime biologico a 4.500 piante per ettaro, senza alcuna concimazione a una resa di 65 quintali di uva per ettaro, ed è proprio da qui che proviene l’interessante rosato dedicato a Carlo d’Angiò che, dopo le prime sperimentazioni, ha trovato un bell’equilibrio. Il ”Rosa Carbone” Basilicata rosato IGT 2022 è vinificato quasi in bianco da uve raccolte a mano la prima settimana di ottobre, un po’ in anticipo rispetto alle altre di aglianico, ha fatto una breve macerazione di qualche ora, sufficiente per estrarre colore e corpo e, dopo la pressatura, è fermentato in serbatoi di acciaio, quindi è stato imbottigliato senza chiarifiche con un tenore alcolico del 14%. Consiglierei di servirlo come un bianco a una temperatura sugli 8-10°C.
Nel calice mostra un bel colore rosa tenue per una vinificazione più breve, con una tinta cerasuola dalle sfumature aranciate. All’attacco i profumi di ciliegie e di rose aprono un bouquet vispo di aromi di fragoline di bosco, ciliegie, lamponi e ribes rosso tra sfumature di melagrana e pompelmo rosa. In bocca è fresco, gradevolmente e fruttato, ma leggermente tannico, armonioso e di buon corpo su fondo sapido di buona terra. È un vino che mantiene la struttura dell’aglianico, ma di sicura e più abbondante bevibilità che ne fa l’ideale per aperitivi, pizze e focacce tradizionali lucane. Si accompagna bene ad antipasti di formaggi e salumi, primi piatti mediterranei, tartara di tonno rosso, orata al sale, gamberi appena scottati alla piastra, ruote di pescespada, verdure grigliate, melanzana al forno o in conserva e fritte in pastella, carni arrostite di pollame e porcetti allo spiedo, ma è davvero molto eclettico in tavola.

Rolando Marcodini

Carbone Vini
sede: via Francesco Nitti 48, 85025 Melfi (PZ)
cantina in Contrada Braide, coord. GPS:  lat: 40.993207 N, long. 15.677730 E
cell. 328-2814344

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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