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Bisogna dimenticare il suo prezzo, qualcosa come 300 euro a bottiglia, davvero per happy few, e poco in linea con i tempi risparmiosi e poco inclini, per le persone normali, (non per chi poteva ieri, può oggi, e potrà indubbiamente ancora domani e dopodomani…), a spese folli, per riuscire a parlarne. Seppure con qualche pudore, con l’angoscia di passare per degli snob o dei parvenu. Cosa che non siamo e non vorremmo mai, nemmeno per un attimo, apparire. Bisogna, anzi, è indispensabile, dimenticare una, fastidiosa e invero un po’ stupida, pubblicistica, (di cui mi piacerebbe molto conoscere gli autori per dire loro che sarebbe meglio se cambiassero mestiere…), che lo circonda e che ci racconta – facendoci populisticamente affermare “ma chi se ne frega” – che “Springsteen e Sting lo bevono per ispirarsi. E lo stesso fa Le Carré, emulo di Hemingway“, che “il momento migliore per berlo è a mezzogiorno perché i sensi sono al massimo, e il palato se lo gode senza riserve”. Questo senza dimenticare, come ci raccontano, che “Catherine Deneuve e Sharon Stone ci vorrebbero fare il bagno, emule di Marilyn Monroe“… Sappiamo benissimo, senza che qualche articolo su riviste di carta patinata, tutte pubblicità di orologi e profumi alternate a fotografie, ça va sans dire d’autore, di qualche starlette doverosamente scosciata e con le tette rigorosamente al silicone, ce lo ricordi, che “la mitologia Krug è smisurata, è diventata quasi una mistica collettiva nel senso che tutti sanno che Krug è la formula uno fra gli champagne”. Che i “krughisti” rappresentano una collettività “di individualisti, come ama definirli Rémi Krug, affermando che bere Krug “é una scelta di bevuta e di vita”. E che chi lo beve e se lo può permettere è “gente che prende decisioni fuori dal branco”.
Questo detto, e chiedendo scusa ai tanti normalissimi consumatori e appassionati, i quali senza godere dei privilegi di cui, innegabilmente, godiamo noi giornalisti, che di certe bottiglie possiamo parlare, e abbiamo potuto assaggiarle, solo perché veniamo invitati alle loro presentazioni, o perché ci vengono graziosamente omaggiate, la preziosità enologica che ora descriverò troveranno scandalosamente cara, del Krug rosé voglio, comunque, parlare. Confessando di averlo assaggiato, anzi, di averne copiosamente bevuto parecchie flûtes in compagnia dell’amico Cesare Pillon e di altri colleghi, in occasione di una recente presentazione a Milano, in un locale sciccoso come il “Dal Bolognese“, non per niente definito dalle cronache “ristorante vip”, cui ero stato invitato dalla più abile e professionale delle agenzie di pubbliche relazioni, Grazia Lotti, addetta alla comunicazione della Marchesi Antinori che i prodotti Krug distribuisce in Italia.
Invitati da un simpaticissimo Rémy Krug, pimpante sessantaduenne con il vigore (forse merito del Krug che quotidianamente si concede…) di un quarantenne, a goderci la festa – “siamo qui per essere felici” ha esclamato – e stuzzicati da antipasti sfiziosi (dal culatello alla mozzarella al prosciutto a verdure fritte croccanti) e da una serie di piatti che potevano essere decisamente migliori (date le ambizioni del posto e l’abbinamento non ad uno spumantino qualsiasi, ma ad un Krug), ci siamo avvicinati quasi timorosi a questa chicca champenoise. Un vino, più che un “semplice” Champagne, prodotto in quantitativi ridotti, (alla domanda di quante bottiglie fossero esattamente, Monsieur Krug ha preferito non rispondere e blaguer simpaticamente restando nel vago…), utilizzando Pinot noir vinificato in rosso proveniente da vecchi vigneti situati nel Grand Cru di Ay e della Montagne de Reims, assemblato con Pinot noir vinificato in bianco, Chardonnay e Pinot meunier. Vini ovviamente fermentati, con la consueta tecnica, puramente krughiste, in piccoli fusti di rovere, e lasciati per almeno sei anni in bottiglia prima di uscire dalle caves di Reims, perché avessero tutto il tempo di affinarsi pazientemente e di consegnarsi all’eternità.
Spezzato l’incanto del primo sorso e scoperto che oltre a proporsi strepitosamente vivace nella flûte, grazie ad un perlage sottile, imprevedibile, zigzagante, sbarazzino, questo Rosè da mille e una notte non restava affatto sulle sue, ma si concedeva gioiosamente, dispensando spensierata joie de vivre e invitando gioiosamente e golosamente a farsi bere, sono (beh, lo siamo stati tutti) stato conquistato da un vino tanto grande e così semplice diretto nel comunicare e nel farsi capire. Colore buccia di cipolla – sangue di piccione, corallo scarico, di una lucentezza e di una brillantezza tutta sua, al primo contatto olfattivo il Krug rosé lascia interdetti per la sua stregante freschezza, l’eleganza persuasiva, la cremosità croccante quasi da meringa appena sfornata, la suadente fragranza di petali di rose e di peonie, di cassis, lampone, ricordi di cioccolato bianco e di spezie esotiche, di confetto, pepe, zenzero, frutta secca. In bocca, al palato, la sua splendida secchezza senza concessioni, la sapidità minerale, il carattere nervoso e la vena intrigante di mandorla, che danno vivacità e nerbo e assicurano un finale lunghissimo, articolato, appuntito, eppure delicato e morbido, sono veramente una magia. Dimenticate il prezzo, assolutamente folle, la consapevolezza, che mi assaliva, ritornando in metropolitana a casa, tra la gente normale con i suoi problemi quotidiani, e mi faceva sentire irreale, che 300 euro per una bottiglia di vino sono uno scandalo e un insulto. Tutto vero, ma rimanete, per un attimo ancora, se ci riuscite, nel reame del sogno: di fronte ad un’opera d’arte del genere non potrete che concordare con Rémi Krug e riconoscere che “c’è lo Champagne, e poi c’è Krug“. E davvero “non dimenticherete mai il primo sorso di Krug” e l’intrigante carezza, la maliosa provocazione di questo Rosé, il Krug più segreto.
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