Un periodo dell’anno in cui l’Alto Adige sprigiona atmosfere da fiaba è sicuramente durante i tradizionali e affollati Mercatini di Natale, quando ci si può far rapire e trasportare lungo le vie di Bolzano, Merano e Bressanone decorate a festa, oppure cercare serenità nei tranquilli e suggestivi scorci dolomitici di Vipiteno e Brunico. Anche quest’anno non ho saputo resistere al richiamo della vitale e mitteleuropea città di Bolzano, che in quest’occasione festeggiava la ventesima edizione del suo Mercatino, non tralasciando però di soddisfare la mia passione per i vini altoatesini andando a fare visita all’azienda Erbhof Unterganzner, gestita da ben quattro generazioni dalla famiglia Mayr, dove sono stato accolto con molta diplomazia e gentilezza da Josephus, “vignaiolo per tradizione e vocazione” come ama definirsi. Scambiate le prime parole, mi rendo conto che mai tale definizione potrebbe essere più adeguata: il maso di Cardano appartiene alla sua famiglia dal 1629 e per tradizione il primogenito porta il nome di Josef, ereditato anche dall’unico figlio maschio di Josephus e di sua moglie Barbara, circondato da ben quattro sorelle, e interessato, nonostante i suoi soli 15 anni, a proseguire l’attività enologica dell’azienda. “Me lo auguro ma non faccio pressioni, così come non me le fece mio padre: a 17 anni quando finii la scuola di Laimburg non avevo mai potato né una vite né un melo, ma poi l’amore per la mia terra mi portò a proseguire l’attività dei miei avi“.
L’azienda, a fianco della statale che porta verso il Brennero, appena fuori dall’abitato bolzanino all’altezza della vecchia strada per la Val d’Ega, è segnalata da un anonimo cartello che indica “Vendita vini doc”. Basta però seguire l’indicazione, percorrere pochi metri e trovarsi nel cortile dell’antico maso, un complesso di notevoli dimensioni delimitato da un muro di cinta che riporta un’onorificenza risalente al 1779, con il quale veniva inserito nell’esclusivo circolo degli “Erbhof”, i masi gestiti da più di duecento anni dalla stessa famiglia. “I miei antenati erano originari di Fiè” mi racconta Josephus “ma nel 1629 si trasferirono qui a Cardano. In questa azienda oltre alle viti e alle mele, una volta c’erano una piccola segheria, un mulino e alcuni capi di bestiame. Nell’81 a 21 anni mio padre è subentrato nella gestione del maso, concentrandosi subito sulla viticoltura e frutticoltura“. Attualmente gli ettari di vigneto sono saliti a 9, la maggior parte dislocati sui pendi che degradano verso il fiume Isarco, tranne un paio di ettari recentemente acquistati a Campegno, dove vengono coltivate, tutte con il sistema a “pergola”, ben dodici varietà di uva, dagli autoctoni Lagrein e Schiava agli internazionali Cabernet, Merlot, Chardonnay e Sauvignon, per una produzione che si aggira sulle 70.000 bottiglie l’anno “in gran parte già vendute prima ancora che il vino sia imbottigliato” afferma soddisfatto “in particolare il Lamarein, frutto di uve lagrein lasciate appassire per un paio di mesi in cassette e poi affinato oltre un anno in barrique nuove, un vino che mi sta regalando molte soddisfazioni, con richieste da parte di ristoranti e consumatori da ogni parte del mondo: questa estate ho addirittura visto una foto di questo vino sulla copertina di una rivista giapponese!“.
Essendo presidente dell’Associazione Vignaioli dell’Alto Adige, che attualmente conta 82 membri uniti dalla particolarità di seguire in prima persona l’intero ciclo del vino prodotto, dalla vite fino all’imbottigliamento, mi viene naturale porgergli alcune domande sul motivo dello stato di buona salute del mercato enologico dell’Alto Adige rispetto al “martoriato” confinante Trentino, situazione oggetto nei mesi scorsi anche di accesi dibattiti e confronti tra le varie associazioni di categoria. “In effetti la redditività in questo settore in Alto Adige è buona, mentre in altre realtà meno, come ad esempio nella produzione di mele, e purtroppo in alcuni casi si sta assistendo ad un abbandono della campagna. Noi vignaioli stiamo raccogliamo i frutti di scelte fatte anni fa: favoriti dal poter disporre di limitate aree coltivabili a vite, pensi che in media si è proprietari di meno di un ettaro di terreno, abbiamo puntato fin dall’inizio sulla qualità più che sulla quantità. In particolar modo in tempi di crisi questa scelta sembra che sia stata azzeccata, tanto che noi abbiamo risentito in minima parte della congiuntura negativa. I nostri clienti sono ristoranti ed enoteche e molti privati che sanno apprezzare i vini di alto livello. La produzione è destinata soprattutto al mercato locale, che assorbe circa il 70% della produzione, grazie anche ai turisti che si fermano qui per caso oppure seguendo i consigli di qualche amico, ma vendiamo anche in America e Giappone“.
Meglio quindi vinificare in proprio o conferire l’uva in una cantina sociale? “Sono aspetti molti differenti di conduzione della propria azienda. Sicuramente le cooperative altoatesine hanno raggiunto un livello di affidabilità e competenza molto elevato, possono mettere a disposizione ai viticoltori ottimi tecnici e agronomi in grado di seguirli passo passo nel vigneto, dall’impianto alla conduzione fino alla vendemmia. Seguire personalmente ogni aspetto del tuo maso è sicuramente più impegnativo ma altrettanto denso di soddisfazioni. Io sono innamorato del mio lavoro, non lo cambierei per niente al mondo e non ho mai pensato di fare qualcosa di diverso dopo aver concluso la scuola a Laimburg. Ogni giorno è diverso, si sta spesso all’aria aperta, e quando è finito il lavoro in campagna comincia quello in cantina. E’ indispensabile aggiornarsi continuamente, confrontarsi abitualmente con i colleghi per cercare di fare un prodotto sempre migliore. Per fare un buon vino occorre essere molto generosi, dispensare molto tempo e lavoro. Dal 1984 non utilizzo più concimi chimici, mi sto avvicinando alla filosofia biologica, l’armonia nel vigneto è importante, le piante aumentano la resistenza alle malattie, anche se per motivi di produzione non ho abbandonato certi trattamenti convenzionali a basso dosaggio contro le malattie come l’oidio“. Esiste un aspetto negativo del suo lavoro? “Odio la burocrazia, ci fa perdere tropo tempo prezioso dietro a controlli e permessi vari. Io nel 2005 ho acquistato il Maso Pinnat, e da allora sto aspettando l’autorizzazione a poter espiantare e rifare il vecchio vigneto. Un altro aspetto che rischia di provocare una grave crisi del settore enologico sono le attuali norme eccessivamente restrittive sul consumo di vino, che viene equiparato agli alcolici senza opportune distinzioni culturali, salutari e gastronomiche. In pochi mesi si è creata una situazione paradossale: la gente oggi ha l’ossessione di vedersi ritirare la patente e spesso viene a farci visita in cantina ma non assaggia neppure un sorso“.
Quali sono i vini che preferisce? “Senza dubbio quelli piemontesi, Nebbiolo in particolare, sia per l’eccezionale capacità di invecchiamento ed evoluzione che per la similitudine nello stile di vita dei vignaioli piemontesi, spesso con aziende di dimensioni ridotte e con un grande amore ed attaccamento verso il proprio lavoro e il territorio. Non c’è dubbio che oggi più che mai il vino va fatto con il cuore più che con la tecnica!“ Oltre al vino, quali sono le altre sue passioni? “In campo agricolo, l’olio. Sono uno dei pochi coltivatori di olive in Alto Adige che ha anche un frantoio. Ho cominciato negli anni ‘80 perché sono innamorato dell’ulivo, una pianta millenaria, resistente, in grado di adattarsi quasi ad ogni clima senza arrendersi mai. Purtroppo a metà degli anni ’80 un inverno particolarmente freddo mi ha decimato le piante e da allora ho puntato su qualità più resistenti al freddo: ne ho più di venticinque varietà, crescono sotto la zona di Santa Maddalena, in un’area dove c’è un microclima particolarmente favorevole. La produzione è limitata, appena 12 litri di olio per ogni quintale di olive, imbottiglio circa trecento bottiglie da mezzo litro ciascuna. Il prezzo di 15 euro a bottiglia è un po’ elevato, anche perche i costi di produzione sono alti, incide in modo particolare la raccolta“. “La musica è l’altra grande passione comune in tutta la mia famiglia: io suono la batteria in una band insieme ad altri vignaioli, mia moglie Barbara è diplomata in organo, Katharina suona il sassofono, Anna il clarinetto e Veronika il contrabbasso. Agnes, anche lei diplomata al conservatorio, studia a Salisburgo, suona il flauto traverso e sogna di entrare in un’orchestra“.
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