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Invecchiato IGP: Chianti Classico 2009 Terra di Seta

Terra di Seta

Quella di Maria Pellegrini e Daniele Della Seta è la classica storia di un cambio di vita che approda nel mondo del vino. E che, sì, se imprime comprensibilmente una svolta netta all’esistenza dei due protagonisti rischia anche – se poi non corroborata da fatti concludenti – di tradursi in un po’ abusato argomento da mero storytelling, come in giro se ne leggono tanti.
Non mi addentrerò troppo, dunque, nella pur bella avventura di lei, vignaiola da generazioni, e di lui, romano di nascita ma con alle spalle un quarto di secolo vissuto da biologo all’Università di Siena, che nel 2000 comprano la proprietà e poi dal 2007, con la costruzione della nuova cantina, iniziano a produrre in proprio con l’etichetta Terra di Seta. Non indugerò nemmeno sul fatto che questa è l’unica cantina in Italia (e in Europa ce ne sono solo due) la cui intera produzione vinicola (circa 50mila bottiglie all’anno) dal 2008 è certificata kosher.
Mi pare molto più importante, in questa sede, sottolineare l’adesione subitanea dell’azienda al biologico, sotto l’ala protettiva di un agronomo-faro in questo settore come Ruggero Mazzilli, e il ricorso a un enologo di spessore come Enrico Paternoster.
Siamo dunque in Chianti Classico, comune di Castelnuovo Berardenga, versante UGA “Vagliagli”: 46 ettari in tutto, accorpati, di cui 15 di vigneto, in stragrande maggioranza Sangiovese (“ne abbiamo messo 28 cloni diversi”, spiega Daniele) e un po’ di Cabernet Sauvignon, piantati su suoli di macigno, alberese e porzioni di galestro, dove la quota elevata (500 metri slm) tende a stemperare il tipico calore di certi versanti meridionali dell’area.

Chianti Classico 2009 Terra di Seta

È in occasione di una bella verticale dei Chianti Classico e dei Chianti Classico Riserva aziendali che mi sono imbattuto in questo sontuoso 2009, che include un 5% di Cabernet Sauvignon.
Presentatosi con un bel rubino caldo e l’unghia leggermente aranciata, al naso è penetrante, quasi pungente, con un marcato residuo di frutto, freschezza e screziatura che lo rendono perfettamente pimpante, ma non senza una composta soavità.
In bocca è sapido, ricco e ampio, molto diretto, niente affatto evoluto ed evocatore invece di uno certo stile un po’ antico, familiare, riconoscibile e rassicurante, che emerge soprattutto dai tannini gentilissimi, frutto di legni azzeccati.
Quello che, in definitiva, si potrebbe chiamare i perfetto “fatto concludente” in grado di ridare senso e vigore ad una vicenda dove prevale la story e il telling è ai minimi termini.

Stefano Tesi

Stefano Tesi

Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gli altri per Cucina Italiana, Meridiani del gusto, Viaggi & Sapori, Bell’Italia. Collabora per Civiltà del Bere, Dove, Corriere Vinicolo, Guida Ristoranti dell’Espresso, oltre a curare la sua blog-zine Alta fedeltà. È assaggiatore professionista di olio extravergine. Fa parte del gruppo Garantito Igp.

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