“Il riso è vita”: lo slogan della FAO dà la misura della centralità di un cereale da cui dipende oltre un terzo della popolazione mondiale ovvero quasi tre miliardi (3.000.000.000) di esseri umani.
“Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?” David Foster Wallace – Questa è l’acqua. Discorso al Keaton College
Risi e ciotole
La zizania, come riporta pari pari la Treccani: 1. Pianta graminacea (Lolium temulentum), che infesta i campi di cereali, particolarmente nota per la parabola evangelica, detta appunto la parabola della zizzania (Matteo 13, 24-30), da cui derivano le frasi fig. seminare, spargere, mettere zizzania, mettere discordia, provocare volutamente e per malignità dissensi e dissapori, liti e contrasti: in seminare z., in dir cattività e tristizie (Boccaccio); quella strega della cognata è venuta solo per mettere z. in famiglia. 2. Genere di piante graminacee con tre specie, di cui la più importante è il riso d’acqua o riso degli Indiani (Zizania aquatica) degli Stati Uniti d’America orientali: è pianta annua, alta fino a tre metri, con foglie larghe e pannocchia composta di spighette in parte staminifere, in parte pistillifere.
Scenario uno. Primo produttore mondiale, primo esportatore e consumatore, il paese del riso è senza alcun dubbio l’India dove 50 anni fa le varietà di riso coltivate erano oltre 100.000. Nel corso dei millenni tutti questi tipi di riso avevano non solo affermato una diversità di gusto, forme e colori entusiasmante ma, soprattutto, avevano dimostrato una eccezionale resilienza, tanto ai parassiti, quanto ai cambiamenti climatici, anche catastrofici, tale da preservarle quasi (quasi!) fino a noi. Questa straordinaria biodiversità è oggi irrimediabilmente persa, sostituita dagli ibridi ad alto rendimento incoraggiati dal governo e prima ancora dalle multinazionali. L’80% della superficie a riso dell’India si dedica alla coltivazione di questi ibridi. Cosiddette varietà “superiori”. La regione di Koraput nello Stato di Odisha, nell’est dell’India, è stata storicamente tra le principali aree mondiali di diversificazione del riso. Negli anni ’50, un’indagine ufficiale ha rilevato che gli agricoltori qui coltivavano più di 1.700 diverse varietà di riso. Ora, più di 1.400 agricoltori della regione sono al centro di un movimento per salvaguardare ciò che resta di questa ricchezza genetica. L’impresa è sostenuta da un piccolo team di conservazione guidato dall’ecologista Debal Deb. Quasi 200 delle 1.200 varietà nella collezione di Deb sono state acquisite dagli agricoltori di Koraput, il che indica che gli abitanti dei villaggi non hanno abbandonato i loro semi autoctoni per le varietà moderne, e adesso questi semi vengono donati a qualunque agricoltore sia interessato. Le varietà autoctone, endemiche, le chiamano “desi dhaan“, in contrapposizione agli ibridi moderni, “sarkari dhaan“, letteralmente “riso del governo”. Gli ibridi allevati in laboratorio per una agricoltura intensiva, meccanizzata e destinati ad assorbire fertilizzanti e acqua, richiedono sempre nuove applicazioni di pesticidi, non mostrando nessuna capacità di adattamento, invece le varietà antiche, adattatesi nel corso dei millenni, si sono dimostrate anche più resistenti di fronte a problemi contingenti come parassiti e siccità più recenti. Alcune varietà di desi dhaan sono in grado di resistere ai cicloni meglio degli ibridi moderni e i loro steli alti portavano foraggio per il bestiame, pacciame per il terreno e fieno per coprire i tetti delle loro case, a differenza delle varietà moderne dallo stelo corto. A livello gustativo non c’è neanche da farsi la domanda. Ovviamente ogni agricoltore indiano ti dirà che i desi dhaan hanno un sapore decisamente più complesso. Unico. Ti racconteranno meraviglie di varietà come Kolaajeera e Kolakrushna. Così ricche di gusto da non necessitare di alcun condimento… Quindi, se da una parte ci sono le alte rese garantite dagli ibridi, dalla parte delle varietà endemiche c’è un sistema di valori inestimabili che passano dalle particolari qualità nutrizionali fino al singolare piacere gustativo e che soprattutto giustificherebbero la loro preservazione nel più profondo concetto di sostenibilità. Ancora una volta ciò che non torna è il prezzo dell’avidità. L’utilizzo delle varietà governative, sostiene le multinazionali dei pesticidi, le multinazionali dei cereali, ma intanto impoverisce le falde acquifere, rende i terreni sterili, produce più emissioni di gas serra, costringe i coltivatori a indebitarsi a livelli insostenibili tanto che dal 1997 a oggi migliaia di contadini indiani produttori di riso si sono tolti la vita. Ne dà un accorato e circostanziato racconto l’antropologo sociale A.R. Vasavi nel saggio Shadow Spaces in cui definisce le campagne indiane come campi di sterminio. Il riso è anche morte.
Riso amaro. Renato Guttuso
Scenario due. Fortemente indebitato con la Cina, il Laos ha deciso di aderire ai programmi di sviluppo energetico (in verità ero in dubbio tra l’utilizzo del termine sviluppo e il termine avviluppo, tra qualche riga ve ne farete una ragione) con il governo e gli imprenditori cinesi attraverso la Belt and Road Initiative, per cui negli ultimi anni il governo laotiano ha approvato oltre 140 dighe lungo il Mekong e i suoi affluenti. Tra siccità e dighe inappropriate, nel Mekong, i livelli delle acque si sono ridotti drammaticamente (informa Asianews). Nel 2019, gli agricoltori laotiani hanno piantato riso solo sul 40% dei circa 850 mila ettari di terra coltivabile. Nella provincia settentrionale di Luang Namtha, gli agricoltori sono riusciti a piantare riso su poco più della metà della terra disponibile. Il terreno è troppo secco. Tutti i semi sono morti. Migliaia di ettari sono aridi. Bounthong Souvannahan, vicedirettore del Dipartimento di meteorologia laotiano, ha dichiarato che nel 2019 le precipitazioni nel Paese sono state solo la metà di quelle nel 2018; le dighe cinesi e laotiane hanno rilasciato solo il 50% della solita quantità di acqua in questo periodo dell’anno. Le dighe idroelettriche lungo il Mekong, come la diga laotiana di Xayaburi del Laos e quella cinese di Jinghong, trattengono l’acqua per produrre e vendere energia. In questo modo aggravando il problema per gli agricoltori e i residenti a valle, che dipendono dal fiume per la propria sopravvivenza. Nel 2020 la pandemia non ha che peggiorato la situazione. «Nulla è più come prima, non c’è più niente di naturale qui», spiega in un reportage del settembre 2019 a Osservatorio Diritti Sukanayaa Intalak, nata e cresciuta nel piccolo villaggio di Baan Duea, nella provincia di Nong Khai, a Nord-Est della Thailandia, sulle rive del fiume Mekong. «È una scommessa ogni giorno, non sappiamo mai se ci sarà troppa acqua o se sarà troppo poca. Non sappiamo mai se le dighe cinesi saranno aperte oggi o domani, ora o più tardi. Quando il livello dell’acqua è troppo alto, come è quando è troppo basso, i nostri pesci muoiono. Se i pesci muoiono, noi non abbiamo nulla da mangiare e nulla da vendere. E così facendo, i nostri figli dovranno trovare un altro posto dove andare a vivere». Secondo il centro nazionale vietnamita per le previsioni idrologiche e meteorologiche, citato dal South China Morning Post, a breve bisogna attendersi un nuovo incremento della siccità lungo le sponde del fiume Mekong meridionale, perché la portata del fiume è inferiore del 20 per cento rispetto ai livelli di 10 anni fa. Questo per diversi motivi: la scarsità di piogge, il crescente consumo dell’acqua degli affluenti e, ovviamente, le dighe cinesi in Laos, Cina e Thailandia che bloccano le acque a monte.
Barche di legno. Delta del Mekong
Ma cosa diavolo è il Mekong? Il Mekong nasce sull’altopiano del Tibet e corre per oltre 4.800 chilometri attraversando la Cina, la Birmania, la Thailandia, il Laos, la Cambogia e il Vietnam, per poi sfociare nel Mar Cinese Meridionale con un delta ampio in territorio vietnamita. Un fiume imponente, il più importante per lunghezza e portata del sud-est asiatico e il settimo più esteso al mondo. Il Mekong vantava la più grande pesca interna del mondo, che rappresentava circa il 25% del pescato globale in acqua dolce. E le oltre 500 specie conosciute di pesci del fiume riuscivano a sostenere una popolazione di 60 milioni di abitanti. Gli agricoltori nel bacino fluviale riuscivano a produrre abbastanza riso per sfamare 300 milioni di persone ogni anno. I livelli idrici nel Basso Mekong, e in particolare dell’area del delta in territorio vietnamita, sono stati registrati a quote mai viste così basse e hanno avuto un impatto devastante sulla pesca e sull’attività agricola. Non solo. Il flusso è diminuito e la portata è drammaticamente calata comportando un aumento preoccupante della salinità delle acque, con la conseguenza che la coltivazione ai bordi del delta del fiume e dei suoi infiniti affluenti sta diventando impraticabile. La salinità eccezionale – pari a quattro grammi per litro – si estende nelle ramificazioni del Mekong per circa 110 chilometri in territorio vietnamita.
Scenario tre. Il Vietnam è uno dei pochi paesi Asiatici che può vantare una fra le maggiori crescite economiche al mondo negli ultimi anni, impressionante fino a pochi anni fa con un tasso di crescita fino al 6,5%, poi l’economia ha subito una notevole flessione, attestandosi al 5,1% nel primo trimestre 2017 e senza sbalzi considerevoli fino al 2020. Dopo aver registrato un tasso di crescita annuale del PIL di circa il 7% negli ultimi cinque anni, la crescita economica dovrebbe rallentare al 2,3% nel 2020. Tuttavia, nonostante questo calo, il Vietnam è una delle poche economie al mondo che quest’anno non sta affrontando una contrazione ma un calo nell’ambito di un graduale rallentamento. A cosa imputare questo rallentamento? Secondo numerosi studi riportati dal Mekongwater.org le dighe cinesi avrebbero contribuito in modo significativo alla grande siccità di questa regione. A tale proposito diventa difficile negare che controllare il flusso del Mekong rappresenti uno strumento assai efficace per esercitare un’influenza geopolitica e geoeconomica nel sud-est asiatico di estrema rilevanza (come riporta documentatamente Giuseppe Gagliano per il Sussidiario nell’agosto del 2019 nel pezzo I piani di Pechino per prendersi Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam). Il Mekong consente infatti al Vietnam di essere il secondo produttore mondiale di caffè e il terzo esportatore di riso. Elemento indispensabile della sua economia. Il Vietnam rappresenta circa il 42% delle terre attrezzate per l’irrigazione del Mekong. La siccità, accentuata dalla politica disfunzionale di rilascio delle acque da parte delle dighe cinesi nell’alto Mekong, sta adesso mettendo in crisi l’equilibrio ecologico-ambientale-economico di tutto il delta del Mekong, dove vivono e lavorano 17 milioni di persone. Cinque province hanno dichiarato formalmente lo stato di emergenza. Ma la Cina non si ferma ancora. La proposta cinese di costruire una diga a Sambor in Cambogia, sempre nel basso Mekong, genererebbe potenzialmente più energia di quella che viene effettivamente utilizzata dalla Cambogia. Tuttavia, l’uso previsto sarebbe volto alla esportazione dell’energia in Vietnam e Thailandia. I rapporti sull’impatto ambientale che la diga avrebbe sono agghiaccianti rispetto ai flussi di pesci migratori. Chi grida al disastro ambientale non sembra ascoltato. La brillante economia del Vietnam deve adesso fare i conti con la sete.
Risi al mercato di Da-Lat. Vietnam centrale
A denunciare, sempre sulle pagine del South China Morning Post, il pesantissimo impatto ambientale delle dighe è anche Nguyen Thien Phap, a capo del dipartimento provinciale per la gestione idrica della provincia di Tien Giang, particolarmente messa in crisi da quest’emergenza. Anno dopo anno sono centinaia di miglia di ettari di risaie e frutteti che vanno distrutti e qualche decina di migliaia di famiglie che rimane senza acqua. Il governo vietnamita ha stimato che nel corso di quest’anno la siccità e la salinità hanno colpito oltre 350mila ettari di risaie e oltre 130mila ettari di frutteti nel delta del Mekong, con 120mila famiglie che patiranno la sete.
Case barche nei torrenti del delta del Mekong
«Ci sono molti bacini fluviali transfrontalieri che ospitano comunità povere e vulnerabili dipendenti dall’agricoltura che ora sono in grave pericolo», ha detto Tiziana Bonapace, funzionaria dell’Unescap, la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia e il Pacifico, alla presentazione del rapporto The Disaster Riskscape Across the Asia-Pacific avvenuta a Bangkok nell’agosto del 2019. Secondo questo rapporto le persone che vivranno lungo il Mekong in condizione di estrema povertà saranno 56 milioni entro il 2030. Il numero sarà più che raddoppiato a 123 milioni se non saranno prevenute le catastrofi naturali. «Esiste una linea sottile tra ciò che è un disastro naturale, un disastro causato dall’uomo e un disastro tecnologico», ha aggiunto riferendosi chiaramente, pur non citandole, al problema che stanno causando le dighe cinesi. Ecco come un’economia in crescita precipita nella povertà. «La costruzione di dighe sul fiume Mekong rappresenta una grave minaccia per gli ecosistemi della regione», scrive Brahma Chellaney, professore di studi strategici presso il Center for Policy Research e Fellow di Nuova Delhi. «A lungo termine – continua l’esperto – la distruzione ambientale non farà vincitori. L’unico modo per evitare un futuro così cupo è porre fine alla costruzione di dighe nel bacino del Mekong, incentrandosi sulla protezione dei diritti di ciascun Paese e sul rispetto dei suoi obblighi, verso la sua gente, i suoi vicini e il pianeta tutto».
Pierluigi Gorgoni
Riferimenti – eprints.rclis.org/7902/1/Patentmatics_June_2005.pdf – cintdis.org/images/PDF/rice-hyv.pdf – www.downtoearth.org.in/coverage/saving-rice-2405 – threeessays.com/books/shadow-space – www.ilsussidiario.net/news/scenari-i-piani-di-pechino-per-prendersi-laos-thailandia-cambogia-e-vietnam/1912713 – www.scmp.com/news/asia/southeast-asia/article/3074064/drought-drives-vietnams-mekong-delta-declare-state – www.khaosodenglish.com/politics/2019/08/22/un-warns-mekong-river-is-a-disaster-hotspot – www.unescap.org/sites/default/files/publications/Asia-Pacific%20Disaster%20Report%202019_full%20version.pdf – www.project-syndicate.org/commentary/china-dams-mekong-basin-exacerbate-drought-by-brahma-chellaney-2019-08?fbclid=IwAR30-OyWruILsriax_yFuT7KKyChr705y6_QhP_Hlp9XGeA-qTCgaf_DFFg&barrier=accesspaylog – www.theguardian.com/environment/2017/sep/24/why-indias-farmers-want-to-conserve-indigenous-heirloom-rice
Per quasi 10 anni tra gli autori della guida I Vini d'Italia de L'Espresso, docente di materie vinose ad ALMA - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana fin dalla sua fondazione, membro del Comitato editoriale e Responsabile delle degustazioni di SpiritodiVino già dal suo primo numero in edicola. Gli piace viaggiare, assaggiare, curiosare, incontrare e soprattutto gli piace raccontare tutto.
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È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a qu (...)
Economista di formazione, si avvicina al giornalismo durante gli anni universitari, con una collaborazione con il quotidiano L'Arena. Da allora (...)
Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Bolognese dentro, grafico di giorno e rapito dal mondo enologico la sera. Per un periodo la sera l'ha condivisa con un'altra passione viscerale (...)
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