Statistiche web
Storie di cantine, uomini e luoghi

I profumi dell’Etna nei vini della famiglia Benanti

Lo stemma della famiglia Benanti

Come Sileno, che restò ebbro per tutta la vita dal vino che gli offrì il suo compagno e allievo Dionisio, anch’io resterò perennemente inebriato dalle autentiche emozioni che solo un territorio come quello dell’Etna è in grado di donare.
Metti delle giornate di fine dicembre, che solo la Sicilia riesce a far profumare di primavera, con temperature miti e i colori vivaci delle arance e dei limoni che arricchiscono la vegetazione.
Metti un vulcano innevato e maestoso che improvvisamente si sveglia, trasudando lava incandescente dalla sua bocca, fra le fresche nevi dicembrine. Metti dei ripidi pendii, dove le viti affondano le radici fra le nerastre terre vulcaniche, e il quadretto romantico assume i tratti di un inno alla bellezza della natura. In questa terra, ricca di storia e cultura, alle pendici del vulcano, in località Viagrande, ha sede un’azienda cui è legato lo sviluppo e la crescita della viticoltura sull’Etna negli ultimi venticinque anni.
Seguendo a ritroso l’albero genealogico della famiglia protagonista di questa zona, arriviamo fino al 1734 quando gli antenati della famiglia Benanti già coltivavano la vite. Da allora si sono succedute le generazioni che hanno portato avanti una tradizione che, se non assumeva ancora i canoni della viticoltura di qualità, tipica dei giorni nostri, rappresentava comunque un’attività importante per il sostentamento delle famiglie.
Arrivando a giorni più recenti, la figura che sicuramente ha dato una svolta decisiva al territorio è stata quella del Cavalier Giuseppe Benanti, che ereditata la professione del padre, che aveva deciso di abbandonare la storia famigliare fatta di viti e vino per fare il farmacista, decide a un certo punto di riprendere il filo di un discorso che si era spezzato, dando nuova luce alla sua azienda e ai vini dell’Etna.
Da un progetto portato avanti assieme a Salvo Foti, al professor Rocco Di Stefano dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti e al professor Jean Siegrist dell’INRA di Beaune, nascono le basi per produrre grandi vini sull’Etna.

Antico vigneto ad alberello

Con la vendemmia 1989 e l’uscita in bottiglia datata 1993 ha ufficialmente inizio la nuova avventura della famiglia Benanti. L’Etna è un territorio eccezionale per fare viticoltura di grande qualità, figlio di una bella regione meridionale come la Sicilia, ma con i connotati climatici che sono tipici delle regioni nordiche, con inverni freddi ed estati che non raggiungono temperature africane e si caratterizzano per una notevole escursione termica fra il giorno e la notte (anche trenta gradi) importantissima per il corredo aromatico delle uve.
I terreni vulcanici ricchi di ferro e rame, sabbiosi ma altamente drenanti e ricchi di scheletro, sono quanto di meglio la natura possa offrire per il sostentamento delle viti. Ad eccezione del versante ovest, con sporadica presenza di viticoltura, nelle altre zone troviamo vigneti che danno risultati diversi a seconda dell’altitudine (che varia dai 400 fino ad arrivare ai 1000 metri).
Il versante Nord, più freddo, regala vini più ruvidi, chiusi, che hanno bisogno di maggior tempo per esprimersi al meglio. Viceversa il versante sud dona maggior calore e quindi vini leggermente più morbidi e alcolici. Il lato est, quello rivolto al mare, porta invece un contributo fatto di maggiore acidità e sapidità.
Ma è quasi riduttivo fare una classificazione delle varie zone, perché ogni vite è parte a se stante, un infinito patrimonio di microclimi che trovano basi sempre diverse su terreni che sono il risultato di continue eruzioni che nei secoli hanno arricchito con micro e macro elementi, sempre diversi, le pendici dell’Etna.

Antico palmento

Oggi in azienda, a dare manforte al padre Giuseppe e alla madre Carmen sono arrivati i giovani gemelli Antonio e Salvino, che dopo essersi laureati a Londra e aver avuto importanti esperienze nel mondo della finanza anglosassone, hanno deciso di far ritorno nella terra natia per portare energia e nuove idee nell’azienda di famiglia e continuare a lavorare per la crescita di tutto il territorio etneo.
Nei quasi 20 ettari vitati a disposizione dell’azienda, in molte zone, le vere protagoniste sono le viti allevate con il sistema ad alberello. Vitigni molto vecchi che non di rado si possono trovare a piede franco, perché in certe zone la filossera ha trovato pane molto duro per i suoi denti. La filosofia è quella di produrre nel massimo rispetto del territorio e delle antiche tradizioni tramandate nei secoli, che fanno di questa zona un territorio unico. Ma quali sono i vitigni protagonisti sulle pendici del vulcano?
Senza voler far torto a qualche tipologia minore, quando si parla di vino sull’Etna, sono il carricante, il nerello mascalese e il nerello cappuccio, i protagonisti quasi assoluti. Queste tipologie sono anche le protagoniste delle circa 100mila bottiglie prodotte dall’azienda. Se si parla di vini bianchi, è il carricante a guadagnarsi la scena assoluta, una tipologia che sviluppa una notevole acidità, soprattutto acido malico, e che necessita di svolgere la malolattica per non creare disarmonie nel bicchiere, ma che è in grado di donare vini di notevole spessore e longevità.
Accanto al Noblesse Brut, spumante metodo classico che sosta circa 24 mesi sui propri lieviti, è sicuramente il Pietramarina Etna Bianco Superiore quello che riesce a esprimere nella sua completezza le peculiarità e le potenzialità del carricante vinificato in purezza (il disciplinare consentirebbe anche una porzione di catarratto). La maturazione in acciaio affina i suoi aromi e nel bicchiere troveremo un mix di mineralità, acidità e sapidità che renderanno unico questo vino.

I terreni vulcanici nei vigneti

Se si parla di vini rossi, allora è il Nerello Mascalese a guadagnarsi la ribalta, ma non è da sottovalutare nemmeno il Nerello Cappuccio che, seppur meno presente e con caratteristiche diverse, riesce a esprimere fedelmente il territorio. Entrambi sono prodotti anche in purezza ma il loro compito principale è quello di unire le forze e dare il meglio di sé nell’Etna Rosso.
La colonna portante è sicuramente il circa 80% di nerello mascalese, con il suo buon corpo, tannini ben rappresentati e la mancanza di particolari antociani, detti acilati, che donano colori non molto intensi. Il nerello cappuccio è una tipologia che vinificata in purezza regala vini colorati ma poco adatti all’invecchiamento, ma che riesce a essere l’ideale compagno di viaggio del nerello mascalese, con il quale s’integra alla perfezione donando vini importanti e molto longevi nel tempo che, dopo la maturazione di più di un anno in barrique di secondo passaggio, sono pronti per andare in bottiglia e deliziare i palati dei tanti appassionati.
Due ottime e diverse rappresentazioni dell’Etna Rosso sono il Serra della Contessa e il Rovittello. Il Rovittello viene prodotto con le uve raccolte dal versante Nord del vulcano, più freddo e per questo in bicchiere ci troveremo un vino con tannini più ruvidi e leggermente chiuso che ha bisogno delle giuste attenzioni per esprimere tutto il suo enorme potenziale.

I vini degustati

Il Serra della Contessa nasce invece sui pendii del più basso cono eruttivo, oggi spento, nel versante sud-est. La zona più calda e uve quindi leggermente più zuccherine si ritrovano nel bicchiere con una maggior morbidezza e tannini meno ruvidi. Non vanno dimenticate le produzioni base, ma non per questo meno intriganti, composte dal Bianco di Caselle, carricante in purezza e il Rosso di Verzella, blend sempre di nerello mascalese e nerello cappuccio.
L’azienda produce anche un eccellente vino da dessert, Il Musico, ottenuto da moscato di Noto.
Sarò forse di parte o non completamente obiettivo, ma amo i territori che non sono scontati, quelli dove il lavoro dell’uomo costa sudore e fatica, dove il vino che finisce nel bicchiere non è il solito piacione, amico di tutti. Preferisco avere pochi amici ma veri e leali, che mi riescano a trasmettere emozioni e che conquistino il mio cuore oltre a stimolare la mia mente. L’Etna e i suoi vini hanno raggiunto quest’obiettivo, grazie a un territorio che ha ricevuto in dote un simile patrimonio naturale e famiglie di produttori, come quella che fa capo a Giuseppe Benanti, che hanno saputo fare vino di qualità senza stravolgere la storia e la cultura di una terra.

DIALOGANDO CON SALVINO BENANTI
…e i preziosi interventi del Cavalier Giuseppe

Salvino e Giuseppe Benanti

Tu e tuo fratello Antonio vi siete laureati a Londra e poi avete lavorato per qualche anno nel mondo della finanza per importanti società e gruppi inglesi. Il ritorno a casa dopo quasi sedici anni, per lavorare in un mondo molto diverso, è stata per voi una scelta di cuore o un atto di responsabilità verso il lavoro e i sacrifici fatti da vostro padre per far rinascere e crescere l’azienda di famiglia?
Penso che sia stata principalmente una scelta di cuore, nata dal desiderio di dare continuità a quello che era stato fatto e possibilmente cercare di migliorarlo con il nostro contributo. Non si è trattato quindi di un atto di responsabilità, di una scelta dovuta, bensì una genuina curiosità e passione per quella che è diventata a tutti gli effetti, l’attività principale della famiglia.

Fate viticoltura sull’Etna con l’obiettivo di far crescere il territorio, valorizzando varietà autoctone come nerello mascalese, nerello cappuccio, minnella e carricante. Com’è la situazione se parliamo di promozione del territorio e dei suoi prodotti?
L’Etna e i suoi vini hanno raggiunto la notorietà che meritano o c’è ancora molto lavoro da fare?

Grazie al lavoro di tante persone che hanno creduto nelle potenzialità del territorio, è stata fatta molta strada. Ma il grosso è ancora da fare. La ricchezza del territorio Etna e delle sue pendici vitate è innegabile. Una terra e un clima eccezionali che permettono, se si lavora bene, di ottenere risultati straordinari. Ma c’è ancora moltissima strada da fare se si vuole sfruttare appieno l’enorme potenziale che la natura ci ha messo a disposizione, e questo è l’obiettivo che ci siamo posti per i prossimi anni.

L'antico palmento

Il sistema ad alberello rappresenta per le viti dell’Etna sicuramente la soluzione migliore per ottenere uve di primissima qualità. Ma si sa che è un sistema non meccanizzabile e quindi costoso che necessita di risorse umane competenti e con notevoli esperienze in tema di territorio. Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate in vigna con le viti ad alberello e non si corre il rischio, in futuro, di veder abbandonato questo patrimonio a causa dei costi elevati di gestione, a favore di sistemi più produttivi e meno esosi?
Il sistema ad alberello rappresenta la storia e la tradizione se si parla di viticoltura etnea, vitigni antichissimi, molti a piede franco, con tutori in legno di castagno etneo e potatura corta. Non abbiamo nessun interesse ad abbandonare le viti ad alberello che sono quanto di meglio si possa avere per ottenere risultati eccezionali sulle pendici dell’Etna.
Se si vogliono produrre dei vini rappresentativi per il territorio, non si deve scendere a compromessi scegliendo sistemi che producano di più e siano meno costosi in termini di gestione. Il costo della manodopera è un argomento che merita il massimo rispetto e chi lavora le viti sull’Etna, è parte integrante di un mosaico dove ogni pezzo è importante. Certo ci sono anche produttori che se esistesse il “tendone multipiano”, a voler usare un termine scherzoso, non si farebbero scrupoli a usarlo in nome della quantità del prodotto. La nostra azienda ha puntato sui vini di qualità e per fare questo produciamo poco per pianta. Questa è l’unica strada da percorrere per produrre vini che rappresentino davvero il territorio.

La Serra della Contessa

La zona DOC Etna rappresenta, indiscutibilmente, la locomotiva del sistema vino della Sicilia, o alle volte c’è il rischio che subisca l’effetto opposto e cioè che la vostra zona sia penalizzata da una realtà produttiva, come quella della DOC Sicilia, molto ampia e variegata, dentro alla quale si possono trovare tanti bravi produttori ma anche realtà che puntano solo ai numeri e al profitto?
Inutile negare che l’unico modo per valorizzare appieno il nostro territorio è quello di differenziarci dalle produzioni che vengono fatte nel resto della Sicilia. Non possiamo accettare una DOC generica che accomuni tutti e appiattisca le tipicità. L’Etna è completamente diverso per tipologia dei terreni, clima, metodi di produzione, storia, dal resto dell’isola. Dobbiamo assolutamente evitare di essere accomunati con delle zone che producono vini totalmente diversi con prezzi bassi, giustificati dalle enormi differenze che ci sono in termini di costi di lavoro e gestione. Ovviamente anche all’interno di una DOC, come può essere quella dell’Etna, è sempre il produttore e il suo marchio identificativo che rappresentano in maniera univoca la tipicità e qualità di un vino e sono un punto di riferimento per il consumatore.

L’Etna è il vulcano attivo più alto ed esteso d’Europa, visto da sempre dall’uomo etneo, non come fonte di distruzione e preoccupazione, ma piuttosto come sorgente di vita e di ricchezza. Qual è il tuo personale rapporto con “a muntagna”, nome con il quale da queste parti chiamate il vulcano?
E’ una presenza importantissima, che fa parte della nostra vita. Ci viviamo sopra e dalla nascita accompagna ogni momento e ogni gesto delle nostre giornate. Non abbiamo paura perché è fonte di ricchezza. Le sue continue eruzioni forniscono minerali e nutrimenti fondamentali per le viti. E’ un simbolo senza il quale non potremo stare, a tal punto che quando siamo lontani da casa, sentiamo la mancanza della sua imponente presenza.

Salvino Benanti e Oscar

Come si riescono a comunicare al consumatore le innumerevoli differenze che ci sono fra i vari vini, frutto di annate diverse e terreni e microclimi che variano a seconda del versante e dell’altitudine, e che portano a degustare dei vini che, pur provenienti dallo stesso vitigno, sono molto differenti fra loro?
La via dell’assaggio e della degustazione è l’unica soluzione possibile. Il vino si spiega da solo, ma è importante promuovere nelle fiere, nelle varie manifestazioni, l’assaggio di vini provenienti da varie altitudini e da diversi versanti del vulcano. I nostri clienti devono incoraggiare l’assaggio del vino al bicchiere, nelle enoteche e nei ristoranti. In questo modo si crea una curiosità e un interesse che aiutano a promuovere il vino e fanno conoscere il territorio.

Ho letto un’affermazione in cui tuo padre diceva: “C’è chi fa vini dell’Etna sull’Etna e c’è chi fa solo vino sull’Etna. Io appartengo alla prima categoria”. Per voi è quindi fondamentale fare vini che raccontino la vostra terra. Ma i tanti produttori che lavorano in questa zona, hanno capito quanto sia importante lavorare in un certo modo, puntando sulle varietà autoctone, senza scendere a compromessi, per ottenere un risultato comune che è quello di far conoscere i vini dell’Etna in tutto il mondo?
Solo un ristretto numero di cantine l’ha capito. Ci sono una dozzina di aziende, di alto livello, che con il loro lavoro permettono di promuovere i vini e il territorio etneo. Quando si è iniziato a capire che sull’Etna si potevano produrre dei grandi vini, c’è stata una corsa, che io definirei con una battuta: “Piatto ricco e allora mi ci ficco”. Ma sarebbe tragico se venissero meno l’amore per il territorio e la sua storia e si riducesse tutto a una sorta di business da cogliere al volo. Non bisogna fare diventare l’Etna come altre zone della Sicilia dove si potevano ottenere dei risultati qualitativi eccellenti e poi invece si sono iniziati a produrre dei vini di massa che privilegiavano la quantità. Il caso del Nero d’Avola potrebbe essere preso ad esempio.

Vecchia vite ad alberello

La storia degli ultimi venticinque anni, se si parla di viticoltura dell’Etna e dell’azienda Benanti, trova un denominatore comune in Salvo Foti. Quanto importante è stata per voi la figura di un personaggio che è stato sicuramente uno dei maggiori protagonisti del rilancio dei vini dell’Etna?
Credo che la domanda dovrebbe essere girata a Salvo Foti, per chiedergli quanto importante sia stato per lui incontrare e lavorare per l’azienda Benanti, e quanto della sua affermazione professionale e di conseguenza dell’intero movimento dei vini dell’Etna, sia dovuta al rapporto lavorativo che ha avuto con la nostra azienda. Il progetto di fare dei grandi vini sull’Etna è nato da una collaborazione e da lunghi studi effettuati da mio padre Giuseppe che assieme a Salvo Foti, il prof. Rocco Di Stefano dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti e il prof. Jean Siegrist dell’INRA di Beaune, hanno portato a termine un’importante ricerca tecnico-scientifica sulle potenzialità vitivinicole dell’Etna.
Da questi studi sono nati il “Pietramarina” e il “Rovittello”. Salvo non ha seguito in esclusiva la nostra azienda, e a un certo punto le nostre strade si sono separate. Ma si è trattata sicuramente di un rapporto che ha permesso una crescita reciproca.

Il fumo esce dalle bocche dell'Etna

Salvo Foti rappresenta oramai il passato. Avete deciso di puntare per il futuro su un giovane enologo, Michele Bean, friulano e quindi proveniente dall’estremo opposto del nostro stivale. La prerogativa è sempre la stessa: fare vini che rappresentino il territorio. Ma come mai avete puntato su un enologo, che pur avendo già lavorato da queste parti, non è propriamente autoctono?
Parto con il dire che da 15 anni lavora con noi un bravissimo enotecnico, Enzo Calì, che conosce la terra del vulcano come le proprie tasche ed è il nostro punto di riferimento in cantina. Con Michele Bean è nato un rapporto di consulenza e le sue varie esperienze nel mondo del vino ci hanno arricchito e portato nuove idee. Il suo è un lavoro complementare in una squadra di bravi professionisti dove ognuno contribuisce a far crescere i vini dell’azienda. Michele Bean, da persona intelligente qual è, porta il suo contributo senza stravolgere quelle che sono le prerogative che devono avere i vini dell’Etna.

Tu e tuo fratello Antonio siete il nuovo che avanza, le giovani risorse protagoniste del presente ma soprattutto del futuro prossimo. Cosa pensi che, menti giovani come le vostre, saranno in grado di portare alla vostra terra, in termini d’idee e innovazione, e soprattutto c’è un movimento locale di nuove leve che è attratto dalla viticoltura e garantirà un ricambio generazionale sulle pendici dell’Etna?
Secondo me la generazione attuale può portare un maggior spirito collaborativo, una migliore organizzazione e una visione del futuro illimitata. C’è già un gruppo di ragazzi, validi produttori, ma anche ristoratori, che sono parte attiva nel territorio e riescono a trasmettere e comunicare le proprie esperienze ed emozioni a chi si avvicina ai vini dell’Etna. Ovviamente è importante trasmettere sempre valori come l’identità filosofica della famiglia e il rispetto delle tradizioni.

Le botti e il carretto siciliano

L’Etna è da sempre, per la gente della Sicilia Orientale, un punto di riferimento. Una presenza maestosa, fisica, psicologica. Gli anziani agricoltori, rivolgendo lo sguardo alla sommità del vulcano, traevano premonizioni, auspici, e previsioni climatiche. In questo fine d’anno, il vulcano si è risvegliato per l’ennesima volta. Quali messaggi pensi possa mandarci per il futuro e quali sono le tue aspettative e speranze per il nuovo anno che sta arrivando?
L’Etna trasmette messaggi di energia e vitalità che vorremmo assorbire e fare nostri. La mia speranza è che i vini dell’Etna possano crescere ulteriormente e ottenere la definitiva consacrazione nei mercati internazionali ma soprattutto in quelli nazionali dove non ottengono ancora il successo che meritano.
Noi confidiamo che la nostra “montagna ” sia ancora fonte di ricchezza e non di distruzione, poiché l’ultima eruzione distruttiva risale al 1669. Se l’Etna erutta ed emette lava e cenere, si sfoga, ed è meno probabile che faccia grossi danni ed è sicuramente più sicuro per noi tutti che ci viviamo attorno. L’eruzione rappresenta un momento di vitalità per noi ma anche per i turisti e viaggiatori che vivono un momento di grande e irripetibile emozione.

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

Articoli Correlati

Check Also
Chiudi
Pulsante per tornare all'inizio