Fino all’ultimo pesce
Con inaudita rapidità i mari si stanno inesorabilmente spopolando e i figli dei nostri figli potrebbero non trovarvi più alcuna forma di vita.
Il pesce fa bene! Si dice, così.
Un antico detto canadese ci insegna che in certi fiordi i merluzzi nel periodo della riproduzione sono così tanti che in quei giorni si potrebbe addirittura camminare a piedi sul mare.
Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.
Sandro Penna, Il mare è tutto azzurro
Non è più così.
Nel novembre del 2006 anticipata da un articolo di lancio del National Geographic, la rivista Science pubblicò una ricerca del professor Boris Worm, assistente professore di biologia della conservazione marina presso la Dalhousie University di Halifax, in Canada. Si scriveva che “a meno che gli esseri umani non agiscano rapidamente, la vita nei mari potrebbe scomparire entro il 2048“. Secondo lo studio, la perdita di biodiversità oceanica aveva avuto un’accelerazione assai più che allarmante negli ultimi decenni e quasi il 30% delle specie ittiche consumate dagli esseri umani si era già sostanzialmente esaurita.
Si arrivava alla conclusione che se non ridurremo drasticamente i livelli di pesca e di inquinamento attuali, nei prossimi anni ogni specie di pesci e di organismi marini potrebbe estinguersi una dopo l’altra.
Tra queste specie, in questo momento, le più vulnerabili sono quelle più grandi per dimensioni. Gli scienziati evidenziano che i pesci di dimensioni maggiori sono più vulnerabili a minacce come la pesca eccessiva, perché crescono più lentamente e quindi trovano maggiori difficoltà a raggiungere l’età in cui possono riprodursi.
Non a caso, le specie più a rischio di estinzione sono proprio: lo squalo bianco, lo squalo mako, lo squalo angelo, la verdesca, la cernia, il tonno rosso e il pesce spada.
Oltre il 30% delle specie di pesci cartilaginei – squali e razze – è minacciato e ben 39 delle 73 specie fortemente a rischio lo sono nel Mar Mediterraneo.
Fin dalla metà degli anni ’80 i pesci cartilaginei hanno subito una forte pressione di pesca che nel Mar Mediterraneo avviene per la maggior parte per cattura accidentale con attrezzature di pesca quali le reti a strascico e i palangari.
I dati raccolti nel 2018 dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli attestano che l’88% dei pescatori intervistati pesca regolarmente squali, nella maggior parte ancora vivi (75%).
La principale minaccia per i pesci è il prelievo eccessivo, sia diretto per le specie che costituiscono oggetto specifico di certi tipi di pesca, sia indiretto per le specie che sono catturate in modo accessorio o accidentale dagli attrezzi usati per la pesca di altre specie ittiche (bycatch). Seguono, in ordine di importanza, lo sviluppo urbano delle aree costiere e l’aumento dell’inquinamento delle acque costiere che esso comporta. Altra minaccia di rilievo è rappresentata dalle modificazioni degli habitat e delle dinamiche ambientali in generale, dovute al cambiamento climatico.
Secondo la Fao, nel 2018 la produzione mondiale di pesce ha raggiunto i 179 milioni di tonnellate, quasi equamente divise tra quelle derivate dalla pesca e quelle derivate dall’acquacoltura.
Al Simposio internazionale sulla Sostenibilità della Pesca nel novembre scorso, a Roma, il direttore generale della Fao Qu Dongyu ha dichiarato che, siccome i prodotti della terra non sono più sufficienti per sfamare l’umanità, dobbiamo rivolgerci alle risorse acquatiche. Ma dobbiamo farlo con un approccio molto diverso da quello di oggi.
Il settore della pesca e dell’acquacoltura si è notevolmente ampliato negli ultimi decenni e la produzione, il commercio e il consumo totali hanno raggiunto livelli record nel 2018. È un triste primato, di fatto. Perché, dall’inizio degli anni ’90, la maggior parte della crescita della produzione del settore nel suo complesso proviene dall’acquacoltura, mentre la produzione della pesca di cattura è stata relativamente stabile, con una crescita contenuta ed essenzialmente riguardante la cattura nell’entroterra.
L’aumento della produzione mondiale di pesca di cattura dal 1990 al 2018 si attesta al +14%.
L’aumento della produzione dell’acquacoltura globale dal 1990 al 2018 è invece del + 527%!!!
Non corrispondente all’aumento del consumo totale di pesce alimentare dal 1990 al 2018 che è del + 122%.
Qui è la lotta con se stesso del mare
che nelle cale livide si torce
si svelle dalla sua continuità,
s’innalza, manda un fremito e ricade.
Il mare, sai, mi associa al suo tormento,
il mare viene, volge in fuga, viene,
coniuga tempo e spazio in questa voce
che soffre e prega rotta alle scogliere.
Mario Luzi, Onde
La maggior parte delle riserve marine è al limite della sostenibilità, ma un terzo di esse è già sfruttato ai limiti massimi. Poi, gli scarichi di centinaia di città costiere, la perdita di habitat naturali, il disturbo umano assordante ed inquinante di yacht e di motoscafi. Il risultato è che più dell’80 per cento delle riserve di pesce è svanito. Il che fa male all’ambiente ma fa male anche ai pescatori che vedono la loro raccolta diminuire ad una velocità mai vista. E fa malissimo alle popolazioni del sud del mondo, che si devono al pesce un quarto delle loro proteine animali. Oggi le specie in pericolo nelle acque del pianeta sono quasi 1.700: 1.141 considerate vulnerabili, 486 in pericolo e 60 già estinte secondo la Lista Rossa stilata dall’International Union for Conservation of Nature (Iucn), network di organizzazioni per la difesa dell’ambiente. E in grande pericolo è anche il mare Mediterraneo, considerato un gioiello di biodiversità con circa il 7 per cento delle specie marine sul totale mondiale, animali tipici dei climi temperati così come specie tipicamente tropicali.
Negli ultimi 50 anni il Mediterraneo avrebbe perso il 41% dei mammiferi marini e il 34% della fauna ittica totale. Il “Joint Research Centre” (JRC) della Commissione europea che aveva condotto l’indagine, ha concluso che il 93% degli stock ittici valutati nel Mediterraneo sono eccessivamente sfruttati.
Attiva da oltre 50 anni, la Lista Rossa IUCN è il più completo inventario del rischio di estinzione delle specie a livello globale. Inizialmente la Lista Rossa IUCN raccoglieva le valutazioni soggettive del livello di rischio di estinzione secondo i principali esperti delle diverse specie. Dal 1994 le valutazioni sono basate su un sistema di categorie e criteri quantitativi e scientificamente rigorosi.
Sulla base delle osservazioni IUCN, le specie oggi maggiormente a rischio sono: l’anguilla (secondo l’IUCN “in pericolo critico – CR”), la cernia (secondo l’IUCN “in pericolo – EN”), il nasello o merluzzo (secondo l’IUCN “quasi minacciato – NT”), l’ombrina boccadoro (secondo l’IUCN “in pericolo critico – CR”), il palombo (secondo l’IUCN “in pericolo – EN”), il pesce spada (secondo l’IUCN “quasi minacciato – NT”), il rombo chiodato (secondo l’IUCN “in pericolo – EN”), lo sgombro (secondo l’IUCN “vulnerabile – VU”), il tonno rosso (secondo l’IUCN “quasi minacciato – NT”).
Tra le suddette specie, quelle maggiormente a rischio sono l’anguilla, la cernia, l’ombrina boccadoro, il palombo e il rombo chiodato. Molte di queste specie sono ancora molto diffuse in commercio, nonostante il loro rischio estinzione.
Il consumo di pesce è praticamente raddoppiato negli ultimi 30 anni, e i pescatori cercano di tenergli dietro, per lo più senza violare le leggi ma spolpando i mari: sistemi industriali per la pesca che non tengono in considerazione i costi ambientali e sociali, incremento del potere d’acquisto nei paesi emergenti che permette un più ampio accesso a quest’alimento. Così il settore si è trasformato in una colossale industria che, sebbene non conti più di qualche migliaio di navi, è in grado di modificare radicalmente l’equilibrio naturale degli ecosistemi marini, privando la natura della capacità di rinnovare le proprie risorse.
La pesca industriale, cioè?
L’industria del pesce usa grandi pescherecci che gettano in acqua enormi reti, trascinandole per molti chilometri sui fondali.
Alcune imbarcazioni sono vere e proprie fabbriche che utilizzano sonar, aerei e piattaforme satellitari per individuare i banchi, su cui si calano poi con reti lunghe parecchie chilometri o lenze dotate di migliaia di ami. A bordo gli uomini sono poi in grado di trattare tonnellate di pescato, congelarlo e imballarlo. Le imbarcazioni più grandi, che arrivano a 170 metri di lunghezza, hanno una capacità di stoccaggio equivalente a diversi Boeing 747. Le navi più grosse sono quelle della flotta della Russia e dell’Ucraina, quelle che navigano sotto bandiere ombra come Belize o Panama.
Buona parte dei pesci catturati con le reti non saranno poi considerati vendibili perché non appartenenti a specie commercialmente di valore e verranno gettati via (si stima che 1/3 dei pesci pescati al mondo viene in seguito considerata scarto).
Il numero di animali uccisi quotidianamente da questa attività è incalcolabile, così come i danni arrecati all’ecosistema marino.
Je connais des bateaux qui restent dans le port
de peur que les courants les entrainent trop fort.
Je connais des bateaux qui rouillent dans le port
a ne jamais risquer une voile au dehors.
Je connais des bateaux qui oubliant de partir
ils ont peur de la mer a force de vieillir,
et les vagues, jamais, ne les ont separes,
leur voyage est fini avant de commencer.
Conosco delle barche che restano nel porto per la paura
che le correnti le trascinino via con troppa forza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela aperta.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Jacques Brel, Je connais des bateaux
E l’acquacoltura cos’è?
Il termine “coltura” viene solitamente usato per le specie vegetali, questo nome attribuito agli allevamenti intensivi di pesci dimostra quanto poco siano considerati questi animali. Quasi il 50% del pesce consumato oggi proviene da qui. Dietro alla loro creazione c’è la devastazione dei mari, che a causa dell’inquinamento e di una pesca intensiva si sono ridotti a luoghi mortiferi, e spopolati.
I pesci allevati nelle acquafattorie vengono tenuti in vasca o rinchiusi in rigide reti in mezzo al mare. Sistemi controllati regolano l’afflusso di cibo, luce e il ricambio delle acque. Farmaci, ormoni e le tecniche dell’ingegneria genetica vengono utilizzati per accelerare la crescita, evitare infezioni e modificare il comportamento riproduttivo degli esemplari. Moltissimi animali sono costretti in spazi ridotti, questo provoca sofferenza e stravolge il comportamento naturale e l’istinto dei pesci. Si alleva pesce geneticamente modificato, il più delle volte al di fuori di ogni controllo. A oggi non esistono informazioni sulle conseguenze di queste pratiche sulla salute umana.
La composizione dell’alimentazione dei pesci d’allevamento non è scritta da nessuna parte che l’acquirente possa leggere al momento dell’acquisto. Il rapido progresso dell’acquacoltura intensiva per le specie ad alto valore commerciale dirette all’esportazione, come il salmone e i gamberetti, ha già provocato un degrado spaventoso dell’ambiente. Gli allevamenti intensivi rilasciano nell’ambiente naturale intorno ai siti quantità enormi di rifiuti organici (materie fecali) e acque tossiche.
Divorati vivi dai parassiti, imbottiti di medicinali e ammassati in condizioni da inscatolamento, molto spesso sono inaccettabili le condizioni entro cui si allevano i pesci. Ad esempio, delle circa 65 mila tonnellate di orate e branzini importate in Italia nel solo 2016, quasi 40 mila arrivavano dagli allevamenti greci, con un prezzo di circa la metà rispetto a quelli allevati nel nostro Paese. Si tratta per lo più di stabilimenti sovraffollati. Ma non è soltanto questione di spazi ristretti. L’acquacoltura impiega tonnellate di antibiotici, alghicidi, erbicidi, disinfettanti e insetticidi. E persino antidepressivi, per evitare che i pesci depressi smettano di mangiare e si lascino morire (secondo una testimonianza che ci arriva dalla Norvegia). Gran parte dell’acquacoltura consiste nell’ingrassare pesci carnivori come il salmone e il tonno. È chiaro che dal punto di vista commerciale l’operazione è interessante, dato che il pesce di allevamento spunta prezzi molto più elevati dei pesci che sono serviti per nutrirlo, nonostante anch’essi (sardine, sgombri o aringhe) siano commestibili per l’uomo.
Alla fin fine in quest’operazione si utilizza molta più carne di pesce di quanta non se ne produca e la pressione sugli stock di pesce libero non diminuisce. L’acquacoltura, vista in questa prospettiva, non può dunque essere l’alternativa alla pesca, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove pochissime persone possono permettersi prodotti quali il salmone affumicato o un pasto in sushi bar a base di sashimi di tonno.
Gli allevamenti in mare finiscono però per contaminare anche i pesci liberi, che assorbono le sostanze e ne subiscono le conseguenze.
L’acquacoltura non diminuisce la pressione esercitata sulle specie libere. Così com’è praticata oggi, in molti casi, addirittura l’aumenta.
Negli allevamenti intensivi c’è una tale concentrazione di animali, che è facile per parassiti e malattie proliferare. Le specie allevate, selezionate per la loro resistenza, superano questi problemi spesso grazie a un uso intensivo di antibiotici e vaccini, ma nell’ambiente naturale attiguo le specie locali, libere, sono colpite in pieno. Uno studio recente ha dimostrato che un solo allevamento di salmoni della Colombia Britannica (Canada) genera, nell’ambiente, un tasso di pidocchi di mare 33.000 volte superiore al tasso normale, provocando delle infezioni mortali in un raggio di 70 km.
Inoltre, negli allevamenti si fa uso massiccio di fosforo – di cui la Norvegia da sola sversa 9mila tonnellate all’anno in mare (come ci riporta il bel testo “Il destino del cibo” di Agnese Codignola, edito da Feltrinelli), accelerando la crescita delle alghe eutrofizzanti – e di rame. Il rame altamente tossico per l’ecosistema acquatico, ha visto il suo utilizzo raddoppiare negli ultimi dieci anni e per l’85% viene disperso proprio in mare. Ma le sostanze pericolose non finiscono qui: secondo una ricerca pubblicata su Nature, gli abitanti di 66 Paesi mangiano pesce nel quale la concentrazione di mercurio – prodotto da attività umane e naturali e accumulato nei mari – è considerevole. I pesci sono la fonte predominante di esposizione umana al metilmercurio (MeHg), una potente sostanza neurotossica. Negli Stati Uniti, l’82% dell’esposizione al MeHg deriva dal consumo di pescato e quasi il 40% proviene dal solo tonno fresco e in scatola. Circa l’80% del mercurio inorganico (Hg) emesso nell’atmosfera da fonti naturali e umane viene depositato nell’oceano, dove una parte viene convertita dai microrganismi in MeHg. Nei pesci predatori, le concentrazioni ambientali di MeHg sono amplificate di un milione di volte o più.
Il pesce non fa sempre bene.
Et d’une chanson d’amour
La mer
À bercé mon cœur pour la vie
Charles Trenet, La mer
Che fare?
Lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura (come in rare situazioni certificate) e un’efficace gestione della pesca sarebbero fondamentali per mantenere un livello di guardia alto e preservare i mari. Ma ci si può riuscire?
Le politiche governative non sempre sono proiettate al buon senso. Troppo spesso privilegiano lo squallido profitto contingente senza comprendere la portata delle conseguenze in gioco. Il mare.
A ognuno di noi, come consumatore finale, spetta allora un ruolo di determinante responsabilità, approvvigionarsi di pesce sostenibile del Mediterraneo è ancora possibile, ma occorre prestare maggiore attenzione alle scelte che si fanno.
Bisogna prediligere specie meno comuni, di provenienza locale, pescate dalla piccola pesca artigianale.
Bisogna fare attenzione ad acquistare pesce adulto (rispettare le taglie minime) che ha quindi già avuto il tempo di riprodursi.
Bisogna leggere sempre l’etichetta recante le indicazioni di provenienza e metodo di cattura, previste per legge e, quando disponibile, bisogna scegliere pesce con certificazione di pesca o acquacoltura sostenibile.
Per promuovere un sistema di pesca sostenibile portato avanti da piccoli gruppi di pescatori e valorizzare le specialità gastronomiche quasi dimenticate, Slow Food ha creato i presìdi dedicati ai prodotti ittici. Oasi che coniugano la tradizione gastronomica locale, lo sfruttamento selettivo che non uccide altre specie e i ritmi di riproduzione naturali.
Il Wwf, da parte sua, ha una pagina internet assolutamente da consultare (pescesostenibile.wwf.it) in cui specifica, per ogni specie marina considerata, i livelli di rischio, la zona di provenienza da privilegiare, altre fondamentali e indispensabili premure.
Vi scoprirete che anche alcune specie di merluzzo (quello alla base del baccalà, ad esempio) in particolari aree dei mari nord sono a serio rischio d’estinzione.
Altro che camminarci sopra.
Pierluigi Gorgoni
Riferimenti
– The State of World Fisheries and Aquaculture 2020
– GLI ALLEVAMENTI INTENSIVI DI PESCE SONO PEGGIORI DI QUELLI DI CARNE, MA CONTINUIAMO A MANGIARE SUSHI
– LISTA ROSSA dei Pesci Ossei Marini Italiani
Butchart, S. H. M., H. R. Akçakaya, J. Chanson, J. E. M. Baillie, B. Collen, S. Quader, W. R. Turner, R. Amin, S. N. Stuart, & C. Hilton-Taylor. 2007. Improvements to the Red List Index. PLoS One 2:e140. Coll, M., C. Piroddi, J. Steenbeek, K. Kaschner, F. Ben Rais Lasram et al. 2010. The Biodiversity of the Mediterranean Sea: Estimates, Patterns, and Threats. PLoS ONE 5(8):e11842. IUCN. 2001. IUCN Red List Categories and Criteria: Version 3.1. IUCN Species Survival Commission. IUCN, Gland, Switzerland and Cambridge, UK. IUCN. 2012. Guidelines for Application of IUCN Red List Criteria at Regional and National Levels: Version 4.0. IUCN, Gland, Switzerland and Cambridge, UK. IUCN. 2015. Guidelines for Using the IUCN Red List Categories and Criteria. Version 12. Prepared by the Standards and Petitions Subcommittee. IUCN, Gland, Switzerland and Cambridge, UK. Relini, G., & L. Lanteri. 2010 – Osteichthyes. Biol. Mar. Mediterr. 17 (Suppl. 1): 649-674. Rondinini, C., A. Battistoni, V. Peronace, & C. Teofili (compilatori). 2013. Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani. Comitato Italiano IUCN e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma Salvati, E., M. Bo, C. Rondinini, A. Battistoni, & C. Teofili (compilatori). 2014. Lista Rossa IUCN dei coralli Italiani. Comitato Italiano IUCN e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma. Tunesi, L., G. Casazza, M. Dalù, G. Giorgi, & C. Silvestri. 2013. The implementation of the Marine Strategy Framework directive in Italy: Knowledge to support the management. Biol. Mar. Mediterr. 20(1):35-52.
– Seafood May Be Gone by 2048, Study Says
– Squali e razze a rischio estinzione nel Mediterraneo
– Pesci in barile
– Orate e branzini, cosa accade negli allevamenti intensivi in Grecia: «Da qui metà del pesce che mangiamo»
– Har tjent 181 millioner på laksedop
– Climate change and overfishing increase neurotoxicant in marine predators