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“Espressione Barbaresco”, anteprima dell’annata 2016 al Castello di Neive

fotografie di Danila Atzeni

Con il cielo terso si può vedere distintamente il Monviso
Con il cielo terso si può vedere distintamente il Monviso

“Espressione Barbaresco”, significativo il sottotitolo “tutte le sfumature del Barbaresco DOCG 2016”, è stata una rassegna dedicata al celebre vino langarolo tenutasi il 28 e 29 aprile in una location di tutto rispetto, il celebre Castello di Neive, uno dei più belli a mio avviso di tutte le Langhe.

Ingresso all'evento
Ingresso all’evento

L’organizzazione dell’evento è stata curata egregiamente dall’Enoteca Regionale del Barbaresco e dai tanti collaboratori guidati da Jole Dellapiana, Francesco Versio e Gabriele Occhetti, che anzitempo mi hanno invitato a presenziare, devo ammettere che sin dal principio sono riusciti a trasmettere il giusto spirito dell’iniziativa.

Kerin O'Keefe
Kerin O’Keefe

Due le giornate previste, la prima dedicata alla stampa di settore, in cui il Barbaresco DOCG 2016 si è presentato al mondo degli esperti di vino: giornalisti, autori, scrittori, in compagnia di un ospite d’eccezione, la giornalista e scrittrice enologica statunitense Kerin O’Keefe, redattrice italiana di WineEnthusiast e autrice del best-selling “Barolo and Barbaresco – The King and Queen of Italian wine”, eletta per l’occasione madrina della rassegna con un titolo molto particolare: “The Voice of Barbaresco – vintage 2016”. La scrittrice statunitense ha condotto un’interessante masterclass a cui ho preso parte nella mattina del 29 aprile, riservata alla stampa italiana e internazionale, l’obiettivo era far conoscere e degustare 18 etichette di Barbaresco 2016 di altrettante aziende vitivinicole.

I vigneti dal Castello di Neive
I vigneti dal Castello di Neive

Il press tour a cui ho preso parte è proseguito con la visita guidata al Castello di Neive, per l’occorrenza l’ingegnere Italo Stupino, patron di casa, ha aperto le porte dello stupendo edificio, ricostruito all’inizio del 1700 dall’avvocato Manfredo Bongioanni, Conte di Castelborgo, su fondazioni risalenti al 1500/1600. Inoltre il tour delle MGA, condotto da Giancarlo Montaldo, giornalista ed esperto di vino, ci ha permesso di esplorare per quasi tre ore la maggior parte dei cru di tutta l’area vitivinicola di Barbaresco, che comprende per intero anche i comuni di Neive, Treiso e una frazione del comune d’Alba denominata San Rocco Seno d’Elvio, nella sola parte destra del torrente Seno d’Elvio.

Scorci dal Castello di Neive
Scorci dal Castello di Neive

Scorci tra i più affascinanti dell’intero comprensorio langarolo, dove lo sguardo si perde tra gli anfiteatri naturali che compongono veri e propri cru quali ad esempio: Martinenga, Montestefano, Gallina, Rombone, Cole, Cavanna, Cottà, Currà, Faset, Fausoni, le erte a strapiombo di San Cristoforo, dei Rizzi o della Cavanna; di grande spettacolarità e suggestione la voragine ad anfiteatro denominata Rocche dei Sette Fratelli, in località Canta; ma questi non sono che il 30% dei vigneti visitati.

Un infernotto nel Castello di Neive
Un infernotto nel Castello di Neive

La giornata fortunatamente è stata baciata dal sole dal primo all’ultimo minuto, i vigneti, le montagne e la natura circostante hanno mostrato colori a dir poco surreali, di una bellezza sfolgorante. La seconda giornata della rassegna si è svolta lunedì 29 aprile, sempre nei locali della cantina storica del castello, con una passerella che ha visto protagonisti ben 68 produttori che hanno interagito in prima persona con operatori di settore, giornalisti, amanti del vino, in una giornata di degustazione che ha mostrato realmente tutte le sfumature del Barbaresco DOCG nelle diverse annate proposte.

Etichette storiche del Castello di Neive
Etichette storiche del Castello di Neive

Le origini di questo nobile vino piemontese si perdono nella memoria di un passato alquanto remoto. Molti narrano che i Galli giunsero in Italia perché attratti dal vino di “Barbaritium”, altri asseriscono che il Barbaresco debba il suo nome alle popolazioni barbare, responsabili della caduta dell’Impero romano. Come spesso accade, nella storia del vino, furono proprio i romani a denominare la zona, in questo caso la chiamarono “barbarica silva”, perché ai tempi fitta di boschi e foreste impenetrabili, da questa espressione deriva l’antico nome “Barbaritium”, oggi Barbaresco. Un altro protagonista indiscusso del territorio fu il Prof. Domizio Cavazza, primo preside della Regia Scuola Enologica di Alba, che nella seconda metà dell’Ottocento divulgò la qualità del vino di Barbaresco nello stesso periodo in cui Cavour, i Savoia e la Marchesa Falletti attribuirono, al nebbiolo coltivato dall’altra parte della città di Alba, il nome Barolo. Da allora l’eterna rivalità con il fratello di Langa, sempre esigendo ferree regole di tutela, a tal proposito nel 1934 nacque un vero e proprio Consorzio e nel 1966 Barbaresco divenne una delle prime DOC italiane, successivamente, nel 1980, anche una delle prime DOCG. Ottenuto dal celebre vitigno autoctono nebbiolo, prevalentemente da cloni Lampia e Michet, la percentuale di quest’uva dev’essere pari al 100 %, deve invecchiare almeno due anni di cui uno in legno di rovere, dopo quattro può definirsi “Riserva”.

Masterclass "Espressione Barbaresco"
Masterclass “Espressione Barbaresco”

L’Enoteca Regionale del Barbaresco, in collaborazione con lo Studio Enogea, la Provincia di Cuneo ed il Consorzio, a seguito della legge del Parlamento Italiano emanata nel 2007, ha provveduto a delimitare i confini delle zone che utilizzano le Menzioni Geografiche Aggiuntive, ben 66, il primo vino italiano a fregiarsi di tale onore, una sorta di veri e propri cru del Barbaresco DOCG. Distinti nelle aree sancite dal disciplinare, ma senza una graduatoria data dal pregio del vino, come accade in Francia da secoli, solo un semplice indicatore relativo a posizioni collinari migliori o semplicemente un omaggio al nome dei vigneti, delle cascine o delle località. In egual modo ad altre aree vitivinicole piemontesi, anche il comprensorio di Barbaresco, e di conseguenza le persone dell’epoca, non rimasero indifferenti all’improvvisa industrializzazione italiana che svuotò le cascine e spinse i giovani verso le grandi città di Torino e Milano, sicuri del successo economico.

Vigneti di Barbaresco
Vigneti di Barbaresco

Contrariamente ad esempio all’Alto Piemonte il boom scoppiò anche nei campi, un po’ in tutte le Langhe, ed infatti a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta il mestiere del vignaiolo non fu più associato solo alla fatica ed al rischio d’impresa, ma anche e soprattutto alla soddisfazione personale, al successo, il prezzo di una bottiglia acquisì il suo giusto valore e le attività annesse divennero prestigiose e profittevoli, tanto da attirare gli eredi dei contadini a tornare in vigna, gli stessi che inizialmente snobbarono le attività agricole, perché sicuri del guadagno “facile” in fabbrica.
Ciò che caratterizzò maggiormente il successo in langa fu la totale immersione delle persone e della società nella cultura del vino, un’immedesimazione oserei dire quasi folle del concetto di viticultura, che divenne monocultura, a discapito di noccioleti, boschi e flora locale spinti più sull’Alta Langa, questo causò purtroppo anche qualche rischio per l’ambiente, oltre ad un impoverimento della biodiversità. La fisionomia della bassa regione fu completamente ridisegnata, ma non l’impegno e la fatica del duro lavoro tra i vigneti, che per via dei tipici pendii scoscesi, obbligano ancora oggi il vignaiolo a compiere un lavoro prettamente manuale, sia in fase di potatura, sia durante la raccolta delle uve, ed è proprio l’esperienza di queste persone ad assicurare al territorio una qualità costante nel tempo.

La cantina del Castello di Neive
La cantina del Castello di Neive

Ancor oggi il peso del settore vitivinicolo, in Langa, si misura anche e soprattutto attraverso il numero delle persone impiegate, circa 12.000, di cui 4.500 viticoltori e 1.200 vinificatori, stando ai dati presi dal sito ufficiale del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.
Ma parliamo di terreno, delle sue grandi potenzialità, una costante in Piemonte, un elemento che forgia il carattere dei vini soprattutto a base nebbiolo. Partiamo dal presupposto che il comprensorio di Barbaresco, ma un po’ tutte le Langhe e Roero dal 2014 assieme al Monferrato Patrimonio dell’Unesco, è una delle regioni al mondo più generose per varietà e qualità di produzioni vitivinicole, i motivi, come sempre, sono da ricercare nell’ambiente pedoclimatico, nella posizione geografica strategica e nel sottosuolo. Ci troviamo nella parte meridionale del Piemonte, vicinissimi alle Alpi Marittime e dell’Appennino Ligure. Le colline, le magnifiche onde composte da vigneti e gli anfiteatri naturali, sono il tratto caratteristico dell’intero territorio di Barbaresco. Gli Appennini proteggono le colline dalle correnti d’aria provenienti dal mare, gli influssi mediterranei si alternano a quelli alpini che a loro volta proteggono i vigneti dalle gelide correnti che arrivano da nord. Gli sbalzi termici significativi tra notte e giorno sono importantissimi durante la maturazione dell’uva, favoriscono la concentrazione degli aromi e l’equilibrio delle varie componenti dell’acino, aspetti fondamentali per un vino di qualità. Geologicamente la Langa, dunque anche il comprensorio vitivinicolo di Barbaresco, ha avuto origine nel Miocene, il suolo risulta compatto e solido e deriva dal ritiro del Mare Padano, si parla di circa 16 milioni d’anni fa. Il terreno è caratterizzato prevalentemente da argille, marne calcaree, marne bluastre, ma anche tufo, sabbie e gessi solfiferi; come per i più grandi territori vitivinicoli al mondo, la sovrapposizione e l’alternanza di questi strati fa sì che le viti regalino vini di grande complessità, eccellenza e notevole finezza, unite a corpo e struttura.  E’ anche vero che la mano del vignaiolo deve solo accompagnare il corso della natura, non sovrastarla, ma questo è un altro discorso che affronterò in un’altra occasione.
Partecipare alla masterclass di domenica 28 aprile, è stata un’ottima occasione per scoprire le mille sfaccettature di un’annata a cinque stelle come la 2016, con un’analisi approfondita di uno tra i capisaldi dell’enologia italiana. Molti dei miei assaggi, effettuati negli ultimi mesi e relativi ai giovani rossi dello stesso millesimo, non hanno fatto altro che imprimere nella mia memoria sensazioni d’equilibrio e piacevolezza, caratteristiche ben lontane dall’immediatezza dell’annata precedente, ma del resto già sui bianchi ricordo queste caratteristiche riguardo la 2016, bottiglie che ancor oggi stappo con immenso piacere, e soprattutto su alcuni vitigni e zone d’Italia la longevità è assicurata. Ma ora vediamo perché l’annata 2016 risulta tanto speciale, analizzando nel dettaglio le vare fasi del ciclo vegetativo. La vendemmia è stata una tra le più lunghe degli ultimi anni. In gennaio, e per la prima parte di febbraio, si sono registrate temperature miti e scarse precipitazioni; sul finire del mese e per tutto marzo invece le temperature sono state più rigide e le piogge abbondanti, così da determinare una riserva idrica al terreno soddisfacente. Queste condizioni meteo hanno causato un lieve ritardo nei confronti della ripresa vegetativa. La primavera è iniziata con piogge di buona intensità che fortunatamente non hanno creato danni. Il ritardo fenologico è durato fino a fine estate, ma nei mesi di agosto e settembre c’è stata una vera e propria ripresa che ha colmato le lacune del periodo antecedente, in particolare, la seconda parte del mese settembrino, è stata fondamentale per le componenti relative alla struttura dei vini e delle sostanze fenoliche. Le uve sono state colte sane fino al 15 ottobre, ed i fenomeni di grandine sono risultati contenuti e poco intensi.
La masterclass è stata condotta in maniera esemplare per molti motivi: la chiarezza dei contenuti, la simpatia e competenza della madrina KerinO’Keefe, gli interventi mirati di Giancarlo Montaldo e la professionalità del servizio gestito interamente dall’Associazione Italiana Sommelier. Anche l’occhio vuole la sua parte, e la sala del castello che ci ha ospitato è certamente una tra le più affascinanti dell’intero edificio, ricca di affreschi di rara bellezza. Ciò che ho apprezzato maggiormente è stata la scelta da parte degli organizzatori di proporre le 18 etichette di Barbaresco DOCG 2016, tutte rigorosamente etichettate con la menzione del singolo cru, suddivise per zone del comprensorio vitivinicolo, così da carpire realmente  tutte le sfumature di questo nobile vino piemontese. Sarà più facile raccontare il mio punto di vista sul vino, preceduto da una breve introduzione della singola area di appartenenza, con dati analitici presi dal sito ufficiale del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che ringrazio.

Treiso
È un comune di 820 abitanti, situato a un’altitudine di 410 metri sul livello del mare, gli ettari vitati sono 380,42, di cui 179,95 coltivati a Nebbiolo da Barbaresco. Il nome deriva dal toponimo latino “Treis” ovvero la terza pietra miliare della strada che, partendo da Alba Pompeia, collegava Langhe e Liguria. Il comune nacque ufficialmente nel 1957 in seguito ad un referendum che lo staccò definitivamente da parte integrante del comune di Barbaresco. Presenta una densità vitata inferiore al resto dei comuni e la presenza del nebbiolo è meno marcata nei vigneti, tutto ciò è riconducibile al fatto che la maggiore parte dell’estensione dei versanti è meno esposta, dunque meno adatta al nobile vitigno. È da queste parti che è presente la splendida area, già citata, chiamata Rocche dei Sette Fratelli, in località Canta.

Vini di Treiso
Vini di Treiso

Vini in degustazione del comune di Treiso
Barbaresco Nervo 2016 – Pertinace: fondata nel 1973 da Mario Barbero, la Cantina era una cooperativa composta allora da tredici soci tutti provenienti dalla zona di Treiso, ad oggi i soci sono diventati 17, per un totale di 90 ettari vitati. Vino dalle tonalità calde tra il rubino ed il granato, mostra un naso intenso, i frutti rossi in lieve confettura ricordano l’amarena ed il lampone, un accenno dolce di liquirizia e viola. Notevole struttura ed estratto, tannino già ben integrato, si distingue per sapidità e freschezza. @@@@+

Barbaresco Rombone 2016 – Figli Luigi Oddero: l’azienda è stata fondata da Luigi Oddero, celebre l’intervista sul libro “Vino al Vino” di Soldati, che lo definì un gentiluomo di campagna.  Oggi, dopo la sua scomparsa, l’azienda è gestita dalla moglie Lena e dai figli Maria e Giovanni che continuano la tradizione dando sempre più lustro alle potenzialità di questo importante cru di Treiso, composto da vigneti esposti a sud – sud ovest, formati da marne grigio biancastre con strati argillo – sabbiosi. Il manto rubino è attraversato in controluce da lampi granato, vivace come il suo respiro, un susseguirsi di note agrumate dolci accompagnano la freschezza dei frutti di rovo e una spezia fine ricorda il pepe nero. Tannino già godibile così come il sorso, elegante e di estrema freschezza, pericoloso in quanto a beva. @@@@++

Barbaresco Casot 2016 – Giuseppe Nada: nata nel 1968, l’attuale Azienda Vitivinicola Nada è il risultato di cento anni di tradizione, epoca in cui Antonio, il pioniere, acquistò un vigneto di 3,8 Ha  composto prevalentemente da un suolo argilloso e calcareo, a Treiso, in Cascina Casot da Giovanni Gaja. Tre anni dopo fu la volta del cru Marcarini, altri 2,2 Ha divennero di proprietà. Ad oggi Giuseppe, assieme alla moglie Nella e ai figli Barbara ed Enrico, oltre ad ampliare ulteriormente i possedimenti, continuano la tradizione, forti di un legame indissolubile con il territorio in ricordo della passione e dell’impegno del loro predecessore. Questo vino, dal cru Casot, mostra tonalità calde tra il rubino e il granato, con leggera prevalenza del primo, un naso articolato su freschi richiami balsamici di mentolo che rincorrono la viola, il ribes rosso e il timo, con lenta ossigenazione note di sottobosco. Sorso piuttosto severo, tannino vispo e dominante rispetto alla dolcezza del frutto, equilibrio non del tutto espresso, vino in divenire, sapidità notevole in leggero vantaggio sulla freschezza.@@@@+

Barbaresco Pajoré 2016 – Rizzi: la cantina Rizzi, fondata quarant’anni fa da Ernesto Dellapiana, presenta un Barbaresco da uve nebbiolo allevate esclusivamente nel cru Pajoré, sitato al confine col comune di Barbaresco. Circa 3 Ha che vanno dai 300 m s.l.m. sino ad arrivare ai circa 230, che lambiscono la parte bassa della valle. Esposto a sud, i terreni sono in prevalenza marnosi. Rubino vivace di buona trasparenza, unghia granato, un naso che ama rivelarsi pian piano, elegante, sottile la mineralità salmastra che si intreccia al tamarindo e alle spezie orientali, lievissimi tocchi empireumatici. Ha bisogno di tempo per rivelarsi in tutta la sua eleganza, ed infatti dopo alcuni minuti dalla mescita, la nota floreale risulta nitida e viene accompagnata dalla cipria. Il sorso è ancora nervoso, leggermente sconnesso ed asciutto per via di un tannino fitto che ruba la scena alla dolcezza del frutto, ma la materia c’è tutta, ed infatti impegna il palato e fa presagire grandi potenzialità future. Da riassaggiare assolutamente, minimo, tra un anno esatto. @@@@++

San Rocco Seno d’Elvio
Frazione del comune d’Alba situata a 180 metri sul livello del mare, composta da 218 abitanti, gli ettari vitati a nebbiolo da Barbaresco sono 45,12. Ammessa nel disciplinare del Barbaresco DOCG solo per quanto concerne la destra orografica del torrente Seno d’Elvio, che gli da il nome preceduto dal santo patrono. Elvio è anche l’imperatore romano Publio Elvio Pertinace, che in queste lande nacque, governò a Roma per pochi mesi, venne ucciso successivamente per mano di una congiura. Gli ettari vitati a nebbiolo da Barbaresco sono 45,12.

Vini di San Rocco Seno d'Elvio
Vini di San Rocco Seno d’Elvio

Vini in degustazione del comune di Treiso e San Rocco Seno d’Elvio
Barbaresco Meruzzano 2016 – Cantina del Nebbiolo: fondata da 23 soci fondatori il 30 settembre 1959 a Vezza d’Alba, in pieno Roero, quest’azienda possiede vigneti nella sottozona Meruzzano situata a 320 metri sul livello del mare, sulla collina che dall’estremità sud della frazione San Rocco Seno d’ Elvio sale a Treiso. L’esposizione è un pieno sud ed il suolo è argilloso e calcareo. Granato classico, caldo, “nebbioleggiante “e di buona trasparenza. Esordisce timido, quasi in sordina, rivelando un aspetto leggermente acerbo che va dal pinolo tostato al pepe verde, anice, lampone. Palato ruvido, leggermente asciutto, tannino slegato, poco maturo il frutto, media sapidità e persistenza. Troppo giovane? Sicuramente da assaggiare dal 2021 in poi. @@@++

Barbaresco Montersino 2016 – San Biagio Azienda Agricola di Giovanni Roggero: La Cantina storica, condotta oggi da Giovanni Roggero, ha sede nella vecchia costruzione colonica risalente al 1923 in La Morra, uno degli undici comuni del Barolo. Il Barbaresco “Montersino” si estende sulla pendice di un versante collinare situato a cavallo tra San Rocco Seno d’Elvio e Treiso. Anche in questo caso siamo in piena esposizione a sud, la migliore, a 300 metri sul livello del mare. Il terreno è costituito da substrati marnoso-calcarei e vene tufacee. Il vino in questione mostra nuance granato classico, cupo, caldo. Un naso incentrato su note fondamentalmente dolci, la confettura di amarene anticipa il pepe rosa, la costante dell’anice in questo territorio è sorprendente e viene inspessita da note di tabacco e mentolo. Sorso vivo, fresco, tannino ancora legato ma di buona fattura, frutto maturo, fa salivare ma il finale e decisamente caldo, sapido, sul “dolce”, molto gastronomico. @@@@+

Neive
Situato a 309 metri sul livello del mare, il comune di Neive è certamente il più esteso del comprensorio, 609,48 Ha di vigneto, di cui 275,23 dedicati al nebbiolo da Barbaresco; gli abitanti sono 3150. Le origini come in tutta la zona sono lontane, si parla di una famiglia gentilizia romana del primo secolo a.C., Gens Naevia, ovvero stirpe di Nevio, da qui il nome Neive. Attorno al 1190 divenne comune, ed il suo territorio venne conteso ed influenzato dalle due città storicamente rivali, Asti ed Alba. Il Castello di Neive, sede attuale di una delle più rinomate cantine delle Langhe, già nel XIX secolo fu stimato in tutta la nazione, grazie anche all’opera dell’enologo francese Luois Oudart, che si trasferì definitivamente e cominciò a realizzare vini di qualità notevole per l’epoca.

Vini di Neive
Vini di Neive

Vini in degustazione del comune di Neive
Barbaresco Basarin 2016 – Adriano Marco e Vittorio: “Nostro padre ci ha trasmesso il gusto per l’eccellenza. Ci ha insegnato i principi di fondo dell’attività agricola. Stava già facendo un ottimo vino.” Questa bella frase, presente nel sito ufficiale dell’azienda, racchiude pochi principi ma molto importanti, ed è la filosofia produttiva che oggi sta alla base della produzione dei vini di Marco e Vittorio Adriano, che hanno ereditato da papà Aldo e nonno Giuseppe, il pioniere di inizi ‘900, il rispetto e la passione del territorio, la necessità di proteggerlo e tutelarlo attraverso un’agricoltura il meno possibile invasiva. Basarin è un cru esposto a sud est, colline ben assolate a circa 300 metri sul livello del mare, la particolarità del terreno è data dalla marna tufacea grigia. Il vino mostra carattere già della bella tonalità granato vivace, con unghia rubino.  Un naso davvero stupendo, impregnato di frutti croccanti, visciola e susina rossa, bastoncino di liquirizia ed eucalipto, pepe nero, nitida la nota minerale pietrosa, impreziosita dall’arancia rossa sanguinella. In bocca è sorprendente nonostante la giovane età, tannino vispo ma ben integrato, coerenza di note agrumate/speziate, finale lunghissimo e salato. @@@@@

Vigneti del cru Gallina
Vigneti del cru Gallina

Barbaresco Gallina 2016 – Oddero: nonostante le origini risalgano addirittura ad un periodo a cavallo fra Settecento ed Ottocento, la storia contemporanea dell’azienda si lega indissolubilmente a quella di Giacomo Oddero, classe 1926, che dai primi anni ’50 condusse una vera e propria crociata per diffondere il concetto di vino di qualità.  La figlia Mariacristina e i nipoti Isabella e Pietro, rappresentano oggi la settima generazione. Espressione di un terreno marnoso con buona percentuale di sabbia fine, Gallina è un cru posto a 200 metri sul livello del mare con piena esposizione a sud. Veste granato caldo, lampi rubino. Vino dal respiro intenso, stratificato, le note si susseguono in maniera definita, la spezia dolce e i frutti neri, una vena balsamica e le erbe officinali. Sorso intenso, materico, dotato di finezza ed eleganza per via di un tannino serico e una buona spalla acida. Ancora giovane, mostra già buon equilibrio e un allungo da vero protagonista. @@@@@

Barbaresco Serragrilli 2016 – Marchesi di Barolo: la storia di Marchesi di Barolo va di pari passo con quella del celebre vino definito da sempre “Il Re dei vini, il vino da Re”, si parla di 200 anni di tradizione, 1807. Ai giorni nostri, la famiglia Abbona continua la tradizione con un patrimonio di vigneti molto importante. Serragrilli, esposto a sud-ovest, è un terroir prevalentemente composto da calcare ed argilla, coperti da un manto di sabbie quarzose e limo molto fine, il vigneto, sito nella parte alta della collina, si estende sino a raggiungerne il crinale. Granato di stampo classico, il naso è “goloso”, esuberante, dolcissime le note di frutta che richiamano la pera e la pesca matura, fragolina di bosco, ma anche pepe rosa e cipria. Godurioso anche al palato, per via di un tannino già abbondantemente levigato, conseguenza diretta del passaggio in barrique di una parte della massa. Succoso, media sapidità, certamente non un gigante in persistenza, ma non privo di freschezza. @@@@+

Barbaresco Santo Stefano Albesani 2016 – Castello di Neive: Il Castello di Neive racchiude in sé un fascino e una storia davvero incredibili, la visita dell’intero edificio e delle cantine storiche non hanno fanno altro che confermarlo. Nel 1964 Giacomo Stupino acquisì il Castello e decise di comprare anche la Cascina Santo Stefano, sfruttata precedentemente per la caccia. Una zona ardua da coltivare, piena di rovi, incolta, ma la sua grande passione seppe trasformare questa collina in uno dei cru attualmente più stimati dell’intero comprensorio. Santo Stefano è esposto a sud e sud-ovest, su di un suolo prevalentemente composto da marna calcarea. Il vino che ne deriva possiede una pregevole lucentezza, granato chiaro, buona trasparenza. Un naso piccante oserei dire, certamente stimolante, fine, tocchi agrumati di tamarindo, erbe officinali ed aromatiche, timo, noce moscata, grafite. Con opportuna ossigenazione arriva la viola, nitida e preziosa, come la dolcezza della liquirizia che chiude il quadro olfattivo. Il palato, è fino ad ora il più equilibrato per via dell’eleganza del sorso, doti di potenza e progressione gustativa, tanta sapidità in un allungo pressoché infinito, grandi potenzialità nei confronti dell’invecchiamento. @@@@@

Barbaresco Fausoni 2016 – Silvia Rivella: piccola azienda a conduzione familiare nata nel 2010 e situata nella Borgata Montestefano, i tre ettari che compongono il patrimonio vitivinicolo di Silvia Rivella sono affiancati ad un’attività di agriturismo in pieno stile langarolo. Per questa giovane ragazza dalle idee molto chiare, produrre vino rappresenta il raggiungimento di un sogno iniziato dalla grande passione e competenza del padre Guido Rivella, enologo e discendente di un’antica famiglia di agricoltori sempre vissuti in queste colline. Fausoni è un cru esposto a sud e ovest, il terreno è composto da argilla, calcare ed una parte di strati sabbiosi. Dotato di buona consistenza, il vino mostra una verve cromatica piuttosto vivace, granato con tenui riflessi rubino a bordo bicchiere. Mirtilli, visciole, un’intensa nota di sottobosco resa ancor più complessa dalla grafite ed il pepe nero. Freschezza in bella mostra, morbidezza, sapidità moderata così come la persistenza, tannino piuttosto coeso, il vino regala sensazioni di grande bevibilità unite a doti di coerenza olfattiva. @@@@+

Barbaresco Cottà 2016 – Sottimano: l’azienda di Rino Sottimano nasce alla fine degli settanta con l’acquisto di una cascina e qualche ettaro proprio ai Cottà. Oggi gli ettari sono diventati 18 e grazie all’aiuto dei figli Andrea ed Elena, la tradizione vitivinicola di famiglia continua a percorrere una strada che vede come unico traguardo la forte aderenza territoriale. Sicuramente sono vini che richiedono tempo, ma in grado di premiare, tanto l’appassionato in grado di attenderli per apprezzarne le sfumature, quanto l’amante della buona tavola che vuole berli nell’immediato, accompagnandoli a pietanze succulente. Il cru Cottà è tra coloro che a mio avviso forgia vini austeri ed estremamente eleganti, fa parte del comune di Neive al confine con Barbaresco, risulta esposto ad sud ovest ed è situato a 240 metri sul livello del mare, i suoli sono calcarei-argillosi. Un calice luminoso, vivo, rubino intenso con riflessi granato, il suo respiro è fortemente legato al territorio: note minerali di terriccio, calcare, sottobosco, frutti di rovo maturi ravvivati da una folata di mentolo, ma ancora timo e una leggerissima nota empireumatica. Vino in divenire per tannino scalpitante, di ottima fattura, con ancora qualche angolo da smussare, convince per estratto, sapidità e coerenza fruttata, si ritrova l’acidità dei frutti rossi e un finale lunghissimo, speziato, facile intuirne la longevità. @@@@@

Barbaresco
La storia del comune di Barbaresco ebbe inizio nel ll secolo a.C, i Romani sottomisero le popolazioni liguri presenti nel territorio, successivamente però svilupparono l’economia implementando, oltre agli scambi commerciali con innovazioni infrastrutturali e urbanistiche, anche le zone boschive, piantando la vite, tanto da farla diventare una delle maggiori risorse economiche, già qui si intuiva il destino di questo lembo piemontese. Molti secoli dopo, Barbaresco, insieme a tutto il resto delle Langhe fu conteso e vittima di continue guerre, finalmente nel XIX secolo per mano dei Savoia venne riunificato e nel 31 dicembre del 1798 divenne comune. Ad oggi gli abitanti sono 662, tra i comuni facenti parte della DOCG è quello con l’estensione minore in termini di Ha vitati, se ne contano 394,02 di cui 250,24 a nebbiolo da Barbaresco, da sottolineare che è quello dove si coltiva maggiormente il re dei vitigni piemontesi, rispetto ad altre tipologie di cultivar. E’ posto ad un altitudine pari a 274 metri sul livello del mare.

Vini di Barbaresco
Vini di Barbaresco

Vini in degustazione del comune di Barbaresco
Barbaresco Ronchi 2016 – Albino Rocca: viticultori da quattro generazioni, la storia dell’azienda Albino Rocca nasce a metà degli anni ’40, dall’intuito e dalla determinazione di Giacomo Rocca. Negli anni’60 l’attività fa un vero e proprio salto in avanti grazie proprio ad Albino, suo figlio, che comincia ad etichettare le bottiglie, nel tempo si è affiancato anche Angelo che continua con impegno e determinazione la tradizione familiare. Tra i vari cru dell’azienda quali Cottà, Ovello e Montersino, il vino proposto proviene da vigne che hanno 50-70 anni, situate nella sottozona Ronchi, esposte a sud est a 240 metri sul livello del mare, da suoli calcarei-argillosi con venature tufacee. Calice granato caldo con ricordi rubino, austero sin dalla prima battuta: spezie orientali e foglia di tè, noce moscata, lampone, pompelmo rosa, tabacco in foglie, eleganti tocchi minerali riportano la mente ai sentieri di Ronchi durante una calda giornata d’estate . Un sorso che convince per equilibrio tra sapidità e freschezza, tannino dolce, ottima beva, alcol assente nonostante la struttura, un vino potente, succoso e davvero lungo. @@@@@

Barbaresco Pora 2016 – Musso: l’azienda nasce nel 1929 per volere di Sebastiano Musso, ancor oggi appare fortemente radicata alle tradizioni del territorio grazie alla conduzione enotecnica di Walter Musso, affiancato dal figlio Emanuele e dal nipote Luca Accornero. Il vigneto in questione, cica due ettari e mezzo nella sottozona Pora, è composto da un terreno compatto prevalentemente calcareo, alternato da intersezioni di argilla, esposto da ovest a sud-ovest tra i 240 e i 280 metri sul livello del mare. Granato caldo luminoso, vivace, naso molto fresco, mediamente intenso, ricorda il sedano, timo, alloro, menta peperita, un frutto maturo di ciliegia e ribes. Tannino fitto ed ancora dominante, già al momento non privo di equilibrio e classe, freschissimo, mostra una spalla acida che stempera la vibrante sapidità. Da segnalare con opportuna ossigenazione eleganti note di liquirizia.@@@@++

Barbaresco Rabajà 2016 – Giuseppe Cortese: dal 1971 Giuseppe Cortese, coadiuvato dalla moglie  Rossella, incanta i puristi del Barbaresco ed anche chi ha idee diverse. Grazie al solo utilizzo di sovescio e bioelementi naturali, per non alterare gli equilibri del territorio, i suoi 4 ettari in “Rabajà” forgiano vini paradigmatici, fedeli, espressivi. Questo cru, esposto a sud-ovest a 235/315 sul livello del mare, è composto da terra bianca con affioramenti di marne bluastre. Un calice tra il granato e il rubino, vivace, luminoso. Il naso esplode letteralmente, ma con classe, stile, squaderna dolci note di amarena e mirtilli, viola, anice, la trama si infittisce subito per via di una mineralità sottile ma continua, inspessita ulteriormente da eleganti percezioni di alloro, tabacco in foglie, erbe officinali, pepe bianco, è davvero stupendo, evolve man mano. Il palato tiene testa, tannino di ottima fattura, fitto, ma il frutto lo rende goloso e già godibile, lunghissimo, con enormi potenzialità d’invecchiamento tanto è il sale che si percepisce. @@@@@

Barbaresco Asili 2016 – Michele Chiarlo: dal 1956 Michele Chiarlo vinifica in molte zone del Piemonte, amandolo visceralmente. 110 ettari di vigneti tra Langhe, Monferrato e Gavi. L’ottima esposizione a 250 metri sul livello del mare, e i terreni ricchi di marne calcaree grigio –bluastre ricchi di microelementi quali magnesio e calcio con una minor parte di argilla, rendono Asili un cru particolarmente vocato. Rubino profondo, sfumature granato. Naso “dark”, per usare un eufemismo ricorda le atmosfere dei film di Tim Burton, la spezia è pungente, note empireumatiche, fumo, confettura di mirtilli, timo, fatica ad ingentilirsi, attualmente è il suo stampo, anche se con l’ossigenazione cambia. Sorso morbido, rotondo, tannino gentile e parzialmente addomesticato, maggior sapidità rispetto alla freschezza che comunque non latita, ma fatica ad imporsi, atipico rispetto al resto della batteria, conserva il suo stile. @@@@

Barbaresco Montestefano 2016 – La Cà Nova:  l’attività nasce tra il 1920/1930, in una cascina che risale all’800, al vino venivano affiancati anche frutteti e una stalla. Da quarant’anni a questa parte, la viticultura di qualità è l’unico obiettivo di questa piccola azienda a conduzione familiare. Su di un terreno prettamente argilloso e calcareo nasce il cru Montestefano, con esposizione a sud. Rubino intenso, luminoso, unghia rubino. Naso intenso, generoso, dolce, la frutta è protagonista: ciliegia, fragolina di bosco, susina rossa, ma anche violetta, con ossigenazione pesca matura e pomodoro secco, salamoia di capperi. Un naso quasi mediterraneo, atipico. Sorso diametralmente opposto, scattante, freschissimo, tannino dolce e già addomesticato, non un gigante ma di ottima beva e media sapidità. @@@@+

Barbaresco Martinenga 2016 – Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy: con un patrimonio vitivinicolo di 45 ettari distribuiti tra le colline delle Langhe e del Monferrato, Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy è una realtà vitivinicola piemontese la cui storia inizia alla fine del XVIII secolo. Martinenga è una delle rare sottozone del comprensorio dove si può parlare a ragion veduta di monopolio, i marchesi ne son proprietari al 100%. Da molti considerato uno tra i migliori vigneti di Barbaresco, ricco di tufo e marne azzurre delle Langhe, confina ad ovest con Asili e a nord-est con Rabaja, dodici ettari formano uno stupendo anfiteatro naturale che durante il tour della Mga ho avuto il piacere di ammirare. L’esposizione è a sud-sud/ovest, ad un’altitudine che varia da 220 a 290 metri sul livello del mare. Dal 1797 l’azienda vinifica con passione le proprie uve, ancor oggi Alessandro e Ludovica di Grésy continuano il percorso nelle storiche tenute, lavorando assieme al papà Alberto. Il campione degustato si presenta granato di media trasparenza, attraversato in controluce da lampi rubino chiaro. Un naso caleidoscopico, dove la finezza e l’eleganza sono protagonisti indiscussi. Regna il “classicismo”: la viola è accompagnata da liquirizia in bastoncino, anice, amarena, lampone, rinfrescati da tracce balsamiche di eucalipto e una spezia importante, il pepe nero. Ma ancora noce moscata, leggera grafite e tocchi minerali-fumé tra zolfo e legna arsa, un naso davvero importante, tra i più complessi dell’intera degustazione, evolve in maniera impressionate con il passare dei minuti. In bocca è preciso, millimetrico, tra potenza e classe, ha struttura e freschezza, lunga la scia sapida in un sorso davvero interminabile. Il frutto è nitido e coerente, succoso, trama tannica da manuale, e tanta sapidità, fanno pensare ad un futuro glorioso. @@@@@

Mi sento di confermare l’eccezionalità di quest’annata, vini ancora ruvidi per certi versi, ma dalla caratura invidiabile, da assaggiare e riassaggiare da qui ai prossimi 20-30 anni. Tutto questo è il comprensorio vitivinicolo del Barbaresco DOCG, e l’ottimo lavoro svolto dall’Enoteca Regionale non potrà far altro che implementarne la grandiosità. In definitiva, per “Espressione Barbaresco” è proprio il caso di dire: “Buona la prima!”, arrivederci all’anno prossimo.

Andrea Li Calzi

Andrea Li Calzi

È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a quando ha sentito che il vino non poteva essere escluso o marginale. Così ha prima frequentato i corsi AIS, diplomandosi, poi un master sullo Champagne e, finalmente, nel giugno del 2014 ha dato vita con la sua compagna Danila al blog "Fresco e Sapido". Da giugno 2017 è entrato a far parte del team di Lavinium.

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