Coda di manzo stufata nel vino rosso e Provincia di Pavia Rosso
La coda è il taglio di manzo più difficile da reperire, anche più del rognone, perché è molto richiesta, tanto che il mio amico macellaio cicloamatore Marzio Rottigni, quando arrivava il camion dal macello con i quarti che era andato personalmente a scegliere e timbrare, doveva dire ai clienti che aspettavano in fila al bancone che non ce n’era perché l’aveva già data in mancia ai ragazzi del carico e scarico, per tenerla ben nascosta in cella e riservarla a chi l’aveva prenotata. Si dice che ogni manzo dovrebbe avere almeno cinque code per riuscire ad accontentare tutte le richieste che scaturiscono dalla saggezza popolare, in quanto la coda ha molto muscolo sempre in movimento e perciò magro, ma anche molti piccoli ossi e questo rende i sughi di cottura particolarmente saporiti anche con le ricette più semplici. L’unica accortezza da adottare è la pazienza, poiché richiede un tempo di cottura lungo da 3 a 6 ore di cottura a seconda delle dimensioni, sempre a fuoco basso e meglio sopra una rete spargifiamma oppure in forno a 160°C in un coccio o in una teglia, ma comunque coperta o da un coperchio o da un semplice foglio di alluminio. Solo con una cottura molto lenta e un calore moderato ma costante può diventare molto tenera, al punto che la carne possa staccarsi facilmente dall’osso. All’atto dell’acquisto chiedete al macellaio di tagliarvela a pezzi se non la trovate già tagliata, perché è meglio che sia un macellaio professionista a tagliare con precisione i singoli pezzi cercando di seguirne le giunture di cartilagine per evitare di spezzare gli ossi.
Ingredienti per 6 persone
- circa 1,7 kg di coda di manzo a pezzi
- 1/2 l di vino rosso
- 3 carote
- 2 gambi di sedano
- 2 cipolle
- 1 porro (parte bianca)
- 2 foglie di alloro
- 5 chiodi di garofano
- 4 cucchiaini di paprika dolce in polvere
- 700 ml di passata di pomodoro
- 1 cucchiaino e mezzo di sale
- 3 cucchiai di farina 00
- 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
- 3 spicchi d’aglio sbucciati
La sera prima lavate bene tutti i pezzi tagliati della coda sotto acqua corrente fredda, così da eliminare tutto il sangue e i residui. Una volta scolati, asciugateli dall’acqua con un canovaccio pulito e metteteli a marinare nel vino rosso con la carota, il sedano, il porro e la cipolla tagliati grossolanamente con alloro, chiodi di garofano e paprika. Sciogliete bene la paprika, mischiate bene il tutto, coprite con un telo o un film da cucina e mettete al fresco in frigorifero.
La mattina dopo togliete i pezzi di coda dalla marinatura scolandoli bene e conservandone da parte la marinatura, quindi asciugateli bene con un canovaccio pulito e infarinateli da tutte le parti.
In una pentola molto capiente preferibilmente di coccio scaldate due cucchiai di olio d’oliva e soffriggeteci per qualche minuto i pezzi di cipolla e di porro scolati dalla marinata e tritati a coltello o mezzaluna. Aggiungeteci l’aglio grattugiato o tritato fine, quindi anche le carote tritate e rosolate ancora per qualche minuto.
Scolate i pezzi di sedano e l’alloro e deponeteli in un piattino, quindi versate in pentola il vino e portatelo a ebollizione, quindi aggiungete la passata di pomodoro e il sale fino. Riscaldate a fuoco basso fino a nuova ebollizione e lasciate cucinare al coperto a fuoco basso (sopra una rete spargifiamma se la pentola è di metallo).
Nel frattempo, in una padella molto larga versate gli altri due cucchiai di olio extravergine di oliva e quando prende temperatura adagiateci i pezzi di coda facendoli rosolare uniformemente. A rosolatura ultimata, quando saranno dorati, aggiungeteli alla pentola con il sugo in cottura, assicuratevi che siano coperti di liquido (in caso contrario, aggiungete un po’ di brodo caldo oppure di acqua).
Copriteli e cuoceteli a fuoco lento per circa 3 o 4 ore e comunque finché sono teneri al punto che la carne possa staccarsi facilmente dall’osso e, se lo desiderate, mezz’ora prima che la cottura sia terminata unite il resto del sedano tagliato a lunette. Il sugo dev’essere denso, scuro, saporito. Servite in tavola nei piatti di potata con patate arrostite o polenta, ma rifornite i commensali di tovagliolini di carta robusti e di tazze con acqua e limone per lavarci le dita, perché qualcuno le potrebbe infilare nei meandri degli ossicini per godersi fino all’ultimo pezzettino di carne.
Il vino Provincia di Pavia Rosso Montebuono 2015 dell’Azienda Agricola Barbacarlo
Avevo solo 5 anni, 63 anni fa, quando la nonna Emilia mi portava lassù per vedere Broni dall’alto, attraversando quel bosco di acacie della Valle Maga dove il nonno andava a funghi e dove adesso ci sono due colonne di ripetitori.
Anticamente tutta la Valle Maga, che comprendeva i colli del Ronchetto con i vigneti del fondo Ronco e del Montebuono, era di proprietà della famiglia Maga, come documenta un atto notarile del 1785. Qui, sulla collina Porrei che ne domina il bosco, i Maga che hanno la casa e la cantina nella centrale via Mazzini di Broni avevano ereditato tre vigne nel 1886 dallo zio (in dialetto pavese ”barba”) Carlo, cioè il bisnonno di Lino Maga. Ecco perché l’azienda vinicola si chiama appunto Barbacarlo. Sono 18 ettari in tutto, ma 10 sono diventati bosco anche se sono ancora accatastati (e pagano le tasse) come vigneto e gli 8 vitati sono 4 sulla collina Porrei e altri 4 sulla collina Montebuono. Questo fianco che sale verso Est dalla via dei Recoaro è sempre stato particolarmente vocato alla coltivazione della vite, per le sue eccellenti condizioni pedoclimatiche.
L’esposizione perfetta della radura vitata fornisce alle viti tutto il sole possibile, la ventosità è rilevante e mantiene più sane le uve. Il terreno è molto scosceso (in alcuni punti siamo sull’80%, se non oltre…) ed è stato faticosamente lavorato e conformato a gradoni. Queste tre vigne di proprietà (Barbacarlo, Montebuono e Ronchetto), anche soltanto per restare in piedi richiedono una quantità di lavoro incredibile e la loro conduzione è diventata ormai antieconomica, tanto che il Ronchetto era stato lasciato andare a se stesso una quindicina di anni fa.
Il terreno è costituito dalla tipica puddinga, un conglomerato di grossi ciottoli ghiaiosi, stondati e cementati nella sabbia arenacea di colore grigio-giallastro che in molte altre parti d’Italia è chiamato grossolanamente “tufo” e in alcune punti mostra ampie venature rossastre dovute all’affioramento degli ossidi di ferro e di alluminio. Appena sotto lo strato superficiale ci sono lastroni piuttosto spessi di roccia arenaria durissima che affiora qua e là e non si frantuma neanche a picconate, ma richiederebbe addirittura l’esplosivo.
Le lavorazioni in vigna sono tutte effettuate manualmente e non vengono usati prodotti della chimica di sintesi. Le rese sono perciò molto basse, 35 quintali di uva per ettaro in uva e resa in al 50%. Se il fondo Barbacarlo fa il vino leggendario dell’azienda, il Montebuono è una splendida vigna che io considero un cru storico di gran valore per il tipico Oltrepò “Sangue di Giuda”. Si sa, infatti, che il suo vino era piaciuto molto a Napoleone quando lo aveva bevuto dopo la battaglia di Marengo, tanto che da allora questa collina da cui proviene è soprannominata Montenapoleone. Le uve impiegate per produrre il Barbacarlo sono in prevalenza la croatina, l’uva rara, e la vespolina (nell’Oltrepò è conosciuta anche come ughetta). Il Montebuono, invece, oltre alle uve precedentemente dette (croatina 50%, uva rara 30%, ughetta 15%) vede anche la presenza di un 5% di barbera.
Non vengono usati prodotti della chimica di sintesi né diserbanti, solo rame e zolfo contro l’oidio. Tutte le lavorazioni in vigna sono effettuate manualmente. Dopo la pigiatura e la diraspatura, il mosto fermenta senza controllo di temperatura in vecchi tini di rovere e, dopo una macerazione di circa 7/8 giorni a cappello sommerso (con la tipica “steccatura”), si svina. I primi travasi per togliere il vino dalle fecce sono molto veloci e a ogni quarto di luna vecchia si travasa di nuovo. Quindi si lascia riposare e decantare il vino senza nessuna filtrazione e dopo circa 8 mesi di permanenza nei tini, si imbottiglia tra la fine di aprile e l’inizio di maggio dell’anno successivo alla vendemmia. Le bottiglie vengono disposte in orizzontale per quasi 2 mesi, poi si mettono in verticale per almeno altri 4 mesi fino all’inizio delle vendite, per lasciarlo riposare ulteriormente.
Quando il vino si affina in bottiglia può avvenire una naturale rifermentazione, se non la svolge completamente già in botte. Ogni annata, quindi, può essere completamente diversa dall’altra, con un gusto più secco o più abboccato, più amaro o più dolce e uno stato più tranquillo o più vivace, anche effervescente. Gli affezionati che ne hanno bevuto annate diverse possono confermarlo. Come viene, viene! Un’avvertenza: sul fondo della bottiglia è del tutto normale che possa formarsi un leggero deposito, basta non scuoterla e il vino rimane limpido. Stappare una bottiglia è sempre una scoperta e consiglierei di farlo nel centro di Broni. dove si trovano la casa della famiglia e la sala degustazione. Qui è possibile anche acquistare direttamente i vini di annate diverse.
Il Montebuono 2015 ha un colore rubino violaceo veramente impenetrabile. All’attacco un profumo di rose rosse e nere e amarene apre un bouquet ricco di aromi di ciliegie nere, marasche, more di rovo tra sfumature di erbe aromatiche che emergono in sequenza, dalla malva alla borragine e leggere note speziate di radice di liquirizia, bacche di ginepro e un tocco di stecca di cannella. In bocca è di una succosità sorprendente, con un tannino scalpitante in armonia con il generoso fruttato copioso e un ricordo di terra nera pulita e buoni funghi. Nella sottile effervescenza con spuma color fucsia si avverte anche una lieve dolcezza e una nuance ematica molto ben addomesticate da una goduriosa freschezza. Tenore alcolico del 14.5%.
Suggerirei di servirlo alla temperatura da 16 a 18 °C. Questo vino del 2015 è ancora giovane, nonostante i cinque anni dalla vendemmia, quindi si abbina benissimo con questa ricetta di coda, con primi piatti ai sughi di carne, con salumi cotti e il filetto di bue al sangue. Vivrà e si evolverà a lungo e sarà ancora più piacevole con arrosti di carni rosse e scure in intingolo e speziati, salumi stagionati, stufati e cacciagione.
Mario Crosta
Az. Agr. Barbacarlo comm. Maga Lino di Maga Giuseppe
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