AR.PE.PE. e quel 2016 che in Valtellina ha fatto scala reale a cuori
Che la 2016 sia stata una grande annata è cosa risaputa, potrebbero bastare come riferimento le blasonate Langhe, Montalcino, ma in realtà possiamo dire che quasi tutto lo Stivale si è giovato di un millesimo produttivo e di grandissima qualità, cosa tutt’altro che frequente.
La Valtellina (che Leonardo chiamava Voltolina), forse anche grazie alla particolarissima collocazione della zona, protetta a nord dalle Alpi Retiche e a sud dalle Orobie, con altitudini che vanno da poco meno di 200 metri fino a oltre 4000, il fiume Adda che l’attraversa longitudinalmente seguendo l’andamento della valle da est a ovest, i costoni ripidi e spesso rocciosi che la caratterizzano, ha trovato nella 2016 una delle migliori vendemmie di sempre. Con la Valchiavenna forma la Provincia di Sondrio, un territorio dal fascino indiscutibile, dove la viticoltura assume un ruolo fondamentale ed è caratterizzata da una incredibile frammentazione degli appezzamenti vitati appartenuti a famiglie di contadini, a testimoniare che un tempo il vino era prodotto principalmente per uso familiare. Chi ha frequentato la Valtellina sa che la maggior parte dei vigneti sono esposti a Sud, questo perché si trovano quasi esclusivamente nella sponda delle Alpi Retiche.
Qui, proprio a causa del tipo di suolo e delle forti pendenze, sono inevitabili i terrazzamenti, sostenuti da muretti a secco, a volte alti anche 7 e più metri, accessibili solo con ripide scale fatte di pietre, e si possono vedere le muràche, cumuli di sassi presi dai terreni destinati alla viticoltura. Qualcuno si chiederà “ma cosa vuol dire muro a secco?”, significa che non sono state usate malta, calce o altri collanti, potete capire quale lavoro di cesello sia necessario per riuscire a rendere stabile un muro del genere! Infatti negli ultimi anni le cose sono un po’ cambiate, ci sono meno esperti e anche una maggiore difficoltà a trovare le pietre giuste, quindi, purtroppo ci sono zone dove appare evidente l’uso del calcestruzzo, a volte in modo raffazzonato, vere e proprie toppe a errori precedenti, un vero peccato, perché la vista su quei muretti è semplicemente spettacolare e dà l’idea di un’intelligenza collettiva, anche se ciascun individuo ha contribuito inconsapevolmente a forgiare questo paesaggio unico.
Spesso i filari sono disposti a rittochino, ovvero assecondano le linee di massima pendenza del terreno, con un numero di ore di lavoro per ettaro che arriva fino a 1500 all’anno. Se si osserva il paesaggio dalla Statale 38 che attraversa la valle, non si può fare a meno di notare gli infiniti muri a secco che si stagliano lungo le diverse sottozone che caratterizzano la Valtellina, partendo da ovest: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella.
La storia di Ar.Pe.Pe. l’ho più volte descritta nella scheda dell’azienda, da quasi vent’anni Emanuele Pelizzatti Perego è l’uomo che ha ereditato l’attività del padre Arturo, affiancato dai fratelli Isabella e Guido. Si tratta di una realtà che ha consolidato la sua fama ben oltre il nostro Paese, a buon diritto perché i vini che nascono in questa cantina sono spesso memorabili, tutti rigorosamente a base chiavennasca, come viene chiamato il nebbiolo di queste parti, a dirla tutta si tratta di biotipi diversi da quelli presenti in Piemonte e Valle d’Aosta, principalmente “Briotti”, “Chiavennascone” e “Intagliata”, alcuni hanno origini secolari, altri sono frutto di ricerche effettuate nel corso degli ultimi decenni, in particolare dalla Fondazione Fojanini di Sondrio.
Ma torniamo all’annata 2016, in casa Ar.Pe.Pe. si è iniziato a vendemmiare il 17 ottobre, avendo vigne sparse tra le tre sottozone Sassella, Inferno e Grumello, i tempi di raccolta si sono allungati fino al 10 novembre, date che oggi sono sempre più difficili da raggiungere a causa dell’innalzamento delle temperature. Una maturazione lenta e costante è una delle chiavi per realizzare acini totalmente maturi, non solo nella polpa, ma anche nei vinaccioli e nella buccia, senza che venga a mancare l’acidità. In cantina si sono realizzati vini che hanno raggiunto una gradazione fra i 13 e i 13,5, con eccezione per la vendemmia tardiva Ultimi Raggi che ha toccato i 14, segno che l’annata, grazie a una produzione abbondante, ha trovato un ottimo equilibrio. Uve sane, perfette in ogni loro aspetto. Infatti sono state prodotte tutte le Riserve dell’azienda, di cui mi accingo a raccontare, che escono in commercio proprio in questi giorni di dicembre.
Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva 2016 (13% vol.): voglio partire da questo vino perché porta con sé gran parte della storia di questa famiglia, in particolare di Arturo, padre di Emanuele, Isabella e Guido, che nonostante il periodo difficile che lo vide costretto a rinunciare a gran parte del vigneto ereditato dal padre Guido (che negli anni ’60 era di ben 80 ettari) e al nome aziendale (Pelizzatti), con coraggio e gran tenacia riuscì a ripartire con 13 ettari e l’attuale nome (ARturo PElizzatti PErego). E fu proprio con questo vino, proveniente da una vecchia vigna a 400 metri di altitudine, situata su un costone dove emerge evidente la roccia rossa, che realizzò il suo sogno di una Riserva nella Sassella, era il 1984.
Ci vollero altri 6 anni prima che, con l’aiuto di Giovanna, sua moglie, scegliesse l’attuale nome “Rocce Rosse”.
Ed è proprio in questo vigneto, impervio e difficile da gestire, che alcuni anni fa è stata installata una teleferica per il trasporto delle uve a ridosso della cantina, uno dei pochissimi interventi, che ha avuto bisogno anche dell’elicottero, per ridurre la fatica ma anche per accelerare il processo di trasferimento delle uve vendemmiate.
Nel 2016 si è vendemmiato il 22 ottobre, come sempre rese molto basse, 40 q./ha; le uve hanno subito una macerazione di ben 97 giorni in tini di legno da 50 hl. Poi 34 mesi in tini e botti da 50 hl, alcuni mesi in cemento (perfetto per ammorbidire i tannini, e non solo), lungo affinamento in bottiglia. Di questo millesimo sono state prodotte 25.302 bottiglie, 493 magnum e 92 jeroboam.
Come sempre in casa Ar.Pe.Pe. il colore del vino non è mai profondo, estrattivo, ma rispecchia pienamente le caratteristiche del nebbiolo alpino, un granato caldo e trasparente con ricordi rubini. Al naso… che dire… la mia drammatica dipendenza da questo vitigno fa sì che, se trovo il vino giusto, inspirare questi profumi mi provoca un piacere intenso e ha il potere di cancellare qualsiasi nebbia aleggi nei meandri del mio cervello. Un rifiorire, in tutti i sensi, uno scandire di rose, gerani, viole, che in breve tempo si amplifica a note di arance rosse, ciliegie, olive, ferro, quella componente ematica che non a tutti piace percepire ma che a mio avviso è un segnale di forte energia, di profondità, poi erbe di montagna, radici, liquirizia e ancora un frutto invitante e perfettamente maturo.
Il sorso è ricco, si sente l’annata generosa, c’è materia che si affina, pur giovanissima vira già verso l’eleganza, toni scuri e salini non consentono la resa neanche dopo decine di secondi, un solo assaggio sembra aver lasciato una traccia indelebile. Roba seria. Da dimenticare in cantina (la seconda bottiglia) per almeno 4-5 anni, un vino così va rispettato, ha il suo lento procedere verso l’alto, perché coglierne solo le fasi iniziali, per quanto magnifiche?
Valtellina Superiore Sassella Nuova Regina Riserva 2016 (13,5%): se mi chiedete qual è uno dei vini che più mi ha emozionato, vi rispondo senza esitare, il Vigna Regina 1991 (divenuto “Nuova Regina” dal 2013). La seconda riserva prodotta in casa Pelizzatti (prima annata 1988). Un vino superbo, complesso, elegantissimo, assaggiato nel 2006 in cantina andando indietro fino alla Riserva della Casa 1961. Mi resi conto subito di trovarmi in un luogo dove il nebbiolo raggiunge vette estreme (sarà per le Alpi…), ho conosciuto Giovanna, la mamma, purtroppo Arturo no, è scomparso a soli 62 anni nel 2004. Da quella straordinaria esperienza degustativa non ho più mollato Isabella ed Emanuele (Guido c’era più di rado), mi sono arrampicato sui terrazzamenti e ho visto il ragno, l’unico trattore che si possa usare con quelle pendenze, ma praticamente solo quando c’è da preparare un nuovo pezzo di terra.
Entrare in quel mondo con tutte le scarpe è stato il modo migliore per comprendere quanto impegno e passione c’è in questi vini, e il Nuova Regina 2016 ne è una delle massime espressioni.
Le uve sono state raccolte il 30 ottobre, hanno subito una macerazione di 89 giorni in tini di legno da 50 hl, maturazione negli stessi per 34 mesi, poi cemento e bottiglia. Da questo millesimo sono state ottenute 6.006 da 0,75 l, 230 da 1,50 l e 50 da 3,00 l.
Un vino al quale non manca nulla, rispetto a 20 anni fa si sente che, un po’ per il clima, un po’ per l’esperienza acquisita da Emanuele, e un bel po’ per la straordinaria qualità delle uve portate in cantina, ho di fronte una delle migliori espressioni di sempre, lo dimostra il fatto che, nonostante sia appena entrato in commercio, al naso come in bocca mostra un equilibrio magnifico, profuma di ginepro, cardamomo, miele di castagno, poi cambia, come se togliesse uno strato, escono i frutti, ciliegia, gelso, ma si spinge oltre, verso il timo, poi arancia amara, una punta di liquirizia, una balsamicità tutta da nebbiolo, non da legno e…
Va bene, mi fermo, non voglio annoiarvi, del resto i profumi di un vino così cambiano continuamente, e ritrovi analoga espressione all’assaggio, il tannino è già velluto, finezza e musicalità sono le sue grandi qualità, che ti accompagnano in un percorso lungo e articolato, lasciando un senso di benessere, una rassicurante carezza.
Valtellina Superiore Grumello Buon Consiglio Riserva 2016 (13%): terza riserva, nata nel 1989, questa volta le vigne si trovano nella sottozona Grumello, conosciuta anche per il bellissimo castello nel Comune di Montagna, che troneggia sulla valle. I vigneti dei Pelizzatti Perego sono divisi in due zone, una più bassa (dai 300 ai 350 metri s.l.m.) nella parte orientale che sovrasta le ultime case di Sondrio, sopra al quartiere Ca’ Bianca, l’altra più elevata (da 400 metri in su) in prossimità della chiesa di Sant’Antonio Abate.
Le uve del Buon Consiglio 2016 (che è il nome della via dove risiede l’azienda, ma richiama anche la Chiesa della Madonna del Buon Consiglio a Poggiridenti, il cui antico portale risale al 1696), sono state vendemmiate il 17 ottobre, a dimostrazione che i tempi di raccolta cambiano da zona a zona.
Resa sempre bassa, parliamo di 40hl per ettaro, 89 giorni di macerazione in tini di rovere da 50hl, 34 mesi di maturazione negli stessi e, in questo caso, prima acciaio e poi bottiglia. Da questo millesimo sono state ottenute 12.711 bottiglie, 230 magnum e 40 Jeroboam.
Con il terzo vino non posso che confermare di trovarmi di fronte a un’annata perfetta, di quelle che qualsiasi vignaiolo ambirebbe per il resto della vita. La differenza che noto nell’immediato è un bouquet sussurrato, elegantissimo, qui la parte agrumata spicca su tutto, ma è un agrume dolce, maturo, armonioso, che non riesce comunque a nascondere del tutto quella trama floreale che il nebbiolo valtellinese è in grado di offrire. Un vino che si affaccia con garbo eppure ti ammalia, quasi ti stordisce, al palato rivela una freschezza balsamica, un corpo sinuoso dalla trama vellutata, uno dei sempre più rari esempi di forza espressiva senza muscoli esibiti, dove passa lascia il segno ma con una tale gentilezza da coglierti quasi impreparato, che meraviglia, ed è solo all’inizio…
Valtellina Superiore Sassella Ultimi Raggi Riserva 2016 (14%): esiste una zona storica della Sassella, ed è quella che si sviluppa a est di Sondrio, tra Triasso e San Lorenzo; a circa metà strada a quota 600 metri in una zona chiamata “Ere”, poco a nord di Via Sant’Anna, si trova un piccolo appezzamento dove nasce l’Ultimi Raggi, fortemente voluto da Arturo come espressione di una diversa idea di vino rispetto al noto “sfursat”. Come certamente saprete lo Sforzato è frutto di un appassimento delle uve sui graticci, l’Ultimi Raggi invece gode di una leggera sovramaturazione in pianta. Il messaggio era chiaro, non voleva un vino “amaroneggiante”, ma in grado di mantenere viva la traccia lasciata dal chiavennasca e da una zona fortemente minerale come quella della Sassella alta, lontano da potenza e stucchevolezza, e lo realizzò nel 1999.
Qui la ventilazione non manca mai, così come le forti escursioni termiche, i tempi di maturazione delle uve sono ovviamente più lenti, aggiungiamo un paio di settimane di appassimento ed ecco che nel 2016 la raccolta si è svolta il 10 novembre con una resa di 30hl per ettaro. In cantina il processo è lo stesso dei precedenti, tranne per i tempi di macerazione leggermente inferiori, 78 giorni.
Sono state ottenute 6.246 bottiglie, 150 magnum e 30 jeroboam.
Come ci si può aspettare qui il colore diventa più intenso, ma sempre di bella trasparenza, la traccia rubina è più marcata restituendo un’immagine di luminosa intensità.
Quel leggero appassimento rende la componente fruttata dominante, una polpa che mantiene però freschezza, non vira verso note di confettura, parla di ciliegia e lampone, poi prugna, agrumi, ma ci sono anche i fiori, la rosa, la stella alpina, poi il sottobosco, torna il ginepro, cenni di erbe aromatiche e liquirizia, il tutto ben fuso.
Al palato mostra un tessuto pieno e generoso, ma ancora una volta lascia fluire le sensazioni più fini, spingendo su quei toni che esaltano la piacevolezza, perché l’appassimento non ha cancellato la freschezza, il risultato è notevole, la sensazione pseudocalorica data dall’alcol è ininfluente, si beve con godimento.
Valtellina Superiore Grumello Sant’Antonio Riserva 2016 (13%): condivide con il Sesto Canto l’anno di nascita, 2009. Quando l’ho recensito vi ho raccontato la storia di questo nome, potete leggerla qui, ma annoto un cambiamento in vinificazione di una certa rilevanza: da quei 45 giorni siamo passati a 85, ben 40 in più. Credo sia una scelta ponderata di Emanuele, applicata un po’ a tutti i vini, forse contribuisce a renderli equilibrati in tempi relativamente più brevi, mi viene in mente il Barolo Bussia 90 Dì Riserva di Fenocchio, che ha ottenuto una maggiore complessità ma si è rivelato anche pronto per essere apprezzato alla sua uscita. Di certo male non gli hanno fatto, per il resto la procedura è la stessa degli altri vini, con la differenza, come per il Buon Consiglio, che dopo il legno riposa in acciaio e non in cemento.
Da questo millesimo sono state ottenute lo stesso numero di bottiglie dell’Ultimi Raggi.
Già quella 2009 mi aveva colpito per la notevole eleganza (ammesso che ci sia uno solo fra questi vini che non lo è, e non c’è!), come per il Buon Consiglio qui sento l’estrema misura, l’incedere suadente e progressivo, senza elementi che dominano la scena, ma una tavolozza di colori che rimanda con determinazione all’essenza del nebbiolo, a quel gioco di fiori e frutti corroborati da una speziatura delicata e da sentori che ritroviamo passeggiando nel bosco; c’è sempre l’arancia come leit motiv, una purezza che, parafrasando in musica, ha la stessa profonda bellezza del terzo movimento della Sinfonia n.3 di Brahms, profumo estasiante, che mette in secondo piano qualsiasi descrittore, lo banalizzerebbe.
Lo conferma l’assaggio, dove ancora una volta emerge la completezza dell’annata, attraverso un percorso dove freschezza e morbidezza viaggiano affiancati, il finale è un misto di spezie ed erbe, su una base piacevolmente sapida.
Valtellina Superiore Inferno Sesto Canto Riserva 2016 (13%): mentre le sottozone Sassella a ovest e Grumello a est sono separate dalle propaggini settentrionali di Sondrio, l’Inferno appare come un prolungamento del Grumello, ma i suoi confini sono determinati da una serie di differenze geomorfologiche, per esempio le diverse aree si succedono da ovest verso est, mentre nelle altre due sottozone da sud verso nord; inoltre il dislivello altimetrico complessivo è inferiore (da 350 a 550 metri s.l.m.) e la composizione dei terreni può andare dall’argilloso al roccioso senza soluzione di continuità.
L’appezzamento di proprietà dei Pelizzatti Perego si appoggia sul terzo tornante del famoso “Circuito dell’Inferno”, così chiamato perché ci si svolgeva il Rally Coppa di Valtellina, a cui Arturo partecipò in più edizioni. Parimenti nella Divina Commedia, nel Terzo Cerchio dell’Inferno si trova il Sesto Canto, dove pagano le loro colpe i golosi. Emanuele, Isabella e Guido hanno voluto omaggiare il papà in ricordo di quella sua grande passione per le corse.
La botte usata per questo vino è in doghe miste di castagno, acacia e rovere, dai 49 giorni di macerazione del 2009 siamo passati a 86, poi 34 mesi di legno, acciaio e bottiglia, in totale siamo praticamente a 60 mesi di cantina prima della commercializzazione.
Anche in questo caso il numero di bottiglie ottenute è lo stesso dell’Ultimi Raggi e del Sant’Antonio, segno che la dimensione della botte coincide.
E l’Inferno si distingue subito per un naso più deciso e diretto, toni accesi, frutto intenso e maturo (ma mai “cotto”), una speziatura dolce e richiami alla liquirizia, al ginepro, persino una punta di china; ma è al palato che mostra ancora meglio le differenze, c’è più nerbo e tensione, il tannino è scoppiettante, le sensazioni sono più scure e ferrose, note di radici, incenso, carne, vino spesso, esuberante, di carattere, lunghissimo e caldo. Promette un lungo percorso evolutivo.
LA CHIOSA: questa 2016 è davvero un’annata formidabile, ha portato materia, abbondanza, masticabilità, senza mai perdere in finezza e regalità; a mio personalissimo giudizio, sulla base delle condizioni attuali dei vini, suggerirei questa sequenza nel tempo: Buon Consiglio, Sant’Antonio, Nuova Regina, Ultimi Raggi, Rocce Rosse e Sesto Canto.
Roberto Giuliani