Che questo 2012 non sarebbe cominciato sotto buoni auspici si sapeva, lo avevamo messo in conto, in qualche modo abbiamo dovuto farcene una ragione e accettare le difficoltà a cui dovremo far fronte, ognuno in base alle proprie condizioni di vita. La scomparsa di Giulio Gambelli però, avvenuta ieri attorno alle 13.30, anche se nell’ambiente si sapeva che stava male e le sue energie si stavano sempre più esaurendo, ci ha comunque colto impreparati. Personalmente l’ho conosciuto cinque anni fa, incontrato più volte, sempre in Toscana, una volta dalla Elisabetta Fagiuoli, la regina di Montenidoli, poi durante la presentazione del libro a lui dedicato dall’amico (e concittadino poggibonsese) Carlo Macchi, che qui ho recensito (la foto qui a fianco è prelevata proprio dal libro, “Giulio Gambelli, l’uomo che sa ascoltare il vino“). Giulio era uomo d’altri tempi, schivo, di poche parole, dallo sguardo che però diceva sempre tutto, una persona vera nella sua disarmante semplicità e schiettezza. Il suo lavoro di maestro assaggiatore (che gli ha meritato l’appellativo di “Bicchierino”) ed esperto inarrivabile di sangiovese (ma la sua esperienza era ben più ampia), lo ha reso indispensabile supporto per numerose aziende vinicole toscane, la sua abilità nel “leggere” le potenzialità di questo vitigno, nel riconoscerne la provenienza, i pregi e i difetti con una precisione che neanche la chimica riusciva ad eguagliare, lo resero quasi una leggenda. Frutto anche della sua militanza presso il laboratorio dell’Enopolio, soprattutto al fianco di Tancredi Biondi Santi, che accompagna sin da giovane durante le sue consulenze presso altre cantine italiane. Giulio era convinto assertore del sangiovese in purezza, ne conosceva i limiti e le qualità, come ricorda Andrea Gabbrielli nel libro di Macchi per lui “questo vitigno più di tanto non dà ma ha un carattere e dei profumi particolari che lo rendono unico. Per ottenere questi risultati l’invecchiamento è importante anche se bisogna rinnovare spesso il legno. Apprezzo la barrique ma quando non è preponderante: la cosa migliore è fare l’assemblaggio tra botte grande e una parte di barrique”. Carlo Macchi lo ricorda così: “Alcuni anni fa ero con Giulio, nel laboratorio di analisi Isvea. Una ragazza con in mano il risultato cartaceo di un’analisi e nell’altra un bicchiere con del vino si avvicina e gli chiede: “Giulio, che acidità ha questo vino?”, Gambelli mette un sorso in bocca, sputa nella sua classica maniera “a raggiera” e poi sentenzia “Cinque, cinque e due massimo!”. La ragazza legge il dato scritto sul foglio e borbotta scocciata “Allora ho sbagliato a fare l’analisi!“. Questo era il livello di stima e fiducia che si era conquistato Giulio. Il suo contributo nel mondo del vino è stato sostanziale, ma nonostante fosse uomo di poche parole, avvezzo soprattutto al rigore del suo lavoro, la sua sola presenza riusciva a rendere l’atmosfera intorno a sé quasi magica, forse perché il suo era un animo puro, fatto di valori fondamentali come la famiglia e l’amore per il proprio mestiere, lontano dalla ribalta, dai riflettori, dal mondo in cui viviamo oggi. Persone come lui sono rare, oggi più che mai, forse non ci sarà più un altro Giulio (classe 1925), troppo radicale è stato il cambiamento sociale negli ultimi decenni, troppe distrazioni e futilità albergano nel mondo attuale e certi valori non sono più la base di partenza su cui forgiare la nostra esistenza. Forse è proprio questo aspetto, ciò che Giulio ha rappresentato al di là delle sue straordinarie capacità di maestro assaggiatore, la sua figura d’altri tempi, la sua disarmante semplicità, il suo sguardo ben più diretto e aperto di quanto fossero le sue poche parole, che ci mancheranno più di ogni altra cosa. Ciao Giulio.
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