Vini Artigianali Italiani, alla ricerca (trovata) del legame fra vino e arte
Ok, direi che è ora di voltare pagina. Appurato che non si esce da sterili dibattiti sui vini naturali, che il vero problema è l’incapacità dell’uomo di andare oltre le schematizzazioni, i luoghi comuni, le fazioni da questa o quella parte, buoni e cattivi, veri e falsi, onesti e disonesti, è evidente che qualcosa deve cambiare, altrimenti il primo a rimetterci è proprio il vino.
Sappiamo tutti che dall’uva non nasce naturalmente, ma per opera dell’uomo, e anche i più rigidi assertori dell’inesattezza del termine “naturale” riferito al vino, sanno bene che è nato per differenziare chi ha un approccio strettamente legato all’artigianalità – come esprime con chiarezza Giampaolo Gravina: “fondato sull’osservazione, che rinuncia a protocolli e reinventa a ogni stagione le sue strategie di lavoro in vigna e cantina, per approdare a un oggettivo incremento della biodiversità e della qualità” – e chi, invece, lo produce come produrrebbe un’automobile, seriale, perfettamente replicabile, eviscerato di qualsiasi legame con l’ambiente, la cultura, le radici e le tradizioni a cui questo dovrebbe essere indissolubilmente unito. Ciò che fa elevare il vino non è certo la sua perfezione tecnica, ma quello che sa comunicare a chi lo assaggia, sempre che si sia disposti (e abituati) a “sentire”, invece di studiarlo come se si fosse in un laboratorio di analisi cliniche. Certamente “artigianale” ha un senso meno equivoco rispetto a “naturale”, ma se qualcosa rende tutto più nebuloso non è il termine, bensì chi ne fa un uso improprio. Non bisogna confondere l’artigianalità con il pressapochismo, anzi, la storia italiana ci ricorda che l’artigiano è persona saggia, sensibile, estrosa, un’artista della materia, è colui che eleva il Paese alla particolarità, all’unicità, a ciò che gli altri Paesi non possono avere, semplicemente perché hanno una cultura, un vissuto diversi. Ma c’è di più, il vino, quello artigianale, rivela uno stretto contatto con mondi apparentemente distanti, come la pittura, la scultura, la musica, la poesia. Certamente lo percepivano Soldati e Veronelli, che nei loro scritti indimenticabili descrivevano storie di uomini e luoghi, senza i quali non è possibile comprendere veramente quel nettare che da millenni allieta la nostra esistenza.
E certamente lo sentono Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari, che a mio avviso rappresentano un trittico invidiabile e non replicabile di un giornalismo “alto”, alla continua ricerca di connessioni e risposte, di spunti riflessivi e segnali da interpretare e trasferire alla specie umana, in un linguaggio nudo, liberato da orpelli tecnici, ma che ci impone di metterci in gioco, nei sentimenti, nell’essere presenti, percettivi e sensibili a ciò che ci circonda. Un altro modo di sentire e, quindi, di raccontare. E chi meglio di uno storico dell’arte (Castagno), un docente universitario di estetica (Gravina) e un musicologo (Rizzari) potrebbe riuscire nel non facile intento di raccontarci lo stretto legame tra arte e vino?
Dopo “Vini da scoprire” (2016) e La riscossa dei vini leggeri (2017), ecco arrivare fra le nostre mani un libro che, a mio avviso, rappresenta l’evoluzione perfetta di un processo che rompe con le abitudini, i luoghi comuni, ma soprattutto i linguaggi stereotipati, che invece di avvicinare il lettore-possibile-bevitore al vino, lo allontanano inesorabilmente.
Vini Artigianali Italiani, ovvero “piccolo repertorio per l’anno 2019″, è due libri in uno, metà arte e metà vino, strettamente collegati, come due inseparabili gemelli, perché non dobbiamo mai dimenticare che dietro a tutto c’è sempre l’essere umano, è lui che crea, attraverso la sua sensibilità e abilità, qualcosa che in natura non esiste, ma della quale ha tremendamente bisogno. Arte e vino in un viaggio complesso che li ha portati a selezionare 118 fra rossi (65), bianchi (33), spumanti (8), rosati (8), bianchi dolci (3) e rossi dolci (1), “abbinati” ad altrettante opere (rivelando che il cibo non è l’unico partner possibile del vino) o particolari di esse. La ricerca che c’è dietro a questo complesso percorso è stata sicuramente onerosa e il risultato è semplicemente strepitoso, lo dico senza remore, si percepisce quanto il lavoro sia stato meticoloso, anche perché la scelta delle opere non è caduta solo sui nomi più noti e sui soggetti più “facili”, bensì (come del resto per i vini) gli autori hanno cercato, fra oli su tela, fotografie, acquerelli, icone, arte astratta e arte oggettiva, di “scoprire” un’altra arte, un altro vino, che per una serie di equivoci o mancanze, erano ingiustamente dimenticati, non visti, e che, invece, meritano assolutamente di essere portati alla luce, all’ascolto. La ricerca, di fatto, è il cuore di tutto il libro, è lei che guida anche gli scritti, non aspettatevi quindi le classiche note di degustazione (che del resto gli autori non hanno mai fatto pedissequamente), ma un percorso, un racconto che si nutre delle due forme espressive, nel tentativo, direi riuscito, di aiutare il lettore verso nuovi orizzonti, in un linguaggio intenso e profondo, mai ridondante o autoreferenziale, che apre infinite porte, infinite letture, infinite emozioni.
N.B. il simbolo riportato in copertina rappresenta l’acronimo del titolo, prendendo spunto da quello che ha caratterizzato numerose opere di Giuseppe Capogrossi.
Roberto Giuliani
Vini Artigianali Italiani – piccolo repertorio per l’anno 2019
di Armando Castagno, Giampaolo Gravina, Fabio Rizzari
© Paolo Bartolomeo Buongiorno
TRE BIT Edizioni
pag. 245 con 118 illustrazioni a colori
prezzo € 25,00