Marco Porello e il Roero di Canale
fotografie di Danila Atzeni
Più vado avanti in questo bel viaggio che è il mondo del vino, più mi rendo conto che l’unica verità assoluta è data da un semplice concetto: tutti i vitigni sono in grado di regalare vini buoni. Importa relativamente che a livello genetico alcuni risultino più dotati di altri, perché esiste sempre una componente legata al gusto personale, ciò che importa e che lega realmente le zone vitivinicole di tutto il mondo è la filosofia produttiva del vignaiolo, l’approfondimento che egli dedica nel corso della carriera alla cultivar di riferimento, il più delle volte autoctona e regina del territorio. Questi valori creano una sorta di “stampo”, come amo definirlo, che dona un senso di riconoscibilità al vino. In un passato non troppo lontano il concetto di riconoscibilità era legato perlopiù a furbate, diciamo una sorta di globalizzazione della nobile bevanda, “qualcuno” aveva deciso così, i sentori olfattivi e il gusto del prodotto dovevano ricordare l’atmosfera di un’antica falegnameria. L’orientamento dei mercati, dunque dei consumatori occasionali e dei grandi appassionati, per fortuna negli ultimi anni è cambiato.
Già a quei tempi c’era chi rigava dritto, noncurante delle mode del momento, uno di questi è senza dubbio Marco Porello, titolare dell’azienda omonima situata a Canale, comune di circa 5.600 abitanti che può definirsi a ragion veduta la capitale del Roero, zona vitivinicola piemontese dalle enormi potenzialità in provincia di Cuneo. Ho avuto l’occasione di conoscerlo al Castello di Guarene durante “Roero Days 2018“, evento a cui ho dedicato un articolo piuttosto approfondito sul territorio. Parlare con Marco mi ha colpito tanto quanto i suoi vini, è un vignaiolo sensibile e attento a tutto ciò che gravita attorno al mondo della viticultura, dedica in prima persona anima e cuore all’intero ciclo della vite, con sacrificio e dedizione, queste le ragioni principali che mi hanno spinto ad andare a trovarlo in cantina e soprattutto in vigna, perché è la terra del Roero la sua vera passione.
Per capire a fondo la peculiarità dei vini prodotti dall’azienda è come sempre fondamentale ricercarne l’identità nel territorio. Il Roero in epoche lontane rimase coperto dalle acque molto più a lungo rispetto ad altre zone, la forte presenza di fossili marini nel terreno è la conseguenza diretta di questo elemento. Il confine orientale è determinato dal fiume Tanaro che dalle Alpi, nel lungo corso degli anni, ha trascinato con sé limo, sabbia e argilla, le componenti principali che compongono l’attuale terreno. È composto da un’area che si estende su circa 370 km. quadrati, rispetto alle vicine Langhe ha una cultura a sé, delle tradizioni diverse. Sono presenti 24 comuni e stando agli ultimi dati ufficiali circa 75 mila persone. Una terra straordinaria e per certi aspetti unica, dotata di una biodiversità che la caratterizza notevolmente grazie a un particolare microclima che genera giornate calde e notti fresche, caratteristiche fondamentali per la produzione di vini di qualità, ricchi di aromi ed equilibrio gustativo.
Le origini di questa bella realtà roerina risalgono all’inizio del secolo scorso, più precisamente attorno agli anni Trenta e segnano un momento molto importante per la storia della famiglia Porello, legatissima alle tradizioni del luogo. La prima attività fu in campo frutticolo, le famose pesche di Canale venivano considerate un’assoluta eccellenza in tutto il Piemonte. Successivamente Cesare, il pioniere, fu in grado di trasformare un piccolo possedimento in una vera e propria azienda orientata esclusivamente alla produzione di vino, con uno sguardo già orientato verso la qualità. La sua eredità, come spesso accade, fu raccolta dai figli Ettore e Riccardo che, noncuranti delle grandi possibilità del tempo legate allo sviluppo del settore industriale, decisero con passione e dedizione di continuare la strada del padre, spinti da uno spirito di grande attaccamento alle tradizioni e di profondo rispetto del territorio. Dal 1994 l’azienda è nelle mani di Marco, figlio di Riccardo, che forte delle sue personali esperienze in ambito vitivinicolo bordolese e toscano, con la stessa filosofia, estende il concetto di ricerca della qualità assoluta a tutti i prodotti della gamma, composta solo ed esclusivamente da vitigni autoctoni piemontesi quali favorita, arneis, barbera e nebbiolo. Gli oltre 15 ettari di vigna, i mille metri quadrati di cantina e le 120.000 bottiglie prodotte annualmente, rappresentano per l’azienda validi strumenti per poter lasciare la propria impronta all’interno di un territorio dalle immense potenzialità.
Marco è molto legato alla storia e alle tradizioni di famiglia, al suo fianco c’è sempre mamma Enza, una donna sorridente e cordiale, sempre pronta a raccontare aneddoti sulle sue amate vigne che ancor oggi segue in prima persona. Negli occhi di quest’uomo vi è lo sguardo fiero di chi con passione e sacrificio è riuscito negli anni a implementare il patrimonio di famiglia e ricostruire parte delle proprietà storiche. Un aneddoto che lo dimostra riguarda il vigneto San Michele, vero e proprio cru di Canale da cui ricava la Riserva di Roero, è sempre appartenuto alla sua famiglia e già ai tempi ne veniva riconosciuta la superiorità. Per vicissitudini varie venne venduto dai suoi predecessori, ma con perseveranza e sacrificio Marco riuscì a riacquistarlo già con l’idea di produrre un vino che potesse rappresentare al massimo lo stile e la sua idea di Roero. Ho accolto con molto piacere l’invito a salire in macchina per andare a visitarlo, devo ammettere che una volta giunti in cima alla collina e superata la piccola chiesa che lo rappresenta, il vigneto San Michele mostra tutta la sua classe data principalmente dall’esposizione, giunti in cima si gode una vista magnifica. Marco con orgoglio mi illustra tutti i vari cru visibili a occhio nudo, anche per via di una giornata particolarmente soleggiata con cielo terso. Roche d’Ampsej, Torretta, San Michele, Mompissano, Valmaggiore, Ròche dřa Bòssořa, Prachiosso … questi sono solo alcuni tra i più rinomati del Roero, che dalla vendemmia 2017 vanta ben 135 MGA ( menzioni geografiche aggiuntive) riconosciute ufficialmente, divenendo così la terza denominazione italiana a conseguire quest’importante riconoscimento legislativo, così com’è successo per Barolo e Barbaresco precedentemente.
L’azienda possiede vigneti in due zone ben distinte del comprensorio, nel Comune di Vezza d’Alba è presente il nebbiolo destinato a vini più giovani e pronti, oltre ad arneis e favorita; questi vitigni crescono su terreni di origine marina, ricchi di minerali a struttura sabbiosa, ne deriva una gamma di vini ricchi di profumi e grande piacevolezza. I vigneti di barbera e nebbiolo (destinato a Roero Torretta e Roero San Michele) sono localizzati nella città di Canale d’Alba, esposti a Sud Ovest su terreni di media densità e con una buona percentuale di argilla, ideali per una perfetta maturazione del grappolo, restituiscono complessità al naso e profondità gustativa. Dopo una bella sgambata tra i vigneti si torna in cantina, anzi in sala degustazione, perché dopo tanta e sempre più necessaria teoria è giusto passare alla pratica. Marco è riuscito a ricavare all’interno della cantina uno spazio molto accogliente dedicato agli ospiti, una sala sobria ed essenziale non priva di classe e continui rimandi alla terra, al vigneto, sono presenti campioni che mostrano le differenti tipologie di terreno. Sempre più spesso mi capita di constatare che i produttori puntano molto su questo aspetto, per diversificare il proprio prodotto partendo dall’origine, dal suolo, dall’essenza stessa del vino.
L’azienda si avvale di un’agricoltura che limita al massimo gli interventi in vigna, tra i filari il diserbo è praticato meccanicamente e si cerca di ridurre al massimo l’utilizzo d’insetticidi purtroppo necessari, in quantità molto misurate, per combattere la piaga della flavescenza dorata, presente purtroppo in questo lembo piemontese. Le fermentazioni vengono effettuare rigorosamente in serbatoi d’acciaio, è una scelta di Marco che si prefigge l’obiettivo di mantenere autentico il respiro delle terre del Roero. Gli affinamenti dei rossi, che più avanti vedremo nel dettaglio, avvengono in legni di diverse capacità, la sua mano è leggera e rispettosa, vuole tradurre il più fedelmente possibile ciò che la natura è in grado di offrire, ritiene sia uno scempio manipolarla appesantendone la sua essenza con pratiche di cantina invasive.
Langhe Favorita 2018
La favorita, vitigno ahimè snobbato tanto in Langa quanto nel Roero, è imparentata strettamente con il vermentino. Quella dei Porello proviene dai vigneti Camestrì e Renesio; come gli altri due bianchi che vedremo in seguito esegue la fermentazione alcolica a temperatura controlla per una durata di circa 20 giorni, è vinificato esclusivamente in acciaio per preservare il più possibile le peculiarità del varietale. 12,5% vol., l’ultima annata prodotta rivela sin dal colore le migliori caratteristiche: luminoso, solare, un bel paglierino caldo. Sentori freschi di clorofilla, biancospino, maggiorana e timo, il frutto è molto delicato, pesca bianca e scorza di limone. In questo vino il terreno si fa subito sentire e rispetto alla media dei prodotti degustati negli ultimi anni, in diverse aree delle Langhe, la sapidità marcata è sorretta da tanta freschezza e da una buona agilità di beva, perfetto a mio avviso su un carpaccio di pesce spada.
Roero Arneis Classico 2018
Il vero protagonista a bacca bianca dell’azienda, ma un po’ di tutto il comprensorio roerino, è da sempre l’arneis, un vitigno autoctono piemontese che ha attraversato varie fasi. Ricordo gli anni in cui andava di moda assieme all’immancabile gewürztraminer, era presente nelle carte di ogni bar soprattutto all’ora dell’aperitivo, poi un lento declino. Nonostante queste mode che lasciano il tempo che trovano, ci sono produttori che ci hanno sempre creduto e hanno giustamente seguito la propria strada, senza prendere scorciatoie. Marco è senza dubbio tra questi, il suo Roero Arneis 2018, 13% Vol., è figlio dei vigneti San Michele, Renesio, Tanone, Vallupera, Bastia, Colla. Un calice paglierino algido come si compete, di certo non privo di luminosità. La frutta bianca la fa da padrone, croccante, fresca, melone bianco d’inverno, pesca bianca, mela Granny Smith, ma anche maggiorana, fieno secco, sambuco, una lieve percezione minerale di calcare. Il palato è dotato di buona struttura, succoso, pieno, verticale, la salivazione è accentuata dalla freschezza, chiude l’immancabile sapidità che ne allunga la persistenza, ideale su un piatto di crudo di gamberi viola e avocado.
Roero Arneis Camestrì 2018
L’Arneis di punta di Marco Porello proviene da un singolo vigneto, il Camestrì, composto da un terreno a maggior prevalenza di calcare e sabbia rispetto alla parte di argilla presente negli altri vigneti da cui si ottiene il Classico. Vi è una pendenza del 30% e una resa per ettaro inferiore, siamo sui 90 quintali d’uva per ettaro contro i 100 degli altri due bianchi. 13% vol., il colore è pressoché identico al precedente. La maggior presenza di calcare nel terreno si fa sentire, ne deriva una mineralità che lo ricorda nettamente, non più una sfumatura ma bensì un elemento caratterizzante, a cui si aggiunge un ricordo di gusci di ostriche, che non prevarica tuttavia l’eleganza e la freschezza del frutto bianco e la parte vegetale, inoltre pepe bianco, mandorla, mallo di noce, davvero un bel naso. Il sorso ha un profondità gustativa notevole, denso ma al contempo agile, tanto sale, scattante per via della consueta freschezza che contraddistingue la linea di questi vini bianchi. In questo caso, data l’importanza del vino, azzarderei l’abbinamento sul classico coniglio all’Arneis, piatto tipico di queste colline.
Barbera d’Alba Filatura 2016
Vitigno autoctono coltivato un po’ in tutto il Piemonte, in prevalenza Langhe, Roero, Asti e Monferrato, la barbera viene prodotta dai Porello in due versioni: vinificata in acciaio e cemento, la “Mommiano”, e in legno la “Filatura”. Ci siamo concentrati su quest’ultima, che prende il nome dal singolo vigneto su cui viene allevata. 15% vol., resa per ettaro di 60 quintali, macerazione 10/12 giorni, la fermentazione alcolica si svolge in acciaio e l’affinamento in barrique, 20-30% di legno nuovo. Calice rubino, unghia porpora, molto vivace e consistente. Un naso esplosivo e suadente, sentori importanti, amo definirli virili: bacca di ginepro, chiodo di garofano, pepe nero, marasca, prugna disidratata, ravvivate da una trama balsamica di mentolo, chiude la liquirizia dolce e un lieve accenno di vaniglia Bourbon che non copre minimamente. Palato succoso, freschissimo, coerente nei ritorni speziati e aciduli, ha le spalle larghe ma in bocca danza come una ballerina; goloso, il tannino è fitto e al contempo dolce, sorso lunghissimo e sapido, è sicuramente un vino da carni rosse, ma un brasato di manzo ai funghi porcini è la morte sua.
Passiamo alla degustazione del vitigno principe del Roero, proposto dall’azienda in tre versioni. Il nebbiolo, in questo caso 100%, più di ogni altro è in grado di esaltare il territorio facendolo cantare più che parlare, una lingua inizialmente poco comprensibile ai più, ma una volta allenato il palato difficilmente se ne può fare a meno. Il Roero rispetto alle Langhe e soprattutto all’Alto Piemonte, parla da subito un dialetto meno stretto, questo anche per via di una maggior presenza nel terreno di sabbia e argilla, e fatte le dovute eccezioni relative a cru particolari, i vini risultano sensibilmente più morbidi, con tannini meno aggressivi e maggiormente pronti anche a pochi anni dall’imbottigliamento, ma con capacità di evoluzione che nulla ha da invidiare ai territori già citati.
Nebbiolo d’Alba 2017
Il primo vino è il frutto di tre vigneti ben distinti situati nel comune di Vezza d’Alba, ovvero Bastia, Tanone e Camestrì, qualche filare è presente anche a Canale. Da una resa di 60 quintali per ettaro, così come gli altri due vini che seguiranno, è un prodotto vendemmiato solitamente a inizio ottobre, macerazione di 10/12 giorni, segue la fermentazione alcolica in vasche d’acciaio e un successivo affinamento di un anno in botte grande. 14% vol., il manto rubino evidenzia sull’unghia un ombra granato vivace. Naso davvero paradigmatico: viola, anice stellato, pepe verde, frutti rossi maturi e sbuffi mentolati, sottile la vena minerale che ricorda la sabbia bagnata, il terriccio, chiude una stimolante nota di erbe officinali. Il palato è sorprendente in quanto a freschezza e bevibilità nonostante i gradi, questo perché l’annata 2017 è da ricordare come una delle più calde da sempre, Marco mi ricorda a tal proposito che annate come questa hanno solo bisogno di maggior cura, maggior attenzione in vigna, tutto qui. Il palato è teso e verticale, viene attraversato da una rassicurante morbidezza gustativa coerente al frutto e alla spezia. Sorso lunghissimo e sapido, perfetto a mio avviso su un piatto di pappardelle al ragù di cinghiale.
Roero Torretta 2016
Da sempre il vino di punta dell’azienda, prende il nome dal singolo vigneto “Torretta” ritenuto un vero e proprio cru del Roero e più nello specifico del comune di Canale. Esposto a Sud/Ovest con ottima pendenza a circa 300 metri sul livello del mare, le piante hanno in media 30-50 anni e vengono allevate con il metodo a controspalliera con potatura a guyot, con capo a frutto di 8-10 gemme. Il vino, dopo una macerazione di 10-12 giorni, fermenta in acciaio e affina in tonneaux e botte grande per un periodo non inferiore a 20 mesi. 14,5 % Vol., come il precedente campione rivela un colore rubino vivace bilanciato maggiormente verso il granato, consistente e di buona trasparenza. Un naso in cui affiorano progressivamente tutte le peculiarità che caratterizzano il nebbiolo che cresce su queste colline. Note dolci che richiamano i frutti neri, mirtillo e amarena, ma anche il tamarindo, violetta, l’ossigenazione porta spezie orientali e grafite, incenso, sentori stimolanti in continua evoluzione. La 2016, particolarmente regolare e priva di fenomeni significativi, dunque considerata un’ottima annata, regala un vino che fa presagire già dal primo assaggio grandi potenzialità nei confronti dell’affinamento, scherzando con Marco l’abbiamo definito ai limiti del salato; il tannino è giustamente severo ma dolce, richiama il frutto e assieme alla freschezza risulta ideale per contrastare i piatti tipici della cucina roerina: agnolotti, tajarin con tartufo o salsiccia di Bra, brasato al Roero o cappone ripieno.
Roero San Michele Riserva 2015
Prima annata prodotta, una scommessa, il vino prende il nome dal vigneto storicamente appartenuto alla famiglia. In passato fu ceduto per vicissitudini varie, riacquistato da Marco già con l’obiettivo di farne una riserva che potesse esprimere al meglio le grandi peculiarità di questo cru piemontese situato a Canale. Identikit del vino uguale alla precedente, affina per un minimo di 32 mesi in tonneaux e botte grande. 14,5% vol., calice granato con ricordi rubino, consistente e di media trasparenza. Respiro intenso, un naso articolato inizialmente sulla dolcezza dell’agrume, arancia rossa sanguinella, ribes rosso, pepe nero, rosa rossa macerata, chiodo di garofano, terriccio, immancabile la parte balsamica che rinfresca il quadro olfattivo. Il palato rispecchia inequivocabilmente l’annata più calda. Sensazioni di morbidezza, buona acidità ed un tannino in parte coeso, regalano sensazioni di grande equilibrio. Al contempo la profondità gustativa, data dell’immancabile sapidità, è un vero filo conduttore di questa degustazione che caratterizza notevolmente tutti i vini dell’Azienda Agricola Marco Porello.
Andrea Li Calzi