La Raia e la nuova via del Gavi Pisé

In un periodo storico nel quale l’imperativo categorico di molte cantine è quello di sottrarre, inseguendo trame sempre più docili e a volte quasi esili, incontrare chi invece decide di puntare su modelli che “aggiungono”, potrebbe apparire quasi un azzardo controcorrente. Soprattutto se l’idea è quella di cambiare il vino di punta, figlio di un cru e con un’immagine ben consolidata nel mercato e tra gli appassionati.
Evidentemente non la pensano in questo modo a La Raia, nome legato a doppia mandata all’agricoltura biodinamica e alla valorizzazione del Cortese e del Gavi.
La sfida che l’azienda guidata dalla famiglia Rossi Cairo ha deciso di percorrere è quella di cambiare il cru Pisé e dargli una nuova identità, un nuovo stile, non stravolgendo i principi di base che lo costituiscono, ma allo stesso tempo donandogli una scossa per puntare con ancora più forza alla longevità, caratteristica che già lo contraddistingue sin dalla sua nascita e che nel caso dei vini bianchi è una partita da giocare sempre con molta attenzione.
Un ruolo fondamentale in questo cambiamento lo recita anche la giovane enologa Clara Milani, milanese ormai trapiantata tra le colline di Gavi, che per far comprendere con maggior forza quale sia la nuova identità del Gavi Pisé della nuova annata 2018, durante una recente degustazione che lo ha visto protagonista gli ha messo al fianco anche altre due annate, la 2017 e la 2015.
Nei fondamentali, nulla è cambiato. Il Gavi Docg Pisé, come sempre sin dalla sua nascita nel 2005, non viene prodotto tutte le annate (ad esempio la 2016 è saltata) e sempre in pochi esemplari – solo 3000 bottiglie l’anno – con uve Cortese allevate a circa 300 metri sul mare su un promontorio esposto a sud/sud-ovest, caratterizzato dalla presenza di terre rosse, una unicità per l’azienda. Si tratta di un vero e proprio cru di circa 1,8 ettari, posizionato all’interno della vigna La Cascinetta, di 3 ettari in totale.
Il cambiamento è invece avvenuto in cantina. Fino al 2017, infatti, la vinificazione era solo in acciaio, ora invece il passaggio al rovere, quello delle botti grandi da 25 ettolitri. Qui fermenta e poi rimane sui lieviti per un anno. A questo seguono altri 12 mesi di riposo, sempre sur lies, questa volta in acciaio, infine l’imbottigliamento con un ulteriore affinamento di 6 mesi.
La degustazione
“Un soffio di legno” si legge nella scheda tecnica dell’azienda per definire la veste della nuova annata che dà il via alla una nuova era di questo cru. E, in effetti, il risultato ottenuto sembra proprio aver aggiunto complessità, ma non sovraestrazione o pesantezza, questa sì ormai fuori tempo massimo. Il timbro sapido è probabilmente il comune denominatore che unisce tutte le annate, ma il nuovo corso che si intravede in questo 2018, seppure ancora in fieri, è certamente una sfida da seguire con attenzione, sebbene già ora convincente.
Gavi Pisé 2018
Un po’ di vaniglia c’è, ma non è preponderante, anzi, è già ora ben armonizzata con tutte le altre componenti, che nell’insieme danno un quadro davvero convincente, complesso e di bella finezza. Le note di erbe, in particolare del rosmarino, donano grande slancio al bouquet e lasciano poi spazio con l’ossigenazione a quelle di agrumi e frutta secca. Al palato ha nerbo, quasi una lieve presenza tannica in questa fase, e un lungo finale sapido, a tratti ammandorlato, molto convincente e dinamico.
Gavi Pisé 2017
L’annata non è stata tra le più agevoli e tra gelate invernali e siccità estiva il 60% dell’uva non è pervenuta in cantina. Ne è nato un vino comunque di piacevole fattura, sebbene non composto ed equilibrato. Al naso apre su note di pesca e albicocca molto mature, tocchi di miele di acacia e con l’ossigenazione dà spazio anche a profumi che ricordano la pasticceria. Un quadro molto compatto che anche al palato trova corrispondenza in un sorso ricco, un po’ alcolico nel finale e manca un po’ di freschezza.
Gavi Pisé 2015
Si cambia completamente registro aromatico con questa annata, la più leggiadra delle tre. Note di infuso e tisana si alternano a quelli, sempre molto delicati, di pera e agrumi. Anche al palato è molto coerente e gioca le sue carte su una freschezza davvero importante e una trama sapida sempre ben presente. È il meno strutturato e ricco dei tre, ma sembra avere tutte le carte in regola per poter durare ancora a lungo.
Alessandro Franceschini