I racconti di Alda: Nella casa di Miriam
La casa di Miriam mi era rimasta impressa nella memoria come una delle meraviglie su cui i miei occhi di bambina si erano incantati durante una lontana estate. Tutte le case del vicolo erano belle perché interamente restaurate, ma quella di Miriam era in assoluto la più accogliente, speciale ed io che nel paese mi recavo soltanto per trascorrere l’estate con mia nonna, l’avevo scoperta per caso giocando a nascondino e una volta avevo trovato rifugio proprio dietro quel portoncino solitamente chiuso. Quella sera era aperto, le tende del finestrone erano fermate ai lati e l’interno era interamente visibile. Con il naso schiacciato contro il vetro e dimentica del gioco ero rimasta incantata a guardare l’enorme salone, il soffitto con le travi di legno massiccio, la scaletta che portava al piano superaiore, il caminetto di pietra, i mobili antichi, i quadri d’autore alle pareti e, quasi a prendere le distanze da tutto il resto, il biliardo grande, imponente. Una macchia di verde, come un prato.
La casa di Miriam aveva un giardino bellissimo ed esercitava un fascino particolare su di me bambina curiosa e osservatrice, così come Miriam alta, slanciata, con i capelli corti e lisci, con una banda laterale che le ricadeva sul viso muovendosi al ritmo del suo passo. Quella era per lei la casa delle vacanze, del Natale, della Pasqua e di tante altre occasioni che trascorreva con il marito architetto e la figlia Cristina.
La casa di mia nonna era la prima al di fuori del cerchio formato dalle altre. Si trovava in una piccola traversa con un cancello privato e un giardino. Quando cominciai a trascorrervi le mie estati regolarmente i bambini del vicolo venivano a cercarmi, tra loro c’era anche Cristina che diventò subito mia amica e così cominciai a frequentare la casa di Miriam liberamente. Tra quelle pareti, quei mobili e quegli oggetti c’era qualcosa che resisteva al tempo, qualcosa che, proprio attraverso il tempo era andata molto oltre l’infanzia. La casa, Miriam, impossibile scindere l’una dall’altra. Il mio sguardo di bambina, le mie emozioni. Afferra immagazzina chiudi tutto nella cassaforte della memoria.
E adesso Cristina si stava sposando. Aveva scelto la chiesa del paese ed io ero lì come sua testimone. La guardavo e mi sentivo tradita, come se sposandosi mi avesse fatto un torto.Possibile che tutto nella vita dovesse avere un principio e una fine? Finita la nostra infanzia, finite le nostre estati, i giochi nel vicolo, finito il tempo in cui ci ritrovavamo in città, finito il tempo degli studi, le ore trascorse insieme nel conservatorio, i concertini del pomeriggio e della sera con gli amici. Cristina con il suo flauto, io al pianoforte.
– Ti ricordi Cristina quando andavamo nei boschi e tu, fin da bambina, portavi sempre il flauto con te, non riuscivi a separartene. Ti chiamavamo Pan e tu ridevi, suonavi e correvi con quelle tue lunghe gambe che sembrava volessero portarti chissà quanto lontano. E dove sei arrivata invece?In una chiesina di campagna, con un uomo che ama la terra, che la coltiva e ti farà fare bambini e marmellate di more e metri di fettuccine all’uovo. Mungerai le mucche, toserai le pecore e coglierai uova direttamente dal sedere delle galline. Riporrai per sempre il tuo flauto, mai più sarai Pan, il piccolo genio dei boschi. Le tue mani diventeranno dure e callose e …-
M’interruppi di colpo perché Cristina mi stava guardando stupita.
– Che cosa stai facendo Giulia, vuoi farmi piangere? Io sono felice della mia scelta e so che non me ne pentirò mai. Forse hai paura di perdere la mia amicizia, ma questo non accadrà, puoi esserne certa. Avanti, andiamo, il grande momento è arrivato –
Ci avviammo. Cristina indossava un abito bianco, semplice come una tunica, un vestito simile a quelli che indossava Miriam durante l’estate, lunghi fino alla caviglia, morbidi, con le spalline sottili. Erano entrambe così eleganti e delicate che sembravano uscite da una rivista di moda dalla copertina patinata. Che cosa c’entrava Cristina con quel matrimonio? Avrei voluto fermarla prima di quel sì che avrebbe scomposto tutta la sua vita. Avrei voluto farle capire che non era quello il suo posto, che l’aspettavano le sale da concerto, il successo, il mondo e non la terra e quell’uomo così diverso da lei, da tutti noi, avrei voluto…..Fermati fermati. Si tratta di Cristina, delle sue scelte, rispettale, forse lei ha ragione, hai soltanto paura di perdere la sua amicizia, che tutto finisca tra voi. Fermati. Lo riptevo a me stessa in silenzio e lo dicevo a lei così, senza voce. E il senso cambiava.
Quando ci abbracciammo, fuori dalla chiesa, sul mio viso non c’erano lacrime nè sorrisi. Lei era bellissima, radiosa. Io non mi sposerò mai, ho altri progetti io ed erano anche i tuoi, pensai. Ancora rabbia, risentimento, dolore e poi e poi… Cristina era già lontana da me, stretta fra altri abbracci, altri auguri. La mia amica di sempre. Il vicolo, l’infanzia, le tante estati, la città, la musica.
Più tardi, nella casa di Miriam, mentre gli invitati si aggiravano tra il salone e il giardino dov’ era stato allestito un rinfresco sotto gli alberi, tra musica e il rumore dei tappi delle bottiglie di spumante che saltavano, mi sorpresi ad osservare Miriam e Cristina vicine, così simili da poterle confondere. Loro erano la casa, loro erano il giardino, il passato, quel giorno e il futuro. Capii in quel momento che niente, nessuno avrebbe potuto imbastardire il mondo interiore di Cristina, lei avrebbe continuato ad essere presente nella casa di Miriam e nella vita degli altri. Avrebbe forse preparato innumerevoli barattoli di marmellata, andare nei campi sotto il sole con grandi cappelli di paglia e piccoli foulard intorno al collo sottile, ma le sue mani non sarebbero diventate callose e lei non avrebbe mai smesso di suonare il flauto e di ricevere gli amici. Cristina avrebbe soltanto vissuto esperienze diverse in una dimensione diversa e la casa di Miriam sarebbe rimasta sempre lì, come un punto fermo dove poter tornare. Cristina ed io non ci saremmo mai perdute, finalmente potevo essere felice per lei….Sì, ma io?
Alda Gasparini