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I Racconti di Alda: “Ma tu chi sei?”

famiglia

All’inizio le sembrò ci fosse soltanto una grande confusione e che la sala fosse piena di facce senza corpo che la osservavano con diffidenza e forse anche con stupore. Erano davvero tanti, eppure formavano un‘unica famiglia in mezzo alla quale lei era l’estranea, l’intrusa, l’oggetto da studiare e approvare o… schifare. In mezzo a quegli adulti e a qualche adolescente c’era anche una bambina, l’unica che la guardasse con un sorriso. Si domandava perché Giulio, l’uomo che amava e che avrebbe presto sposato, aveva deciso di presentarla alla sua famiglia per poi sparire.
Questa è Michela” aveva detto “la ragazza di cui vi ho parlato e che sto per sposare”.
Nessuna reazione tra quel pubblico improvvisato, persone che sembravano indifferenti, a tratti curiose, soprattutto sospettose. Così strano l’essere umano, combattuto tra emozioni diverse. Sensazioni, non emozioni, impulsi. Nessuna parola, nessun gesto, niente che potesse in qualche modo incoraggiarla. Nessun segno di accoglienza, soltanto qualche monosillabo intramezzato da lunghi silenzi, più intensi e minacciosi di quello che si percepiva al di là della grande finestra che affacciava su una terrazza dove lo spazio tra alberi e piante si riduceva a una piccola rotonda sulla quale soltanto una coppia avrebbe potuto ballare. Mai un gruppo di amici, con musica e panini, birra e dolci come accadeva nelle feste di compleanno a casa sua o da qualche amica. Sembrava che non ci fosse vita lì dentro, almeno per quanto la riguardava, come se la vita si fosse ritirata in altre stanze. Altri passi, altre voci, altri sguardi e lei comunque fuori, molecola vagante in un cosmo ostile.
Perché Giulio le aveva fatto questo? Doveva pure immaginare come sarebbero andate le cose, sua madre e le sue sorelle avevano probabilmente altri progetti per lui, una moglie confezionata su misura, bella e possibilmente ricca come lo erano loro e non una ragazza timida e incapace di affrontare con stile quella situazione. Se avesse potuto sarebbe scappata da quel salone, fuori, nella terrazza e poi giù per gli scalini che portavano al cancello e poi al mare. Voci dall’infanzia. Ecco Michela la timida che si vergogna, Michela che scappa. Voci che l’avevano accompagnata per un lungo tratto della sua giovane vita. Michela che scappa. Dove? Come?
È la nostra casa al mare” le aveva spiegato Giulio “Quando arriva maggio che sia caldo o freddo, ogni fine settimana la villa viene aperta alla famiglia.”
Famiglia, ripeté tra sé Michela. Un clan, un circolo chiuso a qualsiasi estraneo. Loro erano già tanti e facevano squadra. E io, si chiedeva, io chi sono? Un’estranea infatti, non desiderata, non accolta, neppure per un senso di ospitalità e di normale ovvia educazione. Erano loro a sbagliare, avrebbero dovuto trattarla diversamente, almeno con un minimo di cortesia e non farla sentire un ingombro, una nullità, una che non c’entrava niente con loro. Più chiaro di così. Non fosse stato per Giulio, non l’avrebbero mai ricevuta, mai avrebbero espresso il desiderio di conoscerla. Se ne stavano lì, tra una parete e la porta scambiandosi occhiate, chiacchierando tra loro, senza una parola per lei, senza un gesto, anzi sì, quello lo avevano fatto, un cenno per indicarle una poltrona dove sedersi. Si sentiva come un burattino senza un burattinaio che l’animasse. Un fantoccio di pezza. Perché si trovava lì? “Non aspettarti una grande accoglienza” le aveva detto Giulio “io adoro la mia famiglia e loro adorano me. Ti sembreranno un po’ freddi, ma sarà soltanto per un momento, poi si scioglieranno e ti accoglieranno con simpatia. Fai anche tu la tua parte, non rimanere come una statua”.
Sciogliersi. Nemmeno con una temperatura di cinquanta gradi si sarebbero potuti sciogliere. Una statua io. Era timida, lo era sempre stata, anche da bambina. Non amava mettersi in mostra, imporsi agli altri, ma bastava poco perché lei sì, potesse sciogliersi, amava la vita, amava il suo prossimo, amava Giulio e amava i suoi amici. Ma il gelo la raggelava tutta, cuore stomaco cervello e in quella stanza grande e piena di cose belle, tra quelle persone che la ignoravano nonostante la studiassero, non riusciva a dire una parola, a spendere un sorriso. Sono la fidanzata di Giulio, ci sposeremo presto. Già ma Giulio dov’era finito? Probabilmente si era appartato con uno dei suoi cognati. Tutte quelle sorelle, la madre, tre zie e in più lei. Troppe donne. Meglio squagliarsela. Anche per lei, sarebbe stato meglio, doveva pur esserci una via d’uscita.
Adesso una di loro stava aprendo la porta finestra. Chi era? Una sorella, una delle zie? Tutte piuttosto attraenti, eleganti. Alta moda. Quando aveva chiesto a Giulio come avrebbe dovuto vestirsi, lui le aveva ricordato che si trattava di un incontro in famiglia in una casa al mare, che poteva vestirsi come voleva, anche nel modo più semplice. Ne era stata contenta e adesso si sentiva più che mai fuori scena, loro tutte in tiro e lei in jeans e una maglietta che a Giulio piaceva tanto, ma che probabilmente stonava in quell’ambiente e per quella occasione. Doveva trovare una via di fuga, non aveva senso rimanere lì come una mummia. Era chiaro che loro non aspettavano altro. Le sembrava di non avere più un’identità, di non essere niente, nessuno. Neanche per Giulio e lui per lei. Non lo voleva un uomo così. L’aveva abbandonata nella gabbia dei leoni fregandosene di quello che sarebbe potuto accadere in quella stanza. Lui era parte di quella famiglia, apparteneva a quell’ambiente, forse era proprio come loro e non com’era con lei e come aveva creduto che fosse. Via via da tutti e da tutto, da loro da lui. Così come l’aveva abbandonata in quella occasione, avrebbe potuto abbandonarla in futuro in qualsiasi altra circostanza. Abbandono, dolore, lacrime, umiliazione. No, non avrebbe potuto sopportarlo. Difenditi. Meglio soffrire adesso.
Ora la porta finestra era spalancata, uscì sulla terrazza. Respirò l’odore del mare, un odore buono che lei conosceva ed amava. Alla sua destra c’erano gli scalini che portavano al giardino e al cancello. Non sentì i passi che si avvicinavano, lievi, mentre una manina stringeva la sua. La bambina che le aveva sorriso.
“Ma tu chi sei?”
Nessuno, avrebbe voluto rispondere. Ma per quel sorriso e per quella manina non lo fece perché per lei e per quella domanda sentì finalmente di essere qualcuno. Se stessa. Sono Michela e sto andando via.

Alda Gasparini

Alda Gasparini

Musicista e scrittrice, da sempre amante di tutto ciò che è bello e trasmette emozioni, si è diplomata in pianoforte e per un certo periodo della sua vita ha eseguito concerti. Poi si è dedicata al giornalismo, scrivendo recensioni e critiche musicali; successivamente ha iniziato a scrivere romanzi e racconti, pubblicati su numerose riviste di settore, ha collaborato con autori importanti come Scerbanenco e Morante. Ancora oggi scrive racconti, brevi e avvincenti, toccando molti aspetti della natura umana.

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