Graziano Merotto: storia di un artigiano del Prosecco Superiore

L’ho già ribadito in altri articoli: più passano gli anni, più amo lasciarmi sorprendere da tutto ciò che un vino è in grado di regalare in termini di emozioni e nuove esperienze sensoriali. Il più delle volte le poche certezze acquisite vengono completamente rase al suolo da un nuovo assaggio, ed è stupendo ricominciare tutto da capo. Una volta formatosi, il palato di un degustatore di vino assume delle forme e delle connotazioni proprie, in parte dipendono dal suo DNA, in parte dalle sue attitudini. Questa tesi, sviluppata nel corso degli anni da illustri personaggi del mondo del vino, non ha risparmiato nemmeno il sottoscritto.
Il mondo del metodo classico/champenoise, ormai parecchi anni fa, ha catturato i miei sensi in maniera totale, viscerale: studio, approfondimento, soldi spesi per master di specializzazione sul tema sono stati gli elementi che hanno caratterizzato le mie giornate. Tutto ciò mi ha portato inevitabilmente ad apprezzare con passione determinate categorie di vini, e ahimè snobbarne altre. Inutile menzionare le denominazioni, i più avranno già capito, ma certamente il Prosecco, causa speculazioni varie, numeri e produzioni totali da capogiro, rappresentava un mondo da guardare con sospetto e snobbare anche un po’. Tutto ciò anche per colpa di una media qualitativa quasi mai sopra la sufficienza, analizzando nel dettaglio la totalità della produzione.
Ecco, questo è il classico esempio del principiante che crede di aver capito tutto, quando in realtà non è mai stato così lontano da una reale visione d’insieme del mondo del vino. Sento di poterlo affermare a spron battuto: a oggi non esiste una denominazione di vino italiana non degna di nota, al suo interno la stessa racchiude sempre una serie più o meno vasta di produttori appassionati che nell’arco di decenni sono stati in grado di elevarla qualitativamente, e che oggi ne rappresentano orgogliosamente la storia. Bisogna avere curiosità certo: ma cos’è la curiosità del mondo del vino? Semplicemente la fiamma che tiene viva la passione.
Graziano Merotto è senza dubbio uno di questi grandi protagonisti. Da oltre quarant’anni lavora personalmente le sue vigne, seguendo una tradizione ricca di memorie e di conoscenze trasmessa di generazione in generazione. Un libro di ricordi che ha come prima pagina gli inizi del ‘900, quando Agostino Merotto, suo nonno, inizia a occuparsi di vigna e di terra. Queste esperienze da grande pioniere le ha trasmesse al nipote, una filosofia che ha come tema centrale un solo concetto: “sentire la terra”, ovvero la capacità, acquisita grazie alla passione verso il proprio territorio e all’esperienza, di saper cogliere ad ogni stagione il corretto sviluppo della vigna, la maturazione delle uve e l’espressione dei suoi preziosi frutti. Ci troviamo sulle colline di Conegliano Valdobbiadene (TV), dov’è nato il Prosecco Superiore, e dove ancor oggi viene “fatto a mano” da alcuni grandissimi interpreti ideologicamente lontani dalle accecanti luci della ribalta dalla “Macchina Prosecco”, un business mondiale da circa 485 milioni di bottiglie (stando alle stime del 2019).
Ogni giorno, artigiani del vino come Graziano Merotto, uomini ricchi di tenacia ed una visione d’insieme unica e rara, calpestano la vigna, la curano quasi fosse una persona di famiglia, una missione che ha reso il vino la propria ed unica ragione di vita. Questi valori sono tuttora fondamentali per la storia di Graziano e della sua azienda, considerata universalmente una tra le firme che hanno contribuito a portare in alto la bandiera del Prosecco Superiore in Italia ed in tutto il mondo.

Fresco di studi alla Scuola Enologica di Conegliano, con grandi maestri quali Tullio De Rosa, nel marzo del 1972 fonda la sua cantina iniziando a produrre vino Sur Lie da uve glera, vitigno autoctono principe della denominazione. La storia inizia con un primo vitigno di proprietà, l’Olchera, cui segue nel ’73 l’acquisto dell’appezzamento agricolo contraddistinto nei mappali di zona con l’appellativo di Particella 86, negli anni sottratto al bosco, vigneto ancora oggi di importanza fondamentale per l’azienda. Sul finire degli ’70 entra in azienda la prima autoclave, da quel momento Graziano inizia a sperimentare il metodo Martinotti-Charmat, sotto la guida ed importante supervisione dell’enologo Piero Berton, queste le sue parole che lo descrivono egregiamente: “Graziano Merotto opera con tenacia nella sua terra. Ha intuito, concretezza e amore per il suo lavoro. Ha voluto una casa per il vino. È diventato adulto, lavora intensamente, conosce il Prosecco. Graziano vuole rimanere modesto, semplice, aperto, sensibile. Suggerisce la sobrietà, virtù sovrana per rapire ai suoi calici arte e sorriso”. Non a caso Piero Berton viene definito poeta-enologo.

Gli anni ’90, oltre ad essere stati fondamentali per la storia e lo sviluppo del brand Merotto, segnano la nascita di un vino cult per il territorio di Conegliano:” La Primavera di Barbara”, un Prosecco rivoluzionario e di alta qualità. Il motivo di cotanta originalità è solo uno: Graziano decide con coraggio e astuzia, ed in netto anticipo sui tempi, di progettare il suo nuovo prodotto partendo dalla selezione del vigneto, scelta ambiziosa e poco frequente in quegli anni. La famiglia è al centro della sua vita, dunque non poteva che dedicare il vino a Barbara, la figlia, fu commissionata una bottiglia specifica realizzata su misura per l’azienda, un elemento distintivo che ancor oggi risulta evidente e soprattutto molto caratterizzante.
È nel 2009, con la creazione della Cuvée del Fondatore, che ha inizio il progetto più ambizioso; un’etichetta che è la massima espressione del sapere di casa Merotto unito all’esaltazione massima del territorio, un risultato messo a punto dopo molti anni di sperimentazioni e studi fatti sui vigneti, microclima e ottimizzazione massima dell’uva glera. La sua prima vendemmia coincide proprio con l’anno in cui viene introdotta la Docg nell’area di Conegliano Valdobbiadene. Il resto è storia: al vino in questione, illustri guide del panorama nazionale cominciano ad assegnare, anno dopo anno e fino ai giorni nostri, una vera e propria vagonata di premi e riconoscimenti mai visti nell’area del Prosecco.

Queste le parole di Graziano, a distanza di quasi mezzo secolo di vendemmie dal suo esordio: “La terra è come un’entità viva, a cui si devono amore e gratitudine. I suoi frutti sono doni che l’uomo deve meritare con un tributo quotidiano di fatica, attenzione e rispetto”. È la “religione della terra”. Valori che l’hanno reso personaggio noto nel circondario, un uomo a cui viene universalmente riconosciuta umiltà, trasparenza e senso di onestà. Questa grande filosofia contadina, nonostante il successo planetario della sua azienda, contribuisce ancor oggi, giorno dopo giorno, a renderlo una persona speciale, non posso che confermarlo.
Un territorio affascinante, vasto, chiedo venia per la seguente rima ma non trovo altri aggettivi: “un paesaggio che a tratti sembra dipinto da Caravaggio”. Tonalità di verde che cambiano ad ogni ora del giorno e a seconda dell’inclinazione dei raggi del sole, filari a perdita d’occhio situati su colline con pendenze notevoli. Ci troviamo nel cuore dell’area di Conegliano Valdobbiadene, terra dove è iniziata la moderna storia del Prosecco Superiore, Col San Martino per l’esattezza, da sempre vocata alla produzione di uve di qualità. È sempre stato così, le notevoli pendenze di questa zona consentivano di praticare solamente due attività fondamentali per l’economia del tempo: la pastorizia e la viticultura. Già a quei tempi la mano dell’uomo, desiderosa di prosperità per il sostentamento delle famiglie, si adoperava con ingegno per sfruttare quanto la natura aveva da offrire, terrazzamenti creati apposta per accogliere la vite. Un’opera monumentale che ha permesso di creare nel tempo un vero e proprio paesaggio naturale e culturale, dal 2019 Patrimonio Unesco.
I vigneti di Graziano Merotto e di alcuni fidati conferitori, ad oggi circa 27 ettari condotti in regime di agricoltura convenzionale dedita al minimo intervento, sono situati tra Col San Martino, Collalto e Farra di Soligo su terreni di derivazione morenica; il suolo è rappresentato da un misto di argilla, calcare e roccia. Oltre allo splendido e ripido vigneto “Castel”, la cantina è situata proprio ai suoi piedi, una menzione speciale è da attribuire alle Rive di Col San Martino Particella 86, che si trovano a 230 metri slm. e appartengono alla famiglia Merotto dal 1973, un vero e proprio cru della zona, volendo tradurre per i non addetti: una perla del panorama vitivinicolo del Prosecco Superiore.
Prima di iniziare a descrivere le etichette presentate dall’azienda è doveroso da parte mia riportare le parole di Graziano, più di mille aggettivi saranno utili a comprendere l’orientamento aziendale e quanta passione si cela dietro ad ogni etichetta da ben 47 anni a questa parte: “I miei vini sono tutti diversi fra loro e hanno nomi propri per comunicare i diversi caratteri, proprio come le persone. Ci sono però tre elementi che li accomunano: la freschezza gustativa, la fragranza del frutto e l’alto punto di bevibilità. Questi infatti sono i requisiti che cerchiamo di ottenere per creare armonia ed equilibrio nel bicchiere”.

Valdobbiadene Prosecco Superiore Castè Extra Dry Millesimato 2019
Il nome è da attribuire al “Colle il Castello” che si erge su ripidi pendii a 270 metri d’altitudine, dietro la cantina, a Col San Martino. Il terreno, la cui pendenza supera il 45%, è fortemente roccioso, drenante e le radici delle vigne devono scavare con molta difficoltà per cercare l’acqua necessaria al loro sostentamento. 100% da uve glera ubicate in un vigneto di 2,32 ha ai mappali: 832 – 835 – 264 – 630 – 833 – 834, prodotto secondo tradizione, ovvero con metodo Martinotti-Charmat, come del resto tutte le etichette che seguiranno.
Si inizia con una macerazione pellicolare seguita da una delicata spremitura, il mosto ottenuto viene posto direttamente in autoclave per la presa di spuma per circa 60 giorni; staziona successivamente sui propri lieviti per altri 100 giorni circa. 11% Vol., 12 g/l. Un paglierino algido, cristallino, il perlage minuto evidenzia tutta la vivacità dei toni. Naso intenso, fragrante all’ennesima potenza: melone d’inverno, banana, pera Williams, fresche note di muschio bianco e ricordi di roccia calda al sole con lieve aumento di temperatura. Bolla voluminosa, in bocca si espande orizzontalmente evidenziando una cremosità che coccola il palato; sorso teso, slanciato, intenso nei ritorni fruttati mai privi della giusta croccantezza; acidità notevole nonostante il residuo zuccherino, finale pulito, fresco che invoglia il sorso successivo. L’abbinamento è una vera e propria provocazione: da anni cercavo un vino che potesse sposare alla perfezione un piatto di spaghetti alle vongole veraci guarniti con lamelle di bottarga di muggine, quest’ultima molto complicata da abbinare per via della vibrante sapidità, finalmente l’ho trovato.
L’equilibrio perfettamente centrato tra dolcezza e acidità del vino funge da coccola e stempera perfettamente l’importanza dei due ingredienti principali del piatto.

Valdobbiadene Prosecco Superiore La Primavera di Barbara Dry Millesimato 2019
Ci troviamo sempre a Col San Martino, per l’esattezza in un piccolo fazzoletto di terra particolarmente vocato alla viticoltura. Il vigneto è stato selezionato da Graziano Merotto, che all’inizio degli anni ’90 decide di lanciare questa etichetta dedicata alla figlia, il vino col passare degli anni è diventato un vero e proprio cult nell’area di Conegliano; il nome non passa certo inosservato: “La Primavera di Barbara”. Un Prosecco Superiore che deve la sua alta qualità all’approccio selettivo in vigna. Solo chi conosce il mestiere a menadito è in grado di realizzare grandi Prosecco con residui zuccherini importanti; occorre tanta esperienza, padronanza di tutti quegli elementi che caratterizzano il territorio: ambiente pedoclimatico, differenze tra i vari vigneti, capacità di saper cogliere il frutto al massimo della sua espressività.
In questa cuvée troviamo affiancato all’uva glera (90%) anche il perera (10%), conosciuto anche con il nome peverise, antichissimo vitigno a bacca bianca coltivato da lungo tempo nella zona di Valdobbiadene, soprattutto nella località di Cartizze. 11,5% Vol., 21 g/l, vinificazione in bianco, spremitura soffice e fermentazione in purezza a temperatura controllata. Presa di spuma e fermentazione naturale in autoclave per circa 60 giorni a 12 – 13°C. Un paglierino leggermente più caldo del “Castè”, bollicine anche in questo caso molto fini ed estremamente regolari.
Il naso ha un impatto notevole, sinuoso, gourmande: pesca sciroppata, pera Williams matura, miele di acacia, suggestioni floreali di tiglio e glicine, con lenta ossigenazione acqua di rose e lavanda. Sorso cremoso, bollicina setosa che vizia il palato senza saturarlo, perché dopo la deglutizione la freschezza diventa protagonista, stemperata dalla dolcezza del residuo. Chiude un’impronta salina che rende il sorso tutt’altro che spensierato, perfetto in abbinamento ad un piatto di gnocchi di farina di castagne al gorgonzola.
L’ho cucinato personalmente per l’occasione, anche per festeggiare l’arrivo dell’Autunno, splendida stagione nonostante la presenza insopportabile delle cimici che stanno invadendo la mia provincia (NO).

Valdobbiadene Prosecco Superiore Rive di Col San Martino Cuvée del Fondatore Graziano Merotto Brut Millesimato 2019
Non ha certo bisogno di presentazioni, tanto meno occorre spiegare il motivo del nome in etichetta, la “Cuvée del Fondatore Graziano Merotto” è un omaggio all’impegno di una vita, un’intera esistenza dedicata alle migliori colline del Prosecco Superiore e allo studio di come farle “cantare”, attraverso un vino che racchiuda in sé il sapere e i tesori di una tradizione che è tale da oltre mezzo secolo. Inoltre nasce da una sfida: dimostrare come si può produrre un grande brut senza perdere le caratteristiche tipiche del Prosecco, soprattutto a livello aromatico.
Tante le scelte innovative, frutto di lunghe sperimentazioni, la più importante riguarda la scelta del vigneto Particella 86, posto a 230 metri sul livello del mare.
Come spiega Graziano: le uve subiscono la DMR (Doppia Maturazione Ragionata), ovvero 20 gg prima della vendemmia, il 20% dei tralci viene reciso e i grappoli restano in pianta. In questo modo, le uve subiscono un leggero appassimento, ottenendo una forte concentrazione ma conservando l’acidità, che non viene influenzata dal processo di maturazione. I restanti grappoli vengono vendemmiati normalmente. Dopo la pressatura in cantina si svolge una rifermentazione lunga, che dura oltre 6 mesi e dona al vino una complessità unica. Un metodo accomunabile al Metodo Classico perché sfrutta il principio di lisi dei lieviti che, in questo modo, restituiscono al vino gli elementi sottratti, donando maggior ampiezza allo spettro organolettico. 100% da uve glera, 11,5% Vol., 6,9 g/l. Brilla nel calice una tonalità chiara, luminosa, un paglierino vivace reso ancor più squillante dal perlage fine e minuto.
Il naso qui cambia completamente registro: l’esuberanza dei toni fruttati è più misurata, giocata sull’agrume dolce di mandarino e kumquat, pesca bianca, cui segue una fresca sensazione floreale di biancospino e acacia, resa ancor più complessa da una vena minerale di pietra calda al sole e mandorla tostata. Il vino in bocca si espande verticalmente per via di una bollicina croccante e di una freschezza coerente al naso, un susseguirsi di note agrumate intervallate da guizzi sapidi che rimandano alla mineralità del terreno. Sorso lungo ed appagante, senza dubbio un fuoriclasse della denominazione.
L’abbinamento a tavola è con dei gamberoni lardellati: il gusto dolce-sapido della pietanza è un assist perfetto per la freschezza del vino, che in questo caso viene ancor più rimarcata.
Auguro a Graziano e a tutto lo staff Merotto un altro mezzo secolo di importanti traguardi. Spero che sempre più aziende del comprensorio seguano questa strada affinché il Prosecco faccia parlare di sé non solo per i numeri ma soprattutto per la qualità dei suoi vini.
Andrea Li Calzi