Giorgio Gianatti, 42 vendemmie alle spalle del Grumello in Valtellina
Giorgio Gianatti, in contrada Cà Paini a Montagna in Valtellina (SO), è pronto ad accoglierci con il sorriso fra le labbra e la consapevolezza di chi ha ancora tanto da imparare nonostante 42 vendemmie sulle spalle. Nell’era del “tutto e subito”, del voler a tutti i costi catturare l’attenzione in dieci secondi con messaggi forvianti e spesso beceri, trascorrere una mezza giornata in sua compagnia è davvero un privilegio per pochi; o meglio per quelle poche persone che hanno ancora voglia di lasciarsi stupire. Il racconto di un aneddoto, la gentilezza di un uomo che ne ha viste tante e nonostante ciò dispensa un’umiltà fuori dal comune, il panorama mozzafiato di alcuni tra i vigneti più belli al mondo.
Sto parlando dei terrazzamenti valtellinesi e nella fattispecie quelli della sottozona del Grumello, dal latino “grumus” ovvero poggio, altura, dosso, in dialetto valtellinese “grum”, in provincia di Sondrio. L’annata 1962 è stata giudicata soltanto buona benché dotata di estrema stoffa: stupisce sulla distanza, non a pochi mesi dall’imbottigliamento, occorre tanta passione, pazienza, studio e un forte desiderio di voler giungere ad un traguardo. Ognuno di noi nasce col proprio destino e non è certo un caso che Giorgio sia figlio proprio di un millesimo con tali caratteristiche, quelle che l’anno accompagnato per un’intera esistenza.
A circa 16 anni lascia la scuola, erano anni duri e viaggiare non era certo comodo come ai giorni nostri, tanto che il nostro protagonista preferisce seguire l’attività del padre proprio perché a due passi dall’uscio della casa patronale. Sul finire degli anni Settanta papà si ammala, viene ricoverato per tre lunghi mesi e Giorgio prende in mano le redini dell’attività di famiglia. A quei tempi il consumo del vino sfuso era all’ordine del giorno, dunque la maggior parte della produzione andava via così, inoltre era un periodo di grande crisi. Fu l’esperienza di vendita con svariati compratori, tra cui Casimiro Maule e Nino Negri, a convincerlo ad intraprendere, nel 1980, l’attività di viticoltore a livelli di professionismo sempre più alti.
Il nebbiolo, è ampiamente risaputo, sceglie pochissimi territori al mondo dove affondare le proprie radici al fine di trasmettere emozioni vere attraverso un calice di vino. In Valtellina, ai giorni nostri, ritengo che queste emozioni siano tra le più pure in assoluto e detto da un piemontese ce ne vuole. Non faccio nessuna fatica ad ammetterlo: termini quali eleganza, raffinatezza, ariosità, classe e leggiadria – riferiti ad un bicchiere di vino – ai giorni nostri spesso vengono ripetuti a sproposito; ebbene, se dovessero obbligarmi a scegliere una sola zona vitivinicola italiana a cui potere dedicare tutto ciò, sceglierei senza esitare un solo istante la Valtellina, e i vini di Giorgio Gianatti sono tra le migliori interpretazioni in assoluto. Il nebbiolo, fra queste colline pseudo montante che strizzano l’occhio alle imponenti Alpi Retiche, viene chiamato chiavennasca e cresce in un contesto surreale in quanto a bellezza.
Ubicata nella provincia di Sondrio, la Valtellina è una regione geografica alpina caratterizzata da un ambiente pedoclimatico a tratti unico, l’area è corrispondente al bacino idrico del fiume Adda a monte del lago di Como, assieme alla Valchiavenna formano la provincia di Sondrio e con la Punta Perrucchetti, alta 4.020 metri e appartenente al Massiccio del Bernina, raggiunge la massima altitudine della regione. Il terreno in Valtellina anche, anzi direi soprattutto, nella sottozona Grumello è principalmente di tipo sabbioso. Giorgio ci tiene a ribadire quest’ultimo concetto perchè durante il rifacimento di una parte del suo vigneto storico denominato Sassina, a confine con la sottozona Inferno, è stato possibile ammirare importanti affioramenti di tale matrice in grado di donare al vino morbidezza, eleganza, leggiadria e profumi floreali ancor più marcati rispetto ad altre aree. A tal proposito a breve uscirà sul mercato un vino prodotto con uve esclusivamente allevate in questo cru.
Tornando per un instante al territorio a 360°, ovvero nell’area vitivinicola che attraversa le cinque distinte sottozone: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella, è possibile asserire che durante il periodo del ritiro dei ghiacciai, gli stessi che coprivano interamente la regione, i rilievi si sono formati per via dello sfaldamento delle rocce granitiche. Il terreno è dunque di tipo permeabile, particolarmente indicato alla coltivazione della vite. I ristagni d’acqua sono rari e, nonostante il cambiamento climatico che ha coinvolto alcune annate – soprattutto recenti – è piuttosto difficile che in Valtellina la vite soffra di stress idrico. C’è un motivo particolare: le radici, in special modo quelle della chiavennasca, sono in grado di attraversare la roccia anche per 5/6 metri in profondità; così facendo riescono a trovare l’acqua, fonte di nutrimento per la pianta. Giorgio predilige in vigna “l’archetto valtellinese”, una forma di allevamento antichissima e tipica della Valtellina che si differenzia rispetto al guyot per i tralci curvati ad arco.
La viticoltura in Italia negli ultimi 60 anni ha fatto passi da gigante, tuttavia è necessario difendere le proprie tradizioni e attingere dagli insegnamenti dei padri, dei nonni. Coloro che con pochi mezzi hanno realizzato tanto, tantissimo; oggi, al contrario, si rischia di realizzare poco, in termini legati alla distintività, nonostante svariate tecnologie all’avanguardia rese disponibili dalla modernità. Tra le cose più affascinanti che ho potuto ammirare, camminando tra i filari delle vigne di Giorgio, vi è senza ombra di dubbio l’incredibile biodiversità che regna sovrana grazie alla presenza di alberi di olivo, erbe officinali, aromatiche tra cui rosmarino, fiori e piante spontanee. Se a tutto ciò aggiungiamo il fascino della cosiddetta “Arte dei muretti a secco” una visita in Valtellina a mio avviso è d’obbligo. L’UNESCO l’ha denominata così e nel 2019 l’ha iscritta nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità; è possibile trovarne un po’ in tutt’Europa tuttavia quelli presenti in questo territorio a mio avviso sono tra i più spettacolari in assoluto, anche per via delle pendenze estreme da cui è possibile ammirare un panorama a dir poco mozzafiato.
Un altro aspetto stupefacente in Valtellina è il microclima, basti pensare che pur trovandosi a confine con la Svizzera, dunque ad un parallelo piuttosto alto, le vigne da queste parti godono di ben 1900 ore di sole l’anno, le stesse di Pantelleria che si trova geograficamente agli antipodi. Ulteriore ciliegina sulla torta la ventilazione pressoché costante, ideale per combattere le malattie della vite. A tal proposito il nostro protagonista, pur non appartenendo a nessuna categoria specifica, predilige un’agricoltura dedita al minimo impatto attraverso la lotta integrata e il metodo della confusione sessuale contro la nottua e la tignola; utilizza in vigna solo zolfo e pochissimo rame. Oltre alla forma di allevamento sopracitata, ovvero l’archetto valtellinese, le viti crescono su ripidi e scoscesi filari disposti a “rittochino”, ovvero piantando le viti da nord a sud sulla linea di massima pendenza. Due ettari di vigna situati a Montagna in Valtellina da cui ricava circa 12 mila bottiglie. L’appezzamento più vecchio ha circa 70 anni d’età, un altro, inizialmente abbandonato, è di metà degli anni Novanta e un ultimo del 2011; insomma un piccolo mosaico di vigneti, dove domina la roccia, immerso in una natura incontaminata e a tratti antica.
Il silenzio che è possibile “udire” attraversando i filari, o percorrendo i vicoli del piccolo borgo di Montagna in Valtellina, è un privilegio per pochi. Una passeggiata tra costruzioni in pietra dell’epoca, perfettamente conservate, e monumenti storici tra cui il bellissimo Castel Grumello. Un’esperienza che consiglio vivamente a tutti coloro che sono quotidianamente stressati “dal logorio di una vita moderna”.
Passiamo ora ai tre vini degustati in compagnia di Giorgio Gianatti, colgo l’occasione per ringraziarlo pubblicamente per la squisita ospitalità e per i tanti aneddoti raccontati.
Rosso di Valtellina 2019
Nebbiolo, localmente chiamato chiavennasca, due settimane a contatto con le bucce in contenitori d’acciaio e un anno di affinamento in botte di castagno. I vini valtellinesi giovani, quelli che vogliono soprattutto far emergere le peculiarità del territorio, si distinguono per una trasparenza notevole ed una trama cromatica rubino con evidenti sfumature fucsia; quest’ultime a tratti le trovo ipnotiche. Il Rosso di Valtellina 2019 di Giorgio Gianatti è proprio così, e al naso rivela la quintessenza dell’uva chiavennasca allevata ad altimetrie non indifferenti: caramellina alla fragola, ribes rosso, violetta, scorza di arancia rossa e sbuffi mentolati; con lenta ossigenazione pietra polverizzata e un finale salmastro. In bocca danza letteralmente, un concentrato di frutti rossi inspessito da un centro bocca per nulla banale e un allungo da centometrista; la sapidità è l’arma vincente, tiene testa ad un tannino praticamente ricamato a mano. Un vino a dir poco godurioso, soprattutto accostato ad un piatto di sciatt, ovvero frittelle salate di grano saraceno ripiene di Valtellina Casera DOP non troppo stagionato.
Valtellina Superiore Grumello 2016
Frutto di uve nebbiolo 95% (altre varietà locali 5%) allevate all’interno della sottozona Grumello, esposte a mezzogiorno e ubicate ad un’altitudine di 350/450 sul livello del mare; i terreni prevalentemente sabbiosi conferiscono eleganza ed un profilo raffinato a 360°. Vendemmia ad inizio ottobre, 45 giorni di macerazione in acciaio e affinamento in botti di rovere di Slavonia per un minimo di 18 mesi, segue prolungato riposo in bottiglia. Tonalità granato con ricordi rubino/fucsia, al naso prevale leggiadria, toni che con l’ossigenazione si aprono a suggestioni di erbe aromatiche (timo selvatico e rosmarino) ma anche mirtillo rosso e chinotto, terriccio umido ed eucalipto; la spezia è molto delicata e richiama il pepe del Sichuan, è un vino che evolve di continuo. Palato succoso, energico, vitale, degustare vini che posseggono tale profilo è cosa assai rara; sapiente unione tra estratto e leggiadria, profondità ed eleganza, una grande beva al centro e noi tutti in fila ad attenderne un altro sorso. Consiglio in abbinamento il tipico tzigoiner della Valtellina, ovvero fettine fini di carne di manzo avvolta nella pancetta, arrotolata in un bastone di faggio, e piastrata con contorno di verdure di stagione.
Valtellina Superiore Grumello San Martino 2015
Uve nebbiolo vendemmiate a mano, raccolte in cassetta e fatte appassire per 40 giorni; circa due settimane a contatto con le bucce. Il vino sosta prima in acciaio e successivamente affina per un minimo di 15 mesi in botti di rovere di Slavonia dalla capacità di 550 litri. Segue un lungo periodo in bottiglia prima della vendita. Un Grumello Superiore ricco di sfumature date in parte dall’affinamento e in parte dalla maestria del vignaiolo, nonché dalla grandezza del territorio. Granato vivace, unghia mattone-arancio, buona consistenza. Il naso, nonostante la particolare vinificazione, rispecchia in tutto e per tutto l’essenza della Valtellina, del nebbiolo di montagna: arancia rossa disidrata, pesca nettarina, grafite ed erbe officinali, timo; dopo lenta ossigenazione pietra frantumata e spezie orientali. In bocca è succoso, vivo, il tannino morde ancora e una profonda sapidità conquista la scena, ben supportata dalla freschezza che accompagna il sorso dal primo all’ultimo istante. Giorgio ha davvero una mano incredibile. Abbinamento doveroso: pizzoccheri della Valtellina.
Andrea Li Calzi